20 Nov Artiterapie: Roma 9-10 novembre-Recensione del convegno
Si è rinnovato il 9 e 10 novembre, l’appuntamento annuale con il Convegno Le Trame dello sguardo 3.0, giunto alla sua terza edizione, organizzato dalla Rivista Nuove Arti Terapie e dall’Associazione Europea per le Artiterapie, ospitato anche quest’anno, nella prestigiosa sede dell’Auditorium della Pontificia Università Antonianum. Il Convegno è stato un’occasione d’incontro e confronto su due tematiche, La relazione come cura e Immagini e narrazioni di sé, elaborate in due giornate dense di riflessioni e di testimonianze.
La prima giornata dal titolo La relazione come cura è stata dedicata alla riflessione e allo scambio di esperienze inerenti al tema dell’importanza della relazione come vero e proprio strumento terapeutico, sia nell’ambito della malattia organica che nell’ambito del disagio psicologico. Ci è sembrato particolarmente interessante e stimolante la riflessione, che ha fatto da sfondo a tutti gli interventi: quale dovrebbe essere il tipo di relazione che si può intendere come terapeutica, come portatrice di qualcosa di buono per sé e per l’altro… ?
Ogni relatore ha presentato riflessioni, esperienze, studi che hanno delineato, nonostante la diversità degli approcci e dei punti di vista, una strada che è sembrata comune: la relazione intesa come strumento di cura deve avere delle caratteristiche precise, delle qualità specifiche, ovvero non coincide solo con la volontà di aiutare l’altro, o con il semplice contatto o il trovarsi a condividere uno stesso spazio (per esempio uno spazio di cura come un ospedale). Non può essere quindi improvvisata, piuttosto richiede un percorso di conoscenza e consapevolezza di sé, dell’incontro con l’altro e delle possibilità relazionali che possono essere messe in gioco nello spazio di questo incontro.
Sono intervenuti nell’ordine i seguenti relatori, i cui contributi sono stati presentati e messi in relazione in modo egregio, seguendo un ordine non semplicemente formale ma capace di evidenziare le diverse sfumature emotive e metodologiche, dalla dottoressa Anna Maria Acocella:
Emilio Gattico, Paola Luzzatto, Ivo Cilesi, Britt Marie Egedius-Jakobsson, Rosella De Leonibus, Luigi Attenasio, A. Maria Acocella, Rossella Bergo, Glauco Siviero.
Il tema della relazione d’aiuto è stato considerato sotto diversi punti di vista, da quella più prettamente filosofica del Professor Emilio Gattico, docente di Psicologia dello Sviluppo e dell’educazione, che ha aperto una riflessione molto interessante sulla necessità di costruire rapporti “realmente intersoggettivi” nelle relazioni di cura e quella di considerare i sintomi che la persona presenta attraverso uno schema che prende in considerazione la sua totalità. A quella della dott.ssa Paola Luzzatto, arte terapeuta, che ha proseguito illustrandoci le possibilità di lavoro arte terapeutico con pazienti di vario tipo, sottolineando le possibilità che il mezzo artistico offre nella relazione di cura, concludendo con un lavoro molto interessante, realizzato con malati terminali, che ha permesso, attraverso le immagini, alle persone di narrare il proprio mondo interiore ed il proprio vissuto nei confronti della malattia.
La giornata è proseguita con l’intervento del Dott. Ivo Cilesi e della Prof.ssa Britt Marie Egedius-Jakobsson, che hanno mostrato le possibilità di lavoro con la Doll Therapy, narrandoci i primi esordi fino all’utilizzo attuale come “mediatore relazionale” con pazienti malati di Alzheimer. E’ stato molto emozionante ascoltare la storia di Britt Marie, che ha creato la bambola empatica per comunicare ed entrare in relazione con il suo bambino malato. Britt Marie ha parlato in modo commovente della sua storia, di come il bisogno di essere più vicina a suo figlio le ha dato l’ingegno di creare qualcosa di nuovo, che si è poi nel tempo rivelato un potente mediatore di emozioni non solo per lei, ma anche per tutte quelle persone che, ormai in tutto il mondo, sono venute in contatto con le sue bambole. Contatto che per molte persone rappresenta o può rappresentare una possibilità di incontro con se se stessi, con gli operatori e con i caregiver. Incontro che sembra muovere nei pazienti qualcosa di profondamente umano e complesso. Da un kit di sopravvivenza personale, come la stessa autrice definisce, la bambola terapeutica è diventata nel tempo e in luoghi diversi , un kit di sopravvivenza per molti. Ne è una prova la metodologia della Doll Therapy inserita nella sua struttura per malati di Alzheimer che il dott. Ivo Cilesi ha ampiamente descritto e narrato anche attraverso immagini e filmati significativi. Centrare la relazione sulla persona e non sulla malattia o sulla prestazione, significa, come più volte sottolineato, prendersi cura da parte degli operatori, della relazione con i pazienti ogni giorno e in ogni luogo di cura.
A tale proposito l’intervento della Dott.ssa Rosella De Leonibus ha illustrato un tema molto interessante: Il sé come ecosistema affrontando il tema dell’incontro relazionale come scambio reciproco e delle necessarie “intelligenze” che devono essere utilizzate dagli operatori della relazione d’aiuto. L’intervento ci è sembrato veramente ricco di spunti interessanti e ha reso bene la complessità che c’è dietro l’esperienza della relazione aiutante/aiutato, che di nuovo appare come un intreccio di competenze e intelligenze specifiche. Le cinque intelligenze relazionali, alle quali si riferisce, vanno apprese, sostenute e sviluppate con un training specifico, quello che dovrebbe sempre seguire l’operatore per rendere la relazione il suo strumento di cura.
Il pomeriggio è proseguito con l’intervento del Prof. Luigi Attenasio, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale della ASL Roma C, che ha affrontato il tema della chiusura dei manicomi e delle possibilità di cura per pazienti psichiatrici, sottolineando l’importanza dell’aspetto relazionale e della dignità della persona. Attenasio ha raccontato due episodi di quotidiana prassi psichiatrica, che hanno poi aperto ad una interessante e partecipata riflessione sul ruolo, anzi diremo più sulla responsabilità, dell’operatore d’aiuto nella spinosa questione della protezione del paziente da se stesso attraverso il ricovero in ospedale e la sua custodia. La domanda che emerge spontanea è appunto se custodia e cura coincidono! Tema da sempre molto caldo nell’ambito della psichiatria, dai tempi di Basaglia, e ancora oggi molto attuale, da cui è seguita una discussione appassionata: l’ospedale psichiatrico cura o imprigiona i pazienti? Né l’uno né l’altro. Perché non è la struttura ospedaliera, ma sono i medici e tutte le persone che vi lavorano a farne una buona o una cattiva struttura. Ancora una volta è la relazione tra le persone, al di là dei possibili umani errori, che dà senso alla cura stessa.
La Dott.ssa Annamaria Acocella, che ha facilitato la discussione con il pubblico e tessuto il filo conduttore di tutti gli interventi, ha aperto una riflessione sui luoghi di cura, di come la relazione chiami in causa il vissuto del caregiver e di come la “competenza all’ascolto non si improvvisa” ma ha bisogno di essere affinata per poter favorire, facilitare e nutrire il contatto con l’altro. Definendo la differenza fra curare e guarire, per l’operatore si apre un orizzonte dell’aiuto diverso e molteplice, nel quale, il prendersi cura, lo conduce, insieme al paziente, oltre la malattia.
Ed è proprio rispetto a questo che hanno concluso i lavori della giornata, Rossella Bergo e Glauco Siviero, clown dottori, che hanno raccontato anche attraverso delle immagini, la loro attività presso i reparti di alcuni ospedali e nelle zone di guerra, tratteggiando il senso e il significato della risata nell’ambito dei luoghi di cura, sottolineando l’importanza e la sua caratteristica terapeutica. Il clown dottore rappresenta quella figura professionale di tipo “artistico” che viene adeguatamente formata per interagire in un ambiente difficile e complesso come quello dell’ospedale. Ha il compito di sdrammatizzare le situazioni di disagio, ridurre lo stato di ansia, trasformare le emozioni negative quali paura, rabbia, delusione, tristezza virandole al positivo, verso il sorriso, il coraggio, la speranza, la gioia.
Nella seconda giornata dal titolo Immagini e narrazione di sé sono intervenuti:
Ana Mampaso, Stefano Ferrari, Niko De Masi, Cristiano Pinto, Kate Broom, Paolo G. Quattrini, Oliviero Rossi, Daniele Naldi, Ekin Bayurgil, Camilla Urso.
Il chairman di questa seconda giornata è stato il Prof. Oliviero Rossi, psicoterapeuta e direttore del Master “Foto video teatro e mediazione artistica nella relazione d’aiuto”.
Il tema della possibilità di narrare se stessi attraverso le immagini è stato aperto dalla Prof.ssa Ana Mampaso, dell’Università di Madrid, che ha raccontato “Un caso di aiuto attraverso il video, la fotografia e le arti visive”. La professoressa ha illustrato in modo piacevolmente dettagliato le fasi di lavoro con un ragazzo con disturbi psichiatrici, per il quale, vista la sua situazione di chiusura emotiva, relazionale e verbale lo psichiatra aveva chiesto di intraprendere un percorso con l’arteterapia. Il lavoro della Mampaso ci è sembrato molto interessante, sottile e incisivo in quanto ha permesso al ragazzo di esprimere le sue emozioni senza utilizzare le parole, di prendere contatto con il mondo attraverso le immagini dei suoi personaggi, pupazzi di Pongo, animati attraverso tecniche di stop motion. Suggestivo e commovente vedere questi piccoli capolavori artistici di umanità, ironia, disperazione. La sensazione è di aver conosciuto in poco tempo, grazie ai lavori documentati dalla Mampaso, una parte importante del mondo interiore di questo ragazzo.
Il Prof. Stefano Ferrari, docente di psicologia dell’arte all’Università di Bologna, ha poi aperto una finestra prettamente artistica sulla riflessione delle trame dello sguardo tra il pittore e la sua modella per poi arrivare a quello tra paziente e terapeuta, attraverso l’illustrazione di numerose immagini pittoriche e grafiche nelle diverse epoche. Molto suggestiva l’esposizione dell’iconografia fotografica della Salpêtrière, la famosa clinica di Charcot in cui venivano curate le donne “malate” di isteria. L’analisi di queste immagini rivela una sorta di vera e propria messa in scena del corpo isterico e di come Charcot in questa cura dello sguardo sia stato anche una sorta di artista, in un rapporto ambivalente di sguardi offerti dal medico e di sguardi ricevuti dalle malate che apparivano imprescindibili sia per l’uno che per le altre.
Il Dott. Niko Demasi, ha illustrato le diverse possibilità di lettura di un’immagine prigioniera dello schermo che la contiene.
Il Dott. Cristiano Pinto ha mostrato le diverse possibilità di software disponibili per coloro che vogliono utilizzare la tecnologia ed il video partecipativo come strumenti nella relazione d’aiuto con adolescenti. Il dott. Pinto ha illustrato, con il suo intervento, come l’abilità tecnologica e le competenze specifiche della relazione d’aiuto sembrano davvero un binomio irrinunciabile per sviluppare nei ragazzi il potenziamento delle loro capacità relazionali.
Il pomeriggio è proseguito con un interessante e articolato intervento della Pro.ssa Kate Broom, che ha illustrato diverse strategie fotografiche finalizzate allo sviluppo delle capacità di resilienza, prerequisito base per raggiungere un buono stato di benessere individuale e collettivo.
L’intervento del Dott, Paolo Quattrini, La psicoterapia e il fumetto, ha mostrato le possibilità di narrazione di una seduta terapeutica attraverso la tecnica del fumetto. La collaborazione di un terapeuta ed un fumettista è sembrata davvero molto ricca di spunti interessanti. La traduzione del processo terapeutico nel linguaggio analogico del fumetto ha permesso di rendere visibili i tratti che lo caratterizzano.
Il Prof. Oliviero Rossi ha esposto attraverso allettanti e divertenti immagini commentate, le diverse possibilità di narrazione attraverso l’immagine, partendo dalla storia del Fotoromanzo per arrivare al senso e al significato del Fotodramma, definibili come tecniche di facilitazione nella narrazione di sé. Lo sguardo dell’operatore attento sembra, in tal senso, aprirsi come un obiettivo grandangolare che può cogliere e trasformare insieme all’altro, immagini, sogni, ricordi, storie ecc..
L’intervento del dott. Daniele Naldi, ha ripreso nel suo intervento alcuni di questi concetti sottolineando le potenzialità dei mediatori artistici all’interno della relazione d’aiuto e mostrando una esperienza di autobiografia per immagini fotografiche di una paziente che ha ricostruito la sua storia narrandola come se fosse una sorta di favola. E la sua storia vissuta, narrata, anzi, ri-narrata si è trasformata!
Hanno concluso l’intenso pomeriggio due ex allieve del Master “Video, fotografia, teatro e mediazione artistica nella relazione di aiuto” che hanno condiviso un interessante lavoro di Autoritratto relazionale facendo una riflessione molto accurata su come questa tecnica possa essere uno strumento di aiuto e di esplorazione della relazione e di se stessi. Camilla Urso ed Ekin Bayurgil hanno utilizzato la tecnica del ritratto e dell’autoritratto fotografico per raccontare il loro mondo emotivo, mettendo in scena nelle fotografie, tra l’altro bellissime, il loro mondo relazionale. Una sorta di autoterapia, di coraggioso percorso di conoscenza di se stessi e dell’altro, una messa in scena del proprio corpo che in qualche modo ci ha ricordato, nella sua diversità, quella delle immagini delle pazienti della clinica di Charcot. Nella sua diversità certo, perché è cambiato il mondo, sono cambiate le donne e la loro esposizione allo sguardo dell’uomo, è cambiato il rapporto medico-paziente e la luce è, speriamo, definitivamente puntata sulla relazione e non sulla malattia, è cambiata l’intenzione artistica con cui ci si offre all’obiettivo: dalla messa in scena delle sue pazienti da parte del medico della seconda metà dell’ottocento, all’autonomia espressiva e alla comunicazione dell’unicità di ogni mondo interiore che due giovani donne ci propongono, con determinazione, oggi.
Silvia Auditori, Gaia Miletic