20 Nov Atelier di arteterapia in RSA: “Al mio primo ballo”
di Rosalba Semeraro
Premessa
Migliorare la qualità della vita della popolazione è ormai un imperativo diffuso nel mondo occidentale, d’altro canto il diritto di ogni persona ad ottenere uno stato di un benessere completo, complesso e multicomprensivo è stato sancito dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1946 quando è stata data una nuova definizione del concetto di salute che riguarda gli ambiti fisico, mentale e sociale di ogni individuo.
Una buona qualità della vita deve essere quindi garantita alla popolazione da Istituzioni ed Enti che si occupano di erogare servizi sociosanitari.
Una RSA è certo un luogo in cui l’attenzione alla qualità della vita dei propri ospiti è compito primario ed ineludibile nonché compito delicato dato lo statuto di fragilità che spetta alla quasi totalità degli anziani che vi dimorano.
In RSA, inoltre, la presa in carico del soggetto deve riguardare tutti gli ambiti del benessere data la valenza duratura del servizio offerto.
Da queste premesse nasce l’idea che l’istituzione di un atelier di arteterapia in RSA possa svolgere la funzione di osservatorio privilegiato sulle condizioni del benessere globale (inteso come well being e non solo come welfare) e della salute degli ospiti che ne fruiscono.
Ipotesi di lavoro
Organizzare un atelier di arteterapia all’interno di una residenza per anziani è parso necessario ad operatori ed amministratori perché ‘i vecchietti sono cambiati’ – afferma Sabrina, veterana fra le ASA della RSA “Girolamo Delfinoni” di Casorate Primo, in provincia di Pavia – ‘sono più aggressivi, agitati, meno sereni’.
I vecchietti sono cambiati, naturalmente: è cambiata la loro età media, la cultura di appartenenza, cambiano le abitudini e le necessità di queste nuove generazioni di anziani per definirli con un ossimoro.
Proprio per cercare di comprendere quali siano i bisogni reali e forse inespressi dei residenti ai ‘Delfinoni’ è nata l’idea di istituire un atelier di arteterpia che fosse una sorta di osservatorio sul campo in un percorso esperienziale che è al tempo stesso un processo di screening sulle condizioni cognitive e psicoaffettive dei suoi ospiti e un lavoro teso al miglioramento della qualità della vita della comunità.
METODI
Obiettivi
Il progetto si configura come laboratorio di ricerca-intervento[i] il cui obiettivo sovraordinato, nella prospettiva degli utenti, è ottenere una migliore qualità della vita che, declinata più nello specifico significa essere maggiormente integrati in una struttura in cui, nella stragrande maggioranza dei casi, non si è scelto di risiedere;
significa creare una rete di affetti fra persone che , per capricci del caso e – ancora una volta non per scelta – abitano nello stesso luogo;
significa appropriarsi di luoghi che, forzatamente condivisi, richiedono di ridisegnare gli spazi in cui spendere la propria intimità;
significa fare appello alla propria esperienza di vita e alle proprie capacità produttive;
significa recuperare un panorama ampio di attività e sentimenti che possano dare colore e senso ad una serie di giornate che si prospettano sempre uguali.
Esiste un’altra finalità del progetto, che riguarda più da vicino gli scopi di una psicologia di comunità, ed è quella di offrire agli operatori la possibilità di intercettare una domanda d’aiuto in una popolazione, quella degli anziani in casa di riposo, che, troppo spesso, non si riconosce il diritto a domandare.
Per poter definire una prima mappa dei bisogni, che sia utile ed ancorata alla reale domanda dei soggetti è necessario operare una distinzione fra soggetti con deterioramento cognitivo e soggetti non compromessi.
Operazione, questa, piuttosto complessa poiché complesso è porre una linea di demarcazione fra una condizione paucisintomatica di declino cognitivo e una condizione di normal aging[ii].
Per cercare di ridurre al minimo il peso di questo limite si è scelto di sottoporre i partecipanti ad una serie di prove costituite da test già validati e standardizzati sulla popolazione italiana (tab.1)
[i] La ricerca-intervento è una metodologia operativa diffusa nell’ambito delle scienze psicosociali, la cui peculiarità è di riuscire a coniugare una finalità di ricerca (solitamente votata alla raccolta di dati osservativi su uno specifico gruppo di persone) ed il contemporaneo effetto terapeutico ottenibile sui partecipanti.
[ii] Per normal aging si intende la condizione di invecchiamento normale in cui un lieve rallentamento di funzioni congitive, soprattutto mnestiche, è considerato fisiologico.
Partecipanti
Le persone invitate a partecipare sono state 16, ma altri numerosi ospiti si sono aggregati spontaneamente al gruppo di lavoro durante tutto il tempo in cui l’atelier è risultato attivo.
I requisiti minimi richiesti per poter accedere alle attività di arteterapia sono:
• Assenza di compromissione motoria arti superiori
• Comprensione messaggio verbali
• Pregressa partecipazione alle attività di animazione.
Setting
Tutte le attività di arteterapia si sono svolte in una sala comune della Residenza, sala utilizzata per le attività di animazione, provvista di un lungo tavolo, comode poltroncine e spazio per le persone in sedia a rotelle (fig.1).
Fig.1 il setting di arteterapia presso la RSA “G. Delfinoni” di Casorate Primo (PV)
I materiali necessari per l’attività artistica venivano, di volta in volta, trasportati dagli operatori ed alcuni utenti, dal deposito alla sala comune; questa fase di preparazione, in cui il via vai di persone cariche di pennelli, creta, grandi bottiglie di colore a tempera, cartoncini colorati e morbide stoffe fluenti è risultata fondamentale nel ‘sedurre’ altri ospiti, normalmente disinteressati alle attività che si svolgono routinariamente in RSA.
Il gruppo di lavoro, quindi, è risultato decisamente mosso dal transito di curiosi che, a volte timidamente altre con gioia, si sono scoperti novelli artisti .
Fasi operative
“Atelier di arteterapia” è un progetto pilota, durato circa quattro mesi, articolato in due incontri settimanali; questo arco di tempo è risultato sufficiente perché si utilizzassero diversi materiali delle arti visive .
Ogni incontro è strutturato in base a finalità ed obiettivi clinici specifici (tab.2) pur in un quadro di attività fluido e mai rigidamente predefinito per temi, tecniche e materiali.
Tab.2 Attività svolte in atelier, con temi funzioni e d obiettivi correlati
OSSERVAZIONI
Creare una relazione con gli ospiti della RSA che consentisse lo svolgimento del lavoro in atelier in modo utile e fecondo è stato molto facile, un po’ perché si è scelto, strategicamente, di coinvolgere nel progetto i protagonisti dei gruppi di animazione: gli utenti abituali e l’animatrice; un po’ perché il fascino dei materiali delle arti visive è, per molte persone, irresistibile.
Il bilancio, a conclusione del progetto, è decisamente positivo non solo perché gli ospiti si sono mostrati entusiasti e partecipi ma anche perché è stato possibile mettere a punto una serie di osservazioni cliniche indispensabili per formulare un piano di interventi finalizzato a migliorare la permanenza degli anziani in casa di riposo.
Dalle varie osservazioni emerge la necessità di fare perno sull’effetto imitativo e sulla curiosità che spingono molti ospiti ad aderire spontaneamente alle attività, per incrementare i gruppi di lavoro sia per numero di partecipanti che per natura delle attività.
Per quanto riguarda gli scambi relazionali fra gli utenti, l’attività artistica ha permesso che si moltiplicassero rendendo possibile, in alcuni casi, la collaborazione di due o più soggetti alla realizzazione di un’unica opera:
Paola, ha un tremore alle mani che le rende difficoltoso ottenere contorni e coloriture precisi, ma ha le idee chiare su cosa le piace realizzare; ama gli azzurri e le rose rosse, i suoi collage sono stanze per ospitare un gran numero di persone: sedie e poltrone dalla tappezzeria vivace; grandi lampade e ampi tavoli rotondi vengono selezionati con entusiasmo e incollati sul suo grande foglio bianco.
Ma a volte Paola perde la pazienza, questo tremore la rallenta un po’, allora chiede aiuto agli operatori: “Dai, dai fammelo tu, dai”.
Perché non Carmelina allora?
Carmelina ha scritto poesie fino a qualche anno fa, adesso sia aggira per i corridoi e le sale della RSA chiedendo più e più volte, a chiunque le capiti a tiro, se i gioielli che indossa sono d’oro.
E’ irretita fra le spire una reiterazione perenne che le impediscono di avere una vita di relazione soddisfacente; viene evitata, sgridata dagli altri ospiti che mal sopportano questa sorta di litania composta da poche frasi : “E’ d’oro?” “Dici che è d’oro?’” “Qualcuno me lo porterà un braccialetto?”.
Carmelina ha problemi con la memoria di lavoro, ma nessun problema motorio.
Perché non con Paola?
Proviamo a far lavorare assieme Paola e Carmelina, il risultato è un grande collage nello stile di Paola ( figg. 2, 3 ) ma realizzato interamente da Carmelina, in più – e soprattutto, per circa mezz’ora nessuno ha sentito parlare di braccialetti e pendagli d’oro.
Fig.2 Collage realizzato da Paola
Fig.3 Collage realizzato insieme da Paola e Carmelina
Un ulteriore indice clinico emerso sia durante le sedute in atelier sia dall’analisi formale dei manufatti, evidenzia con molta chiarezza che molti degli ospiti che mostrano abitualmente una forte flessione dell’umore in direzione depressiva hanno offerto una inedita disponibilità al dialogo con gli operatori e un certo grado di partecipazione alle attività pratiche che hanno interrotto, seppur temporaneamente, le ruminazioni e il loro isolamento:
Angela ha accolto le mie prime sollecitazioni ad avvicinarsi al tavolo di lavoro in modo brusco:
-Ma che primavera e primavera, io ho quasi cent’anni, sono qui e aspetto di morire.
– Ci sarà qualche bel ricordo legato alla primavera.
– Non ho bei ricordi e sa perché? Perché sono vecchia!
Angela piange, sommessamente, piange perché è vecchia e questo proprio non le va giù.
Parla con pochissime persone e se qualcuno degli altri ospiti prova a consolarla la manda via malamente perché “non mi interessano i guai degli altri”.
Angela occupa sempre lo stesso posto, in quelle sue giornate che mi figuro interminabili in cui la rabbia e il dispiacere di essere vecchia la inchiodano ad un senso di inutilità disperato.
Ma l’occupare sempre lo stesso posto la costringe ad essere una delle spettatrici più assidue del nostro atelier; è seduta proprio vicino al nostro grande tavolo da lavoro, e viene da lei, dal primo ricordo felice che riesco – con ostinazione- a rubarle, il tema che coinvolgerà l’intero gruppo nei mesi successivi del nostro lavoro insieme:
“Al mio primo ballo” (fig4, 5, 6)
Fig.4 La sala da ballo di Federica
Fig.5 La sala da ballo di Carmelina
Dopo i primi sei incontri, trascorsi a sperimentare varie tecniche, impegnati ad incontrarci su un tema di interesse comune, raggiunto un livello di confidenza sufficiente perché ognuno potesse decidere se e come impegnarsi in questa esperienza, siamo entrati nella fase di progettazione della nostra sala da ballo. In questa fase Armando ha dato il meglio di sé: Armando è un geometra, ha progettato saloni, portoni e finestre ma, pochi minuti dopo averlo fatto ti chiede “Ma chi l’ha fatto questo disegno, ma l’ho fatto io?” (fig 6).
Tuttavia Armando è uno dei pochi che non ha disegnato se stesso, tutti gli altri hanno accettato con entusiasmo di raffigurarsi assieme al compagno o alla compagna con cui, molto, molto tempo addietro hanno assaporato il gusto della danza.
Ne è emersa una allegra fila di personaggi, con le acconciature, i vestiti e gli accessori indossati quella ‘prima volta’ tirata fuori dal cassetto di una memoria episodica che, fortunatamente è l’ultima a tradirci.
Fig. 6 Portone d’ingresso alla sala da ballo progettato da Armando
Il lavoro di atelier si è concluso con una mostra dei lavori realizzati dagli ospiti, molti dei quali sono i progetti per la realizzazione della sala da ballo comune: un plastico ottenuto con materiali vari, una sorta di “casa di bambole” decorata ed arredata con cura, esposta presso la RSA (fig 7, 8, 9).
Fig. 7 Plastico della sala da ballo collettiva
Ciò che di prezioso se ne è ricavato da questa esperienza (al di là dei dati puramente clinici, pur infinitamente preziosi) riguarda il piano umano:
le lacrime di gioia di Angela e degli altri novelli artisti nel vedere esposte le proprie opere;
la voglia di confrontarsi, di parlare agli altri dei propri disegni, della proprie capacità e – a coronamento di tutto – l’aver scoperto che un progetto, a medio termine, è ancora possibile.
Perché c’è vitalità in ogni essere umano, fino all’ultimo dei suoi giorni e a noi operatori spetta il compito e il piacere di risvegliare questa vitalità sopita.
Fig.8 particolare della sala da ballo con i ballerini che si recano alla festa
Responsabile del progetto:Rosalba Semeraro psicologa, arteterapeuta
collaborazionI: Enrica Maiocchi presidente cooperativa sociale Noiconvoi (Pavia)
Elisabetta Riva neuropsicomotricista
Valentina Laino animatrice RSA “G.Delfinoni” Casorate Primo (PV)
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
1) Caffarra G., Durante R., L’attivazione cognitiva nei pazienti dementi. www.unipv.it
2) Cester A., Formilan M., Busonera f., et al. Gli aspetti funzionali si possono misurare? Metodologie di assessment in riabilitazione cognitiva. Come valutare gli outcome. VI Corso di valutazione Cognitiva. G.Gerontol. 2007;55:355-382.
3) Salza C. Arteterapia e Alzheimer. Nodo Libri, Como 2007
4) Warren B., Arteterapia in rieducazione riabilitazione. Edizioni Erikson, Trento 2005