Coming Art

Il mediatore artistico nel lavoro con i clienti LGBT

di Fabio Meloni

Per quanto ancora poco indagato dalla letteratura specialistica, l’intervento arte terapeutico con le persone LGBT sembra ottenere molto frequentemente risultati apprezzabili. In particolare, sarebbe il delicato e complesso processo del coming out quello durante il quale l’arte terapia si rivela di maggiore utilità e sostegno. Le tecniche di arte terapia e l’utilizzo del mediatore artistico consentono, infatti, di esplorare vissuti sgradevoli come la rabbia, la paura e la vergogna e di esprimere sentimenti ed emozioni che spesso è difficile verbalizzare.

Laura M. Pelton-Sweet e Alissa Sherry in: “Coming Out Through Art: A Review of Art Therapy With LGBT Clients” (2008), un articolo scritto per Art Therapy: Journal of the American Art Therapy Association, citano alcune tecniche arte terapeutiche che la letteratura riporta come tra le più frequentemente utilizzate con i clienti LGBT. L’attività “Inside Me, Outside Me”, ad esempio, prevede che il cliente crei due autoritratti, uno che rappresenta la propria personalità pubblica e l’altro la propria intimità, il versante più privato di se stesso. Non sorprendentemente, nelle fasi iniziali di accettazione del proprio orientamento sessuale e di “rivelazione” agli altri significativi, i due ritratti possono apparire molto differenti. Un’altra tecnica di largo impiego prevede la creazione, da parte del cliente, di puppets che “parlano” per lui e attraverso le quali diviene più agevole esprimere le parti di sé vissute come maggiormente esposte a sentimenti di vergogna o di imbarazzo. Il collage, invece, si caratterizza per la sua accessibilità anche a persone che non si sentono a proprio agio con il processo tradizionale di creazione artistica: le immagini, le parole o le frasi che compongono un collage – entro il quale la libertà di scelta dei mezzi espressivi è massima, rispetto ad altre tecniche – consentono di aprire nuove possibilità per la discussione e per la scoperta di sé.

Pelton-Sweet e Sherry non mancano di sottolineare che il processo di coming out – che ha una durata estremamente variabile da persona a persona, da pochi anni a tutta la vita – può condurre, almeno all’inizio, ad un crescente isolamento sociale e ad un inasprirsi del pregiudizio. Per questo motivo, definire la salute mentale nei termini del grado di rivelazione di sé agli altri può essere molto fuorviante. Iniziare e attraversare un processo di coming out non è necessariamente l’unico modo di vivere in modo sano il proprio orientamento LGBT. Analogamente, le due autrici pongono l’attenzione sul fatto che, nel lavoro con le persone transgender, sarebbe bene considerare concezioni del sesso differenti da quella tradizionale, costruita su un modello binario. Un’ipotesi alternativa è quella fornita dalla Teoria Queer, in gran parte fondata sul lavoro di Judith Butler, che teorizza l’idea del genere come un continuum – più che uno stato determinato una volta per tutte – all’interno del quale sono possibili infinite variazioni rispetto agli estremi rappresentati dai costrutti di “uomo” e “donna”. Infine, un arte terapeuta competente nel lavoro con clienti LGBT porrà particolare attenzione anche ai simboli caratteristici della comunità LGBT: arcobaleni e triangoli rosa rovesciati, solo per fare un esempio, sono frequenti nei lavori creativi di questo tipo di clienti e, per quanto non essenziale, conoscerne uso e significato riveste particolare importanza soprattutto allo scopo di far sentire la persona accolta, compresa e incoraggiata.

A margine dell’articolo di Pelton-Sweet e Sherry, senz’altro meritevole di attenzione per aver esplorato un ambito ancora poco indagato dalla letteratura accademica e per aver posto l’accento sul fatto che il lavoro con le persone LGBT presenta indubbiamente delle peculiarità che dovrebbero essere affrontate nel percorso formativo di un arteterapeuta, ritengo opportuno sottolineare che, al di là delle competenze tecnico-artistiche o della conoscenza approfondita del mondo LGBT, è la relazione cliente – arteterapeuta a costituire lo spazio autentico dell’intervento. Il mediatore artistico è, appunto, un mezzo il cui scopo è, fra gli altri, quello di abbattere delle barriere non solo interne ma anche fra sé e gli altri e, nondimeno, tra cliente e arte terapeuta. Il mediatore artistico, come sostiene Oliviero Rossi (2009) è ciò che “permette una modulazione [e] che favorisce l’incontro del cliente con il terapeuta o del cliente con la sua capacità creativa. Ma comunque l’arte diventa un mediatore nella relazione tra sé e l’altro e tra la persona con sé stessa”. È questo aspetto della relazione “mediata” tra il cliente e l’arteterapeuta e del loro reciproco personale coinvolgimento che sembra passare in secondo piano – fatta eccezione per gli aspetti informativi ma, tutto sommato, “impersonali” sulla cultura LGBT o sulle teorie del genere – nel pur interessante articolo di Pelton-Sweet e Sherry e che, invece, andrebbe recuperato sia nella trattazione del tema sia nelle raccomandazioni sul training di un buon arte terapeuta.

Redazione NuoveArtiTerapie
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