05 Giu “Dedicato al mio re” – Il lutto familiare e il bambino-
* Questo articolo, così come l’esperienza descritta, è stato pensato e scritto a ‘4 mani’ e narrato in prima persona da ciascun autore per le parti specifiche di intervento.
E’ abbastanza raro che un bambino abbia dentro la paura di morire e di ammalarsi. Nonostante ciò, la maggior parte dei genitori non parla volentieri con i propri figli della morte, nella falsa illusione di proteggerli .
In realtà spesso sono loro stessi impreparati ad accettare la perdita.
Da quando la medicina ha scoperto la possibilità di controllo sulla vita, si è però maggiormente interessata all’inizio della vita e al suo prolungamento,piuttosto che alla cura delle fasi che precedono la morte. Gli operatori che affrontano queste problematiche non possono più fare affidamento solo sull’high tech, ma dovranno essere padroni di strumenti culturali che gli permettano di rispondere alle esigenze dei malati terminali e di prendersi cura dei morenti. La tecnologia di per sé non è da abolire anzi, in molti casi aiuta a migliorare la qualità della vita dei pazienti,ma non va sottovalutato l’aspetto relazionale ed affettivo( high touch) che rappresenta l’obiettivo primario di un intervento assistenziale.
Il timore della morte è presente in tutte le culture, ma molto di più nella società odierna. Oggi più che mai la presenza della morte viene respinta, rifiutata, negata. Un argomento di cui non si deve parlare.
Proprio per questa ragione, i sistemi educativi spesso creano grossi problemi nell’età evolutiva quando, con l’intenzione di proteggere i bambini, si occulta loro qualche importante verità come la morte, ricorrendo anche a bugie o a racconti fantastici.
Come i bambini “vivono” la morte
Il punto di partenza di ogni intervento nei confronti dei bambini,è dato dal riconoscimento del suo essere persona.
In quanto persona, anche al bambino vanno riconosciute le emozioni, le paure,le ansie presenti nell’adulto.
Purtroppo a volte si presta poca attenzione a come un bambino anche molto piccolo affronta un lutto familiare importante ( genitore,nonno…) Nei bambini molto piccoli la differenza tra separazione temporanea e permanente è poco chiara. Tuttavia l’inevitabile stress provocato dalla perdita della persona di riferimento,tende a regredire se compaiono adeguate figure sostitutive. Nel bambino più grande le modalità di espressione e sperimentazione del dolore sono simili a quelle dell’adulto anche se le difficoltà comunicative sono maggiori. A partire dai sei anni,i bambini distinguono la morte dal sonno,ma non concepiscono la morte come allontanamento definitivo. A sette anni,il bambino inizia a capire che” dalla morte non si torna indietro”Ad otto anni il concetto di morte si fa più chiaro.
Spesso si assiste ad una grande chiusura di fronte al dolore della perdita e l’adulto tende a vivere questi momenti in solitudine allontanando o escludendo i bambini. La ragione di questo atteggiamento va ricercata nella convinzione di molti che i bambini siano fragili, incapaci di affrontare un dolore grande come la morte di una persona cara. Vengono quindi allontanati dalla realtà della malattia.
I bambini però,anche se esclusi dal dramma familiare, lo vivono a modo loro.
Non potendo più vedere il familiare ammalato, i bambini costruiscono delle fantasie “Perchè non posso più vederlo/a? Sono un bambino cattivo! Mi ha abbandonato. Non mi vuole più bene. E’ tutta colpa mia!”Questi sono pensieri che ricorrono frequentemente quando i bambini non hanno le giuste informazioni.”
“Devi fare silenzio,non puoi entrare nella stanza,vai a stare dagli amici o dai parenti per un po’ di tempo.” Perché…?
Le mille domande quasi mai espresse, non trovando risposta , alimentano nei bambini fantasie di mostri, di personaggi cattivi, che possono fare più paura della realtà stessa.
E’ il non sapere che crea incertezza,dubbi e paure. Sentimenti che il bambino non ha la possibilità di far emergere visto il clima di omertà che si crea intorno a lui e che trattiene quindi dentro di sé facendolo sentire solo.
Il bambino è spaventato dall’incertezza, dal non sapere.
Spesso invece i bambini percepiscono i cambiamenti intorno a loro,il clima familiare teso, gli sguardi muti e sono molto più consapevoli di quanto si possa immaginare. Questo provoca un grande disagio interiore che può manifestarsi con irrequietezza, disturbi del sonno,pianto,depressione..
In futuro questo silenzio, le cose non dette, i sotterfugi, potrebbero creare nel bambino un sentimento di sfiducia nei confronti delle figure di riferimento.
Al contrario, quando l’adulto garantisce una relazione basata sulla realtà comunicativa, il bambino risponde con un atteggiamento di fiducia che è alla base di ogni processo di crescita.
Un’esperienza integrata: disegno, EMDR…
Una bambina di 10 anni, L.F, non completamente consapevole della prognosi del papà ricoverato in Hospice con diagnosi di glioblastoma, viene segnalata al servizio di psicologia dell’Hospice Sacro Cuore, al fine di poterla preparare all’evento.
Dopo un incontro preliminare con la mamma, al fine di raccogliere informazioni circa il grado di consapevolezza di malattia del papà, ho concordato altri incontri con lei.
Durante questi incontri (4 in tutto prima del decesso del papà) ho utilizzato soprattutto la tecnica del disegno, alternata alla lettura di racconti o fiabe che narravano la morte. Aumentava così piano, piano, il grado di consapevolezza di morte imminente del papà, ma anche lo stato di ansia della bambina.
Allo scopo di contenere l’ansia, ho utilizzato il metodo terapeutico EMDR(1). A questo punto le ho fatto disegnare un posto dove in passato si era sentita al sicuro, le ho chiesto di concentrare l’attenzione sull’immagine in modo da ricordarla anche ad occhi chiusi.
La focalizzazione dell’EMDR è sul ricordo dell’esperienza traumatica per elaborarla a livello emotivo, cognitivo e delle sensazioni corporee. Si parla quindi di elaborazione dell’informazione.
Utilizzando la tecnica dell’EMDR le ho insegnato l’abbraccio a farfalla: incrociare le braccia appoggiando le mani sulle braccia;appoggiando la mano destra su quello sinistro e viceversa, alzarle dando dei piccoli colpetti sulle braccia in modo alternato, che somiglia al battere delle ali della farfalla. Questo movimento ripetuto 2/3 volte,(30 secondi ciascuno) associato ad una parola chiave relativa alla sensazione provata, ha prodotto in lei un evidente rilassamento.
La bambina, di sua iniziativa,aveva preparato una canzone in inglese (la famiglia ha origini inglesi e ha vissuto alcuni anni in Gran Bretagna) dedicata al papà, che desiderava cantare per lui. A modo suo stava indicando il modo per aiutarla ad entrare in relazione con questo papà che stava morendo.
Con la collega della musicoterapica concordiamo un intervento sinergico.
La richiesta d’intervento psicologico ed il desiderio della bambina di dedicare al “suo re” una canzone speciale, hanno costituito lo sfondo sul quale abbiamo costruito l’intervento di aiuto a L. (I.B)
Nel bambino, con il quale la comunicazione verbale non è il mezzo di elezione per la relazione, la musica, così come il disegno, può essere un canale di mediazione privilegiato per sostenerlo ed aiutarlo ad esprimersi in momenti di sofferenza particolari.
Esprimere e emozioni attraverso la musica ha una duplice valenza: permette da un lato di avere un canale per l’espressione delle emozioni di tipo sensoriale e simbolico, dall’altro di poter contenere e proteggersi dalle emozioni insostenibili che l’esposizione alla sofferenza possono causare.
Incontro L. nello studio della collega: la bambina mi guarda incuriosita, abbozza un sorriso. Ascolto il suo progetto: vuole mettere in musica la poesia che ha scritto per il suo papà. Mentre l’ascolto comincio ad ipotizzare diverse modalità che questo setting mi permettono di realizzare: le chiedo di cantare la poesia e lei lo fa volentieri anche se un po’imbarazzata, a bassissima voce, distogliendo lo sguardo da me. Il tipo di melodia che lei improvvisa è molto semplice, ricorda le canzoni infantili e richiama nell’andamento la musica celtica. Mi sembra improponibile per questa situazione e troppo ‘tecnico’ scrivere la partitura di questa musica. Il fine di questo lavoro è creare un contesto facilitante ed accogliente dove la bambina possa esprimere e comunicare al suo papà quello che sente per lui in questo momento ed in particolare nel momento in cui sarà lì davanti a lui. È importante per lei e per il ricordo che ne conserverà in futuro, che lo possa fare con libertà, protezione, affetto e ci auspichiamo, serenità. Troppi vincoli tecnici renderebbero artificioso questo progetto. Concordiamo il giorno e l’ora dell’incontro, che avverrà nella camera di degenza del padre, in presenza oltre che di L., anche della madre, la psicologa e me come musicoterapeuta, su desiderio della bambina.
Ho portato con me parte dello strumentario musicale che ho in dotazione, per far scegliere ad L. gli strumenti per accompagnare la sua ‘improvvisazione’, Così chiamiamo con lei questo lavoro che ci accingiamo a preparare.
Dispongo sul tavolo gli strumenti, nella selezione preliminare ho scelto strumenti di piccole dimensioni, colorati, che potessero esprimere diverse sonorità e si adattino alle mani e alla creatività di una bambina. L. li scruta, poi si avvicina ed inizia l’esplorazione. Dapprima timida, poi sempre più naturale. Prova i campanelli, il triangolo, i sonagli. Scarta i tamburi, si incuriosisce con il guiro. Si affascina con lo xilofono, il bracciale sonoro e il bastone della pioggia. Li proviamo un po’ insieme e le propongo di suonarli liberamente per un po’, scegliendo quelli che le sembrino più adatti ad accompagnare le sua canzone e pensando anche a chi destinarli durante l’esecuzione. La presenza della mamma e di noi terapeute sembra importante per la bambina. È essenziale che noi costituiamo parte integrante del setting, entrando con lei nell’esperienza.
Concordo con la collega un tempo di esplorazione libera, in cui la bambina da sola provi e scelga gli strumenti per la sua ‘creazione’. Questa esperienza si vuol configurare, nel panorama di quelle che lei può avere con il padre in questo momento, come un’opportunità in cui L. è protagonista, davanti a suoi due genitori riuniti per lei , in un’occasione di scambio emotivo che vuol essere gioioso pur nel momento drammatico che la famiglia sta attraversando. La collega mi ricorda che le condizioni del padre sono molto gravi e che non c’è tempo da perdere.
Per questa ragione le sedute di preparazione sono ridotte al minimo. Dopo la fase di esplorazione degli strumenti e la scelta di quelli definitivi, calibrati dalla bambina sull’andamento della melodia, ci riuniamo. C’è anche la mamma, visibilmente tesa. Chiedo alla bambina di attribuire gli strumenti musicali a ciascuno di noi. L. sceglie il bastone della pioggia per me, i campanelli per la psicologa, il bracciale a sonagli per la mamma. Iniziamo le ‘prove’: L. canta e si accompagna con uno xilofono; noi costituiamo il ‘tappeto’ sonoro, su cui L. può dispiegare il suo canto. Proviamo diverse volte: invito la bambina a non accontentarsi degli effetti che ottiene, ma a ricercare il risultato sonoro d’insieme che più si avvicina al suo desiderio e al suo progetto. Il bastone della pioggia per le sue caratteristiche si presta a costituire da sfondo sonoro, da ‘base sicura’ per dirla con Bowlby. Il modello di musicoterapia al quale si ispira questo intervento è di stampo umanistico-esistenziale: il musicoterapeuta si pone come facilitatore del’esperienza, creando un contesto protetto in cui sia possibile un’espressione libera dei vissuti e non giudicante, in cui possa liberamente fluire l’identità sonora della bambina, in sintonia profonda con sé * Per questa ragione invito la mamma a permettersi questa esperienza e a permetterla alla bambina, senza richiedere una performance di qualità estetiche predefinite o di obbedienza a certi schemi di tipo scolastici. Dopo un numero di ‘prove’ che ci sembrava sufficiente, decidiamo di andare dal padre, che non sapeva nulla del progetto.
Entriamo in camera con strumenti alla mano e l’emozione e la tensione si coglieva nell’aria. L. porta un piccolo registratore, che appoggiamo su un tavolo. Spiega al papà la sua intenzione e ci guarda come fossimo la sua orchestra. La sua richiesta d’aiuto è colta da me e dalla psicologa che le sorridiamo rassicuranti, rivolgendo segnali di accoglienza anche all’emozione della madre, tesa. L. mi fa cenno di iniziare, come concordato: il bastone della pioggia, con il suo suono continuo, come di un mare lontano, chiude la comunicazione verbale dominante fino a quel momento ed apre al non verbale, all’evocazione, alle emozioni che si canalizzano nel suono. L. inizia ad intonare, si sofferma su alcuni punti più significativi per lei del testo (a me colpisce il punto in cui dice al padre che sarà sempre il suo re), mentre canta chiede con il gesto delle mani gli interventi musicali alla sua orchestra: Il bracciale a sonagli della madre entra in certi punti, i campanelli della psicologa sottolineano il testo in altri punti. Oltre che cantare L. sfiora lo xilofono, che si pone più come oggetto intermediario che come reale supporto musicale. I sensi della bambina sono coinvolti interamente, il gruppo intorno a lei contiene e le permette il suo canto d’amore. Quando finisce è emozionata e sorridente, anche noi ci distendiamo.
Io e la collega ci ritiriamo, lasciando la famiglia alla sua intimità e alla condivisione di questo momento. (S:R)
Conclusioni
A due settimane dal decesso ho rivisto L. insieme alla mamma.
La bambina stava attraversando la fase della “negazione”.Agiva e si comportava come se suo padre fosse ancora in vita. Parlava di lui come se fosse lontano per lavoro, nascondendo la verità anche ai suoi amici.
Sembrava voler tenere per sé la sofferenza senza condividerla con nessuno.
E’ normale, dopo un lutto, attraversare un periodo di shock, di congelamento delle emozioni.
Con l’aiuto della mamma, cerchiamo di recuperare i ricordi ricostruendo la vita del papà. Le propongo di preparare un album di foto scelte da lei riguardanti la loro famiglia, in particolare il papà, in modo che potesse sentirlo ancora presente. Concordiamo un successivo incontro.
La bambina, questa volta, ha con sé l’album dei “ricordi”(è così che lo ha chiamato).Commenta ogni foto arricchendo il racconto con tanti particolari. In questa fase di “riorganizzazione”, al fine di stimolare il processo interiore di elaborazione della perdita subita, le propongo di scrivere ogni giorno delle lettere indirizzate al suo papà, con ciò che desidera dire. Questo le permette di mantenere il contatto.
Dal giorno della perdita ad oggi, L. è stata “ accompagnata” da me e dalla mamma con discrezione, ad una giusta distanza: né troppo vicine, né troppo lontane senza cercare di stimolarla in modo innaturale. La bambina è tornata piano, piano, sul piano di realtà ed è riuscita a reintegrarsi nella vita quotidiana. (I.B.)
Ivana Barba, psicoterapeuta, psiconcologa, Hospice Sacro Cuore, Roma
Silvia Ragni, psicoterapeuta, musicoterapeuta, Hospice Sacro Cuore, Roma
Il lavoro è stato presentato al xv° Congresso Nazionale SICP( Sezione Poster), Novembre 2008 Giardini Naxos
Note
1)EMDR : Eyes ………desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari. EMDR nasce nel 1989 da Francine Shapiro e diventa nel 1995 un metodo terapeutico standard). Si rivela molto efficace nel trattamento del PTSD.
Bibliografia
Oppenheim D.,-Dialoghi con i bambini sulla morte- Erickson
Arenes J.,– Dimmi un giorno morirò anch’io?- Ed.Sci.Magi
Fitzgerald H., -Mi manchi tanto- La Meridiana
Scardovelli M., Musica e trasformazione, Borla Roma
Benenzon R., La nuova musicoterapia, Phoenix editrice
Bowlby J.,Una base sicura, Cortina editore