
30 Gen Arteterapia per la cura dei disturbi del comportamento alimentare
L’arteterapia è un trattamento terapeutico che utilizza l’espressione artistica come principale strumento, allo scopo di promuovere la salute e favorire la guarigione. Il focus, più che sul prodotto finale come materiale da interpretare, è sul processo creativo in sé, che avvalendosi di simboli e metafore, coinvolgendo il soggetto in attività che implicano un impegno sensoriale e cinestesico, si propone come mezzo per esprimere le proprie emozioni, e per comprendere e risolvere le difficoltà. Il prodotto artistico, considerato come rappresentazione simbolica del mondo interno del paziente, rappresenta per il terapeuta uno strumento privilegiato di accesso ai suoi contenuti interni e quindi materiale di elezione sia per la diagnosi, sia per una maggiore comprensione del soggetto stesso.
L’obiettivo, nell’ottica di facilitare un cambiamento a livello sintomatologico, è quello di facilitare l’alleanza terapeutica, lo sviluppo della consapevolezza e l’insight in un gruppo di pazienti affette da un disturbo del comportamento alimentare che, per sua natura, è particolarmente caratterizzato da meccanismi di scissione, somatizzazione, e dissociazione oltre alla identificazione proiettiva, che rendono assai arduo il lavoro psicologico individuale attraverso la verbalizzazione.
In questi casi lavorare con dei medium diversi dalle parole, come le immagini, i colori, gli oggetti, le terre, permette di esprimere contenuti dolorosi e difficili da esplicitare, (perché spesso non ancora coscienti), in un modo diverso, più spontaneo, più naturale , senza che intervengano censure e paure del giudizio legate al dovere raccontare con parole la propria storia e i propri vissuti.
Nell’attività artistica si stabilisce un dialogo che precede le parole e il pensiero permettendo di accedere a forme di esperienza e di linguaggio che appartengono al nucleo più arcaico della personalità e che ancora non riescono a trovare codificazione nell’ambito verbale o simbolico. Lo scopo è quello di costruire uno spazio mentale in cui quello che è concreto diventi psichico e quello che ha trovato una sua forma nell’atto creativo possa generare nuove possibilità di d’introiezione e di capacità d’integrazione tra il mondo interno e il mondo esterno. Inoltre, l’arteterapia coinvolge l’individuo nella sua totalità mente-corpo. Infatti, l’attività creativa richiede non solo un lavoro intellettivo legato all’immaginazione del prodotto artistico, ma anche un lavoro motorio, percettivo e sensoriale legato alla produzione in senso stretto. L’arteterapia, quindi, ha la funzione di porre in comunicazione psiche e soma, di far in modo che vi sia un rapporto più fluido ed equilibrato tra questi due inscindibili aspetti che vengono vissuti spesso, specie nel campo dei disturbi alimentari, come separati.
Tra le cause più importanti dei disturbi alimentari occupano un ruolo fondamentale quei fattori che restano spesso e a lungo lontani dalla coscienza, laddove il sintomo, che parla attraverso il corpo, rimane l’unica evidenza di un malessere più articolato e profondo. L’arteterapia favorisce l’emergere di tali conflitti preconsci e/o inconsci attraverso l’attivazione delle parti creative e intuitive della nostra mente. Questo processo dinamico di progressivo svelamento conduce ad una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni, pensieri ed agiti così da permettere una più efficace interpretazione sul piano simbolico.
Da quanto sopra, si può comprendere come un gruppo di arteterapia all’interno di un centro per i disturbi alimentari, permetta di lavorare su alcuni aspetti caratteristici di queste patologie:
- Consente il contenimento dell’eccessivo utilizzo del meccanismo della razionalizzazione proponendo un linguaggio diverso da quello verbale;
- Propone un canale di comunicazione tra psiche e soma e di espressione della conflittualità diversa dal corpo come strumento di comunicazione e riconoscimento del proprio “tremendum” interno;
- Permette di limitare la tendenza al perfezionismo spostando l’attenzione dal risultato estetico del prodotto finale al processo creativo e al significato comunicativo del prodotto stesso;
- Viene a rappresentare uno spazio di crescita ove sperimentare la propria soggettività: è un punto di partenza in un luogo dove ci si confronta, si fa esperienza, ci si relaziona e si impara a scoprire o riscoprire la propria creatività, accettando semplici regole di convivenza o di uso di materiali, mirando anche ad acquisire comportamenti adeguati all’efficacia dell’azione del gruppo.
All’interno del Centro per i disturbi alimentari di Aosta è stato attivato nel 2005 un laboratorio di espressione artistica che si è evoluto nel tempo per diventare un gruppo di arteterapia con obiettivo di tipo psicoterapeutico.
L’età dei componenti il gruppo è stata quella adolescenziale e/o della prima età adulta, comunque in un range tra i 15 e i 30 anni.
Nei 5 anni di lavoro, abbiamo avuto 22 pazienti, con 6-7 pazienti, mediamente, in carico per anno.
Il gruppo è stato omogeneo per patologia, comprendendo però tutte le categorie dei DCA: pazienti con disturbo anoressico, bulimico, ednos (eating disorder not otherwise specified ) e talvolta bed ( binge eating disorder ), e si è scelto di mantenerlo aperto permettendo inserimenti di pazienti nuovi nel tempo. La frequenza degli incontri è stata quindicinale per circa due ore e mezza, con una pausa estiva di 2 mesi.
La media dei partecipanti per ogni incontro è stata di 4-5 pazienti. La durata della presa in carico media di 1 anno, 1 anno e mezzo, per ciascuna paziente.
Le pazienti presentavano in genere, oltre al DCA specifico, un disturbo di personalità o perlomeno una organizzazione patologica della stessa: di tipo borderline, o evitante, o dipendente, o depressiva; raramente ci sono state pazienti con un funzionamento di tipo psicotico, che comunque all’interno del gruppo hanno trovato un buon contenimento, con sporadici momenti di crisi o di insorgenza di problematiche interpersonali con le altre pazienti.
Nel gruppo erano presenti due psicoterapeute con formazione in arteterapia nella funzione di conduttore e co-conduttore e un medico nutrizionista con la funzione di Io ausiliario e di conoscitore di materie artistiche.
Come precedentemente espresso, nei primi anni si è lavorato in un setting di laboratorio espressivo a valenza supportiva, in cui le pazienti erano invitate a produrre la loro creazione artistica su un tema specifico proposto dal conduttore attraverso la consegna di un materiale-stimolo, quale un’ immagine, una poesia, un brano, una canzone,ecc.
Il laboratorio era strutturato in cinque fasi:
- Rito di apertura, ovvero la preparazione del setting che implica il misurarsi con il senso di realtà, con i propri limiti e con l’ambiente circostante, oltre a definire in termini spaziali e temporali il passaggio da realtà a fantasia;
- La definizione del tema da parte del conduttore e la scelta del materiale da utilizzare da parte del paziente;
- Lo svolgimento del lavoro;
- Conclusione, in cui si prende visione di tutti gli elaborati e poi, a turno, ogni partecipante racconta la sua produzione;
- Rito di chiusura, ovvero il ritiro del materiale che permette il passaggio dalla fantasia alla realtà.
Nella prima fase del laboratorio di espressione artistica si è scelto di utilizzare solo materiali duri (matite, pennarelli e pastelli a cera) che hanno un effetto di maggiore rassicurazione permettendo a chi li usa di esercitare un buon controllo sul segno e sull’elaborato in corso.
Il laboratorio di espressione artistica era inserito all’interno di un percorso di gruppi ove le pazienti avevano accesso al laboratorio al termine del gruppo psicoeducazionale, e successivamente avrebbero terminato il percorso con il gruppo di psicodramma. Le pazienti, oltre al percorso di gruppo, fruivano tutte di una psicoterapia individuale e i contenuti significativi emersi nel laboratorio venivano rinviati e ripresi nel setting individuale. Per alcune pazienti la psicoterapeuta individuale era una delle conduttrici del gruppo, per altre era differente, ma in ogni caso le psicoterapeute lavoravano insieme sui casi clinici scambiandosi e integrando le informazioni emerse nei due diversi ambiti. Inoltre, gli aspetti particolarmente interessanti dei singoli casi emersi durante gli incontri del laboratorio espressivo venivano riportati nelle riunioni di equipe settimanali del centro DCA dove il confronto con le altre figure professionali che a diverso titolo avevano in cura le pazienti (medico nutrizionista, dietista, psichiatra, infermiera professionale, psicoterapeuta) poteva essere utile per una maggiore comprensione dinamica e condivisa del processo terapeutico in atto. ( cambiamenti, stalli, regressioni, drop-out..)
Negli ultimi anni il laboratorio di espressione artistica si è modificato in un setting di arteterapia a valenza psicoterapeutica. Pur mantenendo la stessa struttura formale, si è modificato il focus passando a lavorare su tema libero, permettendo così al singolo di esprimere sul foglio i vissuti personali del momento, e all’utilizzo di materiali meno duri meno strutturati, e più diversificati, quali le tempere, i pastelli ad olio, le matite acquerellabili, il collage, le stoffe, lo spago, i nastri, la creta, anche nella elaborazione di opere tridimensionali. Inoltre, il tempo di permanenza nel gruppo di arteterapia non è più stato predefinito, ma relativo agli obiettivi terapeutici che l’equipe nel suo insieme e le psicoterapeute individuali e di gruppo in particolare condividevano con la paziente stessa. Presso il nostro centro, permane la possibilità per il singolo paziente di effettuare sia il gruppo di arteterapia che di psicodramma in momenti diversi, mentre il gruppo psicoeducazionale è comunque e sempre proposto come primo momento di conoscenza e di valutazione, rispetto a quale altro gruppo proporre successivamente. Attualmente non tutte le pazienti che frequentano il gruppo di arteterapia fruiscono di una psicoterapia individuale.
Nel gruppo di arteterapia i prodotti artistici vengono discussi singolarmente alla fine di ogni incontro, dopo la narrazione che ciascuno fornisce rispetto al proprio elaborato, l’espressione di sensazioni/emozioni provate durante l’esecuzione, l’esplicitazione dell’input di partenza, la motivazione della scelta del materiale e il titolo dato alla propria opera. All’interno del gruppo si lavora sulle associazioni che emergono durante l’esposizione al fine di provare a costruire un ponte tra quanto espresso dal prodotto artistico e il mondo interno del suo creatore. Occorre comunque essere consapevoli che, per quanto il prodotto artistico esprima contenuti interni, questi in molte situazioni o per lunghe fasi del processo terapeutico non si comunicano affatto al soggetto che le ha prodotte. E’ importante in questi casi, non tentare d’imporre dall’esterno quel ponte comunicativo che ancora non si è costellato consentendo all’Io del paziente di ignorare i messaggi potenziali delle sue espressioni finché non potrà sopportare l’esperienza della comunicazione con l’altro, ma ancor prima con se stesso.
A volte si è lavorato anche con la risposta , sempre attraverso opere di creazione artistica, al lavoro di una paziente col lavoro dell’altra, ottenendo poi nell’ambito della discussione verbale, un proficuo “gioco”, di proiezioni, controproiezioni, associazioni, che si estendeva non solo al lavoro delle copie incrociate ma anche, in una sorta di amplificazione di gruppo, a tutte le altre copie.
In questo senso il lavoro di gruppo è molto interessante per la possibilità, in alcuni casi, soprattutto quando si è stabilito un clima ed un ambiente di lavoro ottimale, di lavorare su tutte le opere simultaneamente, per creare una “storia” attraverso l’unione di tutte le immagini prodotte; una storia condivisa, dove ognuno partecipa alla sua creazione con delle “parti”che emergono spontaneamente dalla sua fantasia , nel gioco di gruppo, che è un gioco dove si confrontano le fantasie di tutti, e alla fine vengono scelte quelle che per il gruppo sono sentite come le più “armoniche”, per quel tipo di materiale e atmosfera che si è venuta creando, in quel particolare momento, come in una sorta di “sincronicità”.
Questo modo di lavorare in gruppo, soprattutto nel gruppo di arteterapia, è molto importante anche per sviluppare la coesione tra i membri del gruppo, una sorta di “inconscio di gruppo” che, se ben gestito, può essere utile per il lavoro futuro.
La valutazione del cambiamento della produzione artistica nel tempo permette di evidenziare quanto, a volte lentamente, altre in modo più repentino, le pazienti mettano in atto modalità espressive nuove. Come in una sorta di epifania, si evidenziano nuove linee, nuovi colori, l’uso di materiali e/o di stili espressivi diversi, modalità creative e atteggiamenti durante la composizione che si modificano. Pazienti che per mesi hanno lavorato con linee sottilissime, quasi invisibili, lasciando grandi spazi bianchi, ora danno prova di esistere, di essere anche loro sulla scena del mondo con linee più marcate, colori dalle tinte più definite, figure e/o oggetti che occupano il loro posto nella rappresentazione generale, non più marginalmente in un angolo del foglio, ma in un rapporto di relazioni con il resto delle immagini che si fa via via più organico e integrato, portatore di un senso.
Al contrario, pazienti che “vomitano” sul loro foglio di tutto, riempendolo voracemente di mille forme e colori, non lasciando il benché minimo spazio bianco, la minima via di fuga da un mondo interno caotico, opprimente, angosciante, passano lentamente da questa modalità evacuativa ad altre sempre più organizzate, strutturate, che manifestano il dipanarsi di un progressivo ordine interno a tale “caos”, con piani prospettici di profondità, rapporti coerenti tra figure e oggetti, tentativi di raccontare un succedersi di eventi, una trama attorno alla quale si sviluppi la rappresentazione, una maggiore misura e controllo dell’uso del medium espressivo attraverso linee e colori più morbidi, maggiormente bilanciati tra loro che conferiscono una progressiva armonicità all’insieme.
Quasi inevitabilmente questi cambiamenti nell’ambito della creazione artistica si accompagnano a cambiamenti nel mondo interno e delle relazioni. Spesso anche il quadro sintomatologico specifico cambia con la ripresa di un’alimentazione più accettabile, una riduzione delle condotte di eliminazione e/o delle abbuffate. In altre occasioni, per eventi scatenanti intercorrenti, si assiste a delle ricadute del quadro clinico che si manifestano puntualmente all’interno del gruppo di arteterapia con un ritorno a modalità espressive precedenti.
Molto importante a questo punto il lavoro svolto in precedenza sulla consapevolezza, sulla acquisizione del processo di cura come di un percorso non lineare, caratterizzato a volte da deviazioni, stalli, ritorni a passaggi precedenti, impennate brusche in avanti o indietro e, comunque, mai facile, sempre irto di difficoltà da superare attraverso la motivazione e, nella sua pur dolorosa attualità-banalità, attraverso l’egodistonia con cui il disturbo viene vissuto in queste fasi avanzate del processo.
La produzione nel laboratorio di arteterapia fornisce a tutto questo uno strumento di “specchio”, di verifica non mediata dal conscio e dall’Io, ma che a questi arriva dopo la sua manifestazione, attraverso il lavoro di decodifica-filtro, fatto insieme alle terapeute e al gruppo.
Il Mondo interno ci parla di sé con segni, linee, colori e forme… malgrado la parte cosciente, con le sue difese, i suoi filtri, i suoi depistaggi, i suoi mascheramenti.
Il non verbale viene utilizzato come strumento per arrivare al verbale, al simbolico, all’astratto, alla logica e al pensiero, ovvero a quello “spazio di mezzo”, a quella “terra di nessuno”, dove l’incontro tra emozioni e pensieri è possibile, dove tra l’azione immediata, l’“acting out” del vomito o della abbuffata, dello scoppio d’ira, o del ritiro narcisistico dalle relazioni o peggio ancora della manipolazione delle stesse, è possibile un “Time out”, un “contare fino a 10”, che renda possibile l’osservazione della scena dall’esterno in qualità di spettatore e in questo modo ridimensionarla, incanalarne l’energia in modalità meno distruttive. L’indicibile, infatti, può essere comunicato se trova il modo giusto per esprimersi, a volte più facilmente senza le parole, ma attraverso un medium relazionale, sia esso un foglio di carta e dei colori, delle foto di giornale, degli oggetti comuni, che fanno da “ponte radio” tra persone che parlano e altre che ascoltano e che a loro volta parlano e così via in un rimando continuo di messaggi, il cui obiettivo finale è darsi un senso, quel senso attraverso la creatività che migliora il benessere psicologico.
Caso clinico 1
Ragazza di 25 anni, con diagnosi, al momento del suo arrivo al centro per i disturbi del comportamento alimentare, di pregressa anoressia nervosa restrittiva.
Al momento della presa in carico presentava una sintomatologia di tipo restrittivo con iperattività fisica volta al controllo del peso, e autolesionismo.Dalla anamnesi si poteva evincere una conflittualità famigliare elevata tale da indurre la paziente a lasciare la propria regione, e a trasferirsi in Valle d’Aosta, limitando molto i contatti con i propri familiari. Questi avvenivano quasi esclusivamente col fratello maggiore.
La paziente viveva sola, con due cani e un gatto, in un paesino di montagna, lavorando in un hotel come cameriera.
Riferimento importante e inviante al centro era la precedente datrice di lavoro, con la quale aveva stretto un rapporto affettivo significativo.
Il progetto terapeutico prevedeva, oltre ad una presa in carico individuale di tipo psicologico e nutrizionale, l’inserimento nel gruppo di arteterapia con l’obiettivo di imparare ad esprimere le proprie emozioni e il “tremendum” interno attraverso un canale diverso dal corpo.
Inizialmente opere pittoriche convenzionali, che presentavano una facciata adeguata, molto adeguata.. ( vedi rappresentazione corpo umano ), ma nelle stesse sedute, sul retro del foglio, venivano anche rappresentate altre scene, situazioni, personaggi, che raccontavano la storia vera. Il profondo dolore che c’era dietro la maschera.
Per un certo periodo “la storia vera “ non è stata mostrata per vergogna, dolore. Si sapeva che c’era ma non aveva ancora la possibilità di mettersi in luce.
Poi lentamente si è aperta ed è emersa la violenza sessuale subita da bambina, da parte del padre, con la compiacenza-aiuto della madre.
Disegni ed opere pittoriche, in questa fase sono state fortemente caratterizzate dall’esperienza dell’abuso, con figure-volti terrificanti, dal riso maligno e sardonico, che campeggiano nel foglio, insieme a pugnali, catene, fulmini, nubi nere minacciose, lacrime che sgorgano da occhi supplichevoli, ( i suoi occhi!) a volte coperti come la bocca da cerotti, e gabbie, grate, tante grate, che richiamavano i posti dove veniva rinchiusa.
E poi mani nere, grandi mani nere che si aprivano sul foglio con una voracità fagocitante, quelle stesse mani che la ghermivano, e quelle orme di scarpe che si avvicinavano, che richiamavano i passi del padre violentatore, mentre andava da lei.
Era spesso presente anche l’invocazione di aiuto a caratteri cubitali nel foglio, insieme ad altre parole che rieccheggiavano la violenza subita: “dolore devastante”, “ no lasciami”, “ urla soffocate” , “lacrime grida di dolore”.
Nella evoluzione del percorso di cura psicoterapico individuale e di arteterapia, nell’arco di circa 3 anni, si è ottenuta una presa di coscienza dell’abuso subito nell’infanzia, prima vissuto a livello inconscio, e inizialmente proposto nei lavori di arteterapia con molte difficoltà (disegni sul retro del foglio, non mostrati, solo accennati), poi esternato nei suoi contenuti e forme sia nel racconto verbale in psicoterapia individuale, che liberamente nella produzione pittorica, (anzi in alcuni momenti si è avuta una modalità di rappresentazione accentuata, quasi manieristica, e di compiacimento per il proprio “status” di paziente “abusata”, con disegni fortemente espressivi della violenza subita, a fronte di una condizione emotiva, e sintomatologica peraltro tranquilla).
Tale accentuazione, ripetitiva, e sottolineata coi disegni, dell’abuso subito, se da una parte poteva fare pensare ad una rielaborazione fantastica dello stesso, non congrua con la realtà del passato, dall’altra poteva semplicemente esprimere, dopo tanti anni di rimozione, e di somatizzazione, la “soddisfazione” “dell’Io”, ora cosciente dei nodi irrisolti della propria storia, della forza e del coraggio che gli sono stati richiesti per esprimerli pubblicamente, e del ritorno terapeutico positivo che alla fine tutto ciò aveva comportato.
Negli ultimi disegni ed opere pittoriche tutto questo si è espresso in modo affatto congruente: non più fogli pieni di mani nere, facce con solo occhi che piangono, coltelli, catene, gabbie, nuvole nere, mostri dal ghigno beffardo, ecc., rappresentati ovviamente col colore nero, o rosso, o grigio, a tinte fosche, ma paesaggi, ambientazioni naturali multicolori, col sole, l’arcobaleno, i prati verdi, il mare o semplicemente una miriade di coriandoli colorati che riempiono il fondo, a rappresentare la ritrovata gioia di vivere.
Ovviamente gli elementi precedenti “brutti e cattivi”, non erano scomparsi del tutto, ma venivano adesso riassorbiti, “re-integrati” nella nuova visione del mondo e di sé; ecco allora che il fulmine nero, quasi sempre presente nelle rappresentazioni dell’abuso precedenti, a significare la lacerazione interna subita, il dolore massimo, fisico ed emotivo, che una bimba poteva aver vissuto, viene collocato, rosso, nella metà sinistra, tutta nera del foglio, quella cattiva, tenebrosa, che ora però può essere individuata, demarcata, messa da parte, al suo posto, non nascosta, anzi evidente, ma ben separata dalla altra metà quella “buona”, nuova , solare, del paesaggio che sta a destra del foglio, al centro del quale, piccolo, ma grande, è presente il proprio cane, altro simbolo e strumento di rinascita.
Oppure lo stesso fulmine, ora giallo ( notare i colori diversi: rosso, giallo, non più nero), collocato in mezzo ad un tripudio di colori arcobaleno in una vivacissima composizione, quasi a dire che gli stessi simboli utilizzati per esprimere il dolore, possono a loro volta essere veicolo di significati opposti; ecco qui tutta la potenza dell’immagine e dei suoi simboli, giocata attraverso l’ambivalenza assoluta del loro potere (l’immagine simbolica, archetipica non ha un significato univoco, ma questo può variare in base al contesto ).
Concludiamo dicendo che l’importante miglioramento del quadro sintomatologico: la bulimia nervosa, l’autolesionismo, il ritiro sociale, l’iperattività fisica, ecc. è corrisposto ad una produzione artistica decisamente “altra” rispetto agli inizi, tanto da far dire, come solitamente si dice in questi casi, che gli ultimi disegni e dipinti sembrano non essere della stessa persona.
L’arteterapia, così come permette attraverso il non verbale, di esprimere il “tremenduum” del vissuto interiore, altrettanto potentemente riesce a far esprimere gli aspetti e i contenuti più “integrati”, che il processo di cura ha permesso di sviluppare.
Caso clinico 2
Ragazza di 26 anni con diagnosi, all’arrivo al centro per i disturbi del comportamento alimentare, di anoressia nervosa restrittiva e depressione maggiore.
Al momento della presa in carico lavorava come co.co.co presso la amministrazione regionale ed era iscritta all’Università, ma il percorso di studi era bloccato all’ultimo esame e alla tesi. Abitava da poco ad Aosta per motivi di lavoro, ma rientrava ogni fine settimana presso il nucleo familiare d’origine in un paese vicino.
A livello familiare si evidenziava un forte legame di dipendenza nei confronti della madre, mentre il padre era una figura marginale e poco significativa per entrambe.
Erano presenti anche due fratelli molto più grandi di età, entrambi già coniugati, e usciti da anni dal nucleo familiare d’origine.
A livello sintomatologico, dopo un primo periodo di restrizione alimentare marcata, che aveva portato ad un sottopeso importante, con allarme notevole del nucleo familiare, la paziente aveva virato verso una bulimia nervosa e successivamente verso un BED ( binge eating disorder ), con notevole incremento ponderale.
La componente depressiva è emersa come molto significativa, e la fatica di vivere come una delle problematiche più pressanti: questo era evidente fin dai primi elaborati artistici.
Dai disegni e dalle opere pittoriche si ricavava costantemente la solitudine dell’individuo, e il peso del mondo che su questo grava.
Piccole e nere figurine anonime, disegnate in modo schematico, con pochi tratti di pennello, rappresentanti la protagonista, campeggiavano frequentemente all’interno di composizioni, dove le stesse venivano ingoiate in vortici annichilenti, o ripetute all’infinito, comunicando un angosciante senso di frammentazione, o ancora impegnate in compiti difficilissimi e gravosi quali scalare montagne impossibili o trasportare in salita pesi enormi, oppure rinchiuse dentro gabbie appese a grandi alberi-madri.
Altre volte le stesse figurine piccole e nere sono inserite all’interno di scenette che richiamavano pezzi della propria storia famigliare, dove emerge prepotente il tema del distacco (figurina con valigia in mano che si allontana dalla casa, dai giochi, da un cuore infranto.. ), o quello della separazione-individuazione (figurina all’interno di una sfera-ovulo, unita come propagine più piccola ad una sfera-utero, all’interno della quale la stessa immagine della figurina riflessa in uno specchio, va in frantumi ).
Il tema della separazione-individuazione dalla madre, viene bene espresso dal dipinto multicolore di un grande Fiore-Madre, che occupa da protagonista il centro del foglio, peraltro piuttosto piccolo, alla base del quale si sviluppa un piccolo fiore-figlia, ma ancora “bocciolo”, dal quale i petali, rossi, come lacrime tristemente si staccano.
All’interno del percorso di gruppo in arte terapia affiancato alla psicoterapia individuale, i progressi rispetto alle tematiche identitarie e della separazione-individuazione, si sono evidenziati anche nella produzione espressiva, con il passaggio dalle produzioni sopra descritte a paesaggi luminosi, occupati da soli altrettanto splendenti, e sfolgoranti al “centro del foglio”, oppure a grandi alberi maestosi anch’essi occupanti il “primo piano della composizione”, come a sottolineare la maturata consapevolezza della propria posizione nel mondo, separata, e individuata rispetto a tutto il resto, o ancora composizioni astratte multicolori, assai vivaci, caratterizzate da un forte dinamismo, quasi a “gridare” fuori tutta la forza, la scioltezza, e l’energia precedentemente coartate in composizioni dai toni cupi, pesanti, e dalle linee marcate.
Ma soprattutto è l’assenza delle tristi figurine nere a caratterizzare la produzione dell’ultimo periodo, quasi a dire che la paziente ha “cambiato pelle”, ha superato e integrato, attraverso il percorso di cura, le parti più malinconiche e tristi del proprio “sé”, il proprio nucleo depressivo più annichilente, quelle parti che le impedivano di vivere, se non attraverso il dolore di una sintomatologia distruttiva.
Il cambiamento si è anche manifestato con la separazione dalla figura materna e l’individuazione di sé come persona con capacità e competenze.
Il presente studio non ha ricevuto alcun finanziamento.
Dr. Paolo Bocchia, Medico Nutrizionista
Dr.ssa Milena Bertelli, Psicoterapeuta
Dr.ssa Wanda Boffa, Psicoterapeuta