Danzaterapia

Danzaterapia e scuola: un’esperienza interculturale.

Con il nostro rito ci ritroviamo qui, ancora una volta, per danzare insieme.

Con il nostro rito ci ritroviamo qui, ancora una volta, per danzare
insieme.

di Angelica Bruno

La mia attività d’insegnante nella scuola primaria, mi ha dato spesso l’opportunità di attuare alcuni progetti nell’ambito della danzamovimentoterapia.

La danzaterapia per bambini e adolescenti è una danza come “forma” di educazione.

L’energia vitale che spinge il bambino ad esprimersi, a conoscere, a comunicare, diventa attraverso una danza senza stereotipi o formalismi, espressione completa di un sé profondo.

Attraverso la danza anche il bambino più “chiuso” può “aprirsi”, a se stesso così come agli altri ed acquisire un maggior senso di fiducia. In questo modo può conoscersi e, attraverso questa consapevolezza, può conoscere e apprendere con entusiasmo.

L’introduzione della danzaterapia nelle scuole è importante perché il bambino/ragazzo può praticarla direttamente nel luogo dove studia, dove cresce, dove possono nascere e risolversi i conflitti.

In questa sede mi soffermerò sull’esperienza vissuta con una classe III multiculturale, composta da 22 bambini di 7/8 anni, 16 dei quali provenienti da diversi paesi del mondo (Ecuador, Sri Lanka, Filippine, Bangladesh, El Salvador, Colombia).

Quotidianamente insegnavo loro le discipline inerenti l’ambito linguistico antropologico.

Nell’insegnamento della lingua italiana ero affiancata da un facilitatore linguistico, che seguiva, in piccoli gruppi, i bambini stranieri di prima accoglienza.

Da Settembre a Dicembre, ho avuto modo di conoscere le personalità, i caratteri e le situazioni peculiari di alcuni bambini.

In particolare, la mia attenzione è stata catturata da K., una bambina proveniente dall’Ecuador.

  1. vive il disagio di essere arrivata a 7 anni in un paese straniero e di essere stata inserita in una classe che era già in seconda, (organizzata “a modulo”); presto, però, un ulteriore cambiamento. La mamma di K. per esigenze lavorative, la sposta in un’altra classe (organizzata con il “tempo pieno”), la mia.

Trovo che K. sia una bambina dolcissima e di una intelligenza vivace. Il suo apprendimento della lingua italiana procede lento ma con buoni risultati; questo, però, può essere dedotto solo dai suoi scritti poiché K. si rifiuta di parlare.

Tuttavia mi sorride, e questo m’incoraggia.

I mesi passano e K. si chiude sempre più nel suo “mutismo”.

Il “caso” viene segnalato alla famiglia e ci viene assicurato che la bimba sarà sottoposta presto a visite specialistiche.

  1. non si relaziona con i suoi compagni, eccezion fatta per qualcuno di madre lingua spagnola che frequenta con lei il piccolo gruppo seguito dal facilitatore linguistico; quest’ultimo mi conferma i progressi nella lingua, aggiungendo che K. parla poco e sottovoce solo quando si trova con poche persone.

Le verifiche orali con K. avvengono in forma “privata”: se la classe non ascolta, lei è incoraggiata a parlare ed io riesco finalmente ad ascoltare un filo di voce.

Partendo dalla mia esperienza di formazione in danzaterapia e da alcune esperienze pratiche, propongo all’équipe d’insegnanti un progetto di danzamovimentoterapia.

Spiego alle mie colleghe che forse, attraverso un processo creativo prevalentemente non-verbale, costante e paziente, che utilizza la danza e il movimento, potremmo aiutare K. e gli altri bambini nel loro sviluppo personale.

Sono convinta che l’utilizzo della spontaneità e della libertà creativa, in ambiente scolastico, possa contrastare gli effetti dannosi di quella parola che a volte viene vissuta da alcuni bambini in modo persecutorio e aggressivo.

Sono convinta che i processi che anticipano lo sviluppo del linguaggio verbale (pre-verbali) siano molto importanti nella nascita o, viceversa, nel blocco della parola.

La danza avrà il compito, nella realizzazione di questo progetto, di farmi ripercorrere insieme ai bambini della III C, tali processi.

Il progetto si chiamerà “Il corpo in musica” e avrà la finalità di far conoscere ai bambini la musica attraverso il movimento.

Parto dall’idea di Maria Fux secondo cui non è possibile comprendere la musica senza il movimento corporeo e che si può ascoltare meglio muovendosi.

Anche Vincenzo Caporaletti nel libro “La definizione dello Swing”, definisce la musica, in particolare quella jazz come una musica audiotattile, in grado, cioè, di aumentare la tattilità della membrana uditiva.

Il jazz, infatti, affonda le sue radici nella musica africana, una musica che non può essere “catturata” dal nostro sistema di scrittura della musica, ma che è strettamente legata all’oralità e alla danza[1].

Il mio percorso di formazione è costantemente accompagnato da questa idea di musica e di movimento che tende a non perdere di vista le radici, sia quelle della mia terra, sia quelle dell’umanità.

Solo amando le proprie radici, infatti, si riesce ad accogliere le culture altre, con serenità e profondo rispetto, oltre che con la certezza di aver ricevuto un arricchimento.

Sono chiuso come una "O"

Sono chiuso come una “O”

Tale atteggiamento mentale è fondamentale quando si è a stretto contatto con bambini provenienti da culture così lontane tra loro.

La musica e il movimento diventano potenti canali di integrazione, se adeguatamente utilizzati.

Credere che la cultura europea, sia La Cultura, e che, nel nostro caso, la musica europea sia La Musica, blocca qualsiasi progetto formativo si voglia attuare, anche in assenza di alunni stranieri.

Credo che esista anche un razzismo (parola desueta ma ancora efficace) musicale: ciò accade quando si relega il patrimonio musicale, degli altri popoli e delle altre culture, nell’unico stretto calderone denominato “musica etnica”.

Rinviando l’approfondimento di questo importante argomento ad altra sede, mi preme sottolineare che questa è stata una premessa essenziale al mio lavoro con una classe multiculturale come la III C.

La musica è elemento essenziale che il danzaterapeuta sceglie a seconda del percorso che dovrà guidare. La scelta della musica non può, né deve, essere casuale.

Può essere utilizzata con due finalità diverse:

  • Come supporto ad altri stimoli
  • Come stimolo centrale del lavoro

Non c’è un “prontuario” per la scelta della musica, così come per la scelta degli stimoli: si tratta di un lungo lavoro di ricerca e formazione che dura anni, non ci si può improvvisare danzaterapeuta solo perché si amano la musica e la danza.

Esemplare Maria Fux che, alla sua età continua, infaticabile a ricercare nuovi stimoli per il suo metodo e a divulgarli ai suoi allievi sparsi in tutto il mondo.

Sono aperto come una "A"

Sono aperto come una “A”

La parola stimolo, che utilizzo spesso in questo elaborato, “appartiene” alla metodologia della danzaterapeuta argentina: gli stimoli sono dei percorsi esperienziali guidati, finalizzati a consentire l’esperienza espressiva, attraverso la quale, il corpo che danza esprime e racconta liberamente ciò che viene suscitato dalla musica e dalle consegne del danzaterapeuta. Nella metodologia Fux ci sono anche degli oggetti-stimolo. Si tratta di materiali molto semplici, essenziali, che possiamo trovare facilmente nella nostra quotidianità: fogli di giornale, sedie, teli colorati, elastici, canne di bambù, carta crespa.

Il contatto con questi oggetti rigidi o morbidi, favorisce la presa di contatto tra la persona ed il suo mondo interiore.

 

Durante il progetto “Il corpo in musica” ho utilizzato le seguenti unità didattiche:

  • i punti;
  • le vocali
  • le direzioni
  • le tribù
  • il tamburo
  • il colore con l’oggetto-stimolo carta crespa
  • la pulizia del corpo
  • la cesta col serpente
  • il mercato
  • la giungla

 

Ogni unità didattica corrisponde a uno o più obiettivi generali e a più obiettivi specifici, evidenziati di volta in volta nel protocollo di ogni singolo incontro.

  1. è contenta quando propongo la “Giungla” perché le da la possibilità di scegliere l’animale che la fa sentire più al sicuro.

In particolare adora fare il leone: il suo volto si riempie di pieghe e ruggisce tutta la sua aggressività sopita e repressa; quando ruggisce, K.  grida più di tutti i suoi compagni.

 

  1. sembra entusiasta del nostro “laboratorio” e me lo fa capire con i suoi sguardi e il suo dolcissimo sorriso.

Quando alla fine di ogni incontro chiedo ai singoli bambini di esprimere con una parola ciò che è loro piaciuto, K. ormai non si rabbuia più: le porgo il mio quaderno e lei è felice di scriverci su. Tuttavia mi consente di leggere la sua parola agli altri bambini e questo le piace.

Solitamente K. scrive la parola nella sua lingua d’origine.

 

Col passare del tempo e degli incontri la bambina inizia a relazionarsi di più col gruppo dei pari, sia durante gli incontri di danza, sia nella vita quotidiana di classe; anche la sua relazione con gli adulti pare migliorata, eccezion fatta per coloro che si rivolgono a lei in modo troppo diretto e “aggressivo”.

Con la fine dell’anno scolastico sta per finire anche il nostro ciclo d’incontri con la danza e il movimento; i bambini mi sommergono di disegni, lettere e bigliettini in cui mi esprimono tutto il loro disappunto; anche K. mi scrive e mi fa capire che il nostro percorso ha lasciato una traccia dentro di lei.

Avrei voluto che parlasse, ma la danza è terapeutica,[2] non miracolosa, per cui, un danzaterapeuta deve accontentarsi di piccoli segnali, e avere pazienza.

Saper entrare in contatto con chi si vuole “aiutare”, comprenderne le richieste, i bisogni ed il punto di vista, è una competenza necessaria all’educatore professionale così come al danzaterapeuta.

Tuttavia, comprendere il mondo interiore dell’altro è un atteggiamento, non una tecnica, e perciò va coltivato e va compresa la complessità che lo caratterizza.

Il vero incontro diventa «dialogo che fonda l’azione»; tutto ciò richiede tempo perché si tratta di un processo maturativo.[3]

Con il mio corpo disegno un "tamburo"

Con il mio corpo disegno un “tamburo”

Saper aspettare, in ambito educativo, significa anche essere in ascolto di segnali che spesso esulano dal contesto in cui si fonda l’azione educativa.

Durante l’estate successiva ai miei incontri con i bambini della III C ho ricevuto spesso una serie di telefonate alle quali seguiva solo silenzio. Un giorno, però, inaspettatamente dall’altra parte ho sentito una voce: «Ciao maestra, sono K!»
Protocollo di lavoro

 

Di seguito descriverò il lavoro di un singolo incontro al quale ho accennato; si tratta di un’unità didattica appartenente alla metodologia di Danzaterapia Maria Fux.

La Giungla:

  • L’uomo del villaggio disegna il suo tamburo con tutte le parti del suo corpo; lascia le sue impronte in questa delimitazione di spazio che appartiene a lui, lo fa con ritmo: il ritmo dei tamburi presente nella musica e il ritmo interiore, dettato dal battito del suo cuore;
  • l’uomo inizia a muoversi nello spazio, con questo ritmo, incontra la giungla e, attraversandola, crea il suo percorso, la sua strada;
  • Incontra degli animali: il serpente, strisciante, sinuoso, flessibile; il leone, felino aggressivo, cacciatore, selvaggio; la scimmia, molleggiante, spiritosa, divertente, buffa e dispettosa;
  • l’uomo ritorna al suo percorso dopo essersi relazionato con gli animali; infine ritorna al villaggio, al suo spazio, al suo tamburo.

Questo ciclo è abbastanza impegnativo; solitamente lo propongo ad un gruppo dopo aver lavorato per un po’ di tempo col ritmo e con lo spazio.

Per Maria Fux è necessario scoprire il “ritmo interno” al corpo attraverso il quale si può muovere la via della comunicazione.

Il ritmo interno è strettamente individuale e viene espresso da ciascuno con il corpo; ma allo stesso tempo si danza per scoprire il proprio ritmo e per comunicare qualcosa del proprio mondo interiore.

Nelle attività che implicano il movimento corporeo, è necessario che il movimento sia motivato, che abbia un senso, soprattutto se si ha a che fare con un gruppo di bambini.

Sapere perché ci si muove significa anche conoscere lo spazio dentro il quale la spinta/motivazione al movimento fa danzare.

Nella piccola unità di lavoro del tamburo il bambino è invitato ad “abitare” il suo spazio, ad abbellirlo, arredarlo come se fosse una casa, renderlo personale, rassicurante e accogliente; uno spazio dove poter esprimere se stessi, ma che può diventare “stimolo” per andare verso un altro spazio, verso l’altro, per poi ritornarvi ogni volta che lo si desidera.

 

Una volta alla settimana da Gennaio a Giugno la classe è stata divisa in due gruppi, che alternativamente hanno lavorato con me per circa un’ora ciascuno.

L’aula di psicomotricità è stata la nostra sala danza.

(Il pavimento, purtroppo, non era in legno, materiale “vivo” e particolarmente stimolante; tuttavia, il rivestimento gommato era abbastanza adatto e accogliente).

Alcuni video degli incontri sono stati realizzati per monitorare il lavoro e compilare delle schede di osservazione.

Le schede di osservazione che ho compilato durante il percorso riguardano il protocollo di ogni incontro, il gruppo, la risposta e il lavoro di K.

 

Un diario di bordo mi aiutava a tenere a mente situazioni particolarmente interessanti e alcune osservazioni dei bambini circa il lavoro.

Alcuni Obiettivi Generali e specifici fissati nella stesura del progetto hanno guidato il mio percorso:

Obiettivi generali

  • Miglioramento della consapevolezza del proprio schema corporeo
  • Miglioramento della propriocettività[4]
  • Miglioramento delle relazioni sociali
  • Miglioramento dell’ascolto musicale

 

Obiettivi specifici

  • Riconoscere le direzioni nello spazio (avanti, dietro, lato, diagonale)
  • Riconoscere i livelli nello spazio (basso, intermedio, alto)
  • Riconoscere e muovere le parti del proprio corpo
  • Riconoscere le parti del corpo dell’altro e muoversi con lui
  • Riconoscere e rispettare il proprio spazio
  • Riconoscere e rispettare lo spazio dell’altro
  • Riconoscere il ritmo
  • Riconoscere la melodia

 

ANGELICA BRUNO Danzaterapeuta APID, laureata in Scienze dell’Educazione, docente di scuola primaria. Si occupa di Danzaterapia per la riabilitazione e l’integrazione dell’handicap e nelle scuole. Formatrice, conduce corsi e stage presso  l’Associazione A.P.E. di Trani e presso enti pubblici.

 

BIBLIOGRAFIA:

  1. Adorisio A., Garcìa M. E. (a cura di), DanzaMovimentoTerapia – Modelli e pratiche nell’esperienza italiana Edizioni Magi, Roma, 2004
  2. Fux M., Cos’è la Danzaterapia: il metodo Marìa Fux, Edizioni del Cerro, Tirrenia, 2006
  3. Fux M., Frammenti di vita nella Danzaterapia, Edizioni del Cerro, Tirrenia, 1999
  4. Fux M., Dopo la caduta… continuo con la Danzaterapia, Edizioni del Cerro, Tirrenia, 2005
  5. Cerruto E., A ritmo di cuore – La Danza terapeutica, Xenia Edizioni, Milano 1994
  6. Cerruto E., Metodologia e pratica della Danza terapeutica, Franco Angeli, Milano 2008
  7. Gambirasio L., Danzando s’impara, Erickson, Gardolo 2007
  8. Magro G., Educarsi per educare, Franco Angeli, Milano 2009
  9. Spaccazocchi M., La musica e la pelle, Franco Angeli, Milano 2004
  10. Franco M. (a cura di), Il Jazz tra passato e futuro Lim Editrice Lucca, 1995
  11. Arcangeli L., Quali competenze per gli educatori professionali?, in Studium Educationis, Cedam Padova, n.3 del 2001
  12. Sacks O., L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Adelphi Edizioni Milano 1986
  13. Bowlby J., Attaccamento alla madre, Boringhieri, Torino 1972
  14. Canevaro A., Pedagogia Speciale – La riduzione dell’handicap, Bruno Mondadori, Milano 1999
  15. Chodorow J., Danzaterapia e Psicologia del profondo, Red, Como, 1998
  16. Elia G.: Percorsi formativi, dinamiche sociali e pedagogia speciale in Studium educationis 3, CEDAM, Padova 2001
  17. Guerra Lisi S.: Il metodo della globalità dei linguaggi, Borla, Roma, 1985
  18. Martinet S.: La musica del corpo, Erickson, Trento, 1992
  19. Piaget J.: La formazione del simbolo nel bambino, La Nuova Italia, Scandicci, 1972
  20. Winnicott D. W.: Gioco e Realtà, Armando, Roma 1974

 

 

[1] Cfr. M. FRANCO (a cura di) Il Jazz tra passato e futuro Lim Editrice Lucca, 1995

[2]  Termine utilizzato nella sua metodologia da  Elena Cerruto, danzatrice, coreografa e danza terapeuta, direttrice didattica del centro Sarabanda di Milano

[3] Cfr. L. ARCANGELI Quali competenze per gli educatori professionali?, in Studium Educationis, Cedam Padova, n.3 del 2001, pag.661-664

[4] Per la definizione di propriocettività si veda O. SACKS L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Adelphi Edizioni Milano 1986, pag.69-83

Redazione NuoveArtiTerapie
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