Drammaterapia: racconto di un incontro con un adolescente affetto da sindrome di Prader-Willi

Blue-greendi Teodorino Carmine Calzaretta, Maria Grazia D’Avino

Nelle notti nei boschi
i bambini persi chiamavano
per essere trovati.
Non c’erano le stelle?
Le stelle erano gli occhi dei lupi.
Non c’era la luna?
La luna era le fauci dei lupi.
I bambini persi erano spaventati?
Sì, chiamavano tanto.
Svegliavano gli animali addormentati.

(“I bambini persi” – Vivian Lamarque)

premessa

All’interno del COES, centro di riabilitazione per disabili medio-gravi, accreditato presso la Regione Lazio, è attivo dal 2001 il Camelot, progetto socio-educativo-riabilitativo per adolescenti con ritardo cognitivo medio, lieve, borderline e disturbi comportamentali.
Il progetto mira al potenziamento dell’autonomia personale, sociale e comportamentale degli utenti e a promuovere le competenze necessarie ad una loro integrazione socio-lavorativa.
L’approccio dell’equipe è di tipo sistemico; ogni ragazzo è seguito a più livelli: individuale, gruppale, familiare (riunioni periodiche a cadenza regolare rivolte a tutti i genitori e counseling) e all’interno del sistema scolastico (partecipazioni ai Gruppi di Lavoro Handicap e interventi cognitivi di supporto all’interno della struttura scolastica). Il progetto prevede, inoltre, esperienze esterne al Centro: attività specifiche legate al territorio, week-end e soggiorni terapeutici.
Al Centro, i ragazzi vengono inseriti in vari laboratori, individuali e/o di gruppo, dopo un primo periodo di osservazione/valutazione. Il progetto prevede attività di musicoterapia, danzaterapia, laboratori occupazionali (pittura, lavorazione del legno, fotografia), lavoro sulla comunicazione (laboratorio di informatica, giornale).
Alle varie attività terapeutiche, che caratterizzano il progetto Camelot, si aggiungono gli interventi di drammaterapia.

cos’è la drammaterapia

La drammaterapia è una disciplina che si è sviluppata a partire dagli anni ’60, principalmente nei paesi anglosassoni. Si sta diffondendo anche in Italia come innovativa metodologia clinica rivolta al cambiamento e al raggiungimento del benessere psicofisico dell’individuo.
Le potenzialità “terapeutiche” del teatro sono note sin dall’antichità. Il teatro, data la sua natura specifica, è in grado di catalizzare una serie di processi relazionali, di gruppo, comunicativi, agevolando un’esplorazione e, quindi, un’approfondita conoscenza di sé.
In questo contesto ci riferiamo principalmente al lavoro proposto da R. Landy: “[la drammaterapia] consente di lavorare sull’ampliamento, in termini quantitativi ma a fini qualitativi, della competence individuale rispetto alla diversità dei ruoli, dunque la conquista, attraverso la drammaterapia, della capacità di apprendere a mutare e a rendere dinamico il proprio repertorio di ruoli, quale fattore necessario alla integrazione e alla capacità di relazione” (M. Cavallo e G. Ottaviani in Landy 1999, pag. 17).
La drammaterapia si avvale dell’utilizzo di strumenti e tecniche proiettive. Vengono utilizzati fotografia, video e oggetti come bambole, marionette, giocattoli, burattini, che agevolano la proiezione permettendo al soggetto un livello di “distanziamento”, uno spostamento, o meglio: la traslazione su un piano altro per poter maneggiare e affrontare contenuti troppo intensi da potersi autoriferire.
“Tramite il processo drammatico proiettivo – dice ancora Landy -, il cliente vive il paradosso del me e non-me (…)” (op. cit. pag. 177).
Un ruolo fondamentale nel panorama delle tecniche drammaterapeutiche (in particolare nell’esperienza presentata), lo riveste la narrazione di storie: “I personaggi di una storia possono diventare, per un cliente, oggetto di identificazione. Quando si narra, si drammatizza o si ascolta una storia, il cliente adeguatamente distanziato sarà in grado di liberare l’emozione e di riconoscere aspetti della propria vita che sono simili a quelli del personaggio. Quando si lavora con la narrazione (storytelling) e la drammatizzazione di storie, il punto di vista narrativo è estremamente importante. La narrazione in terza persona è la più distanziante (…)” (Landy, op. cit. pag. 192).
La drammaterapia, in questo modo, può essere utilizzata al fine di permettere anche a soggetti affetti da patologie complesse, non in grado di accedere a un setting psicoterapeutico ortodosso, la conoscenza, la visibilità, l’elaborazione ed integrazione di parti del sé fondamentali per uno sviluppo armonico di personalità e per lo strutturarsi di relazioni interpersonali più adeguate.
caso clinico

Tommaso (il nome è di fantasia) arriva al COES nel gennaio del 2004.
Tommaso presenta una serie di caratteristiche tipiche della sindrome di Prader-Willi, da cui è affetto, e che influenzano, a seconda delle attività e dei contesti, il suo comportamento. La sindrome di Prader-Willi (dal nome degli studiosi che per primi la individuarono e descrissero nel 1956) è una malattia genetica molto rara che si ha per delezione di una piccola parte del cromosoma 15 da parte di padre. Le sue manifestazioni cliniche includono: ritardo mentale, ipotonia muscolare, obesità, iperfagia, ipogonadismo, disturbi comportamentali.
Tommaso ha 14 anni, è figlio di genitori separati che, in maniera adeguata e “sufficientemente buona” (Winnicott, 1965), si prendono cura di lui, anche se persistono ancora difficoltà nella piena accettazione del suo “limite”.
Dopo un primo periodo di osservazione/valutazione l’equipe del progetto riabilitativo ritiene di privilegiare, almeno in un primo momento, interventi di tipo individuale poiché la labilità emotiva, l’esuberanza, la scarsa tolleranza alla frustrazione, gli eccessivi scatti di rabbia, rendono complessa la ‘gestione’ di Tommaso all’interno di un contesto gruppale. Il gruppo, infatti, è vissuto come molto frustrante nella misura in cui non dedica a Tommaso l’attenzione che lui vorrebbe o, peggio ancora, si prende gioco di lui. Tommaso è molto suscettibile alle offese e con la sua sensibilità è in grado di “captare” un clima di derisione o insulti verbali, anche se non gli si rivolgono direttamente.
In queste occasioni Tommaso si incupisce per un tempo che può variare da pochi minuti a più di un’ora, per poi esplodere in una rabbia che si concretizza in rappresaglie apertamente aggressive verso chi lo ha offeso e in azioni violente verso chi e/o cosa gli impedisce di scaricare la sua rabbia.

dal diario di lavoro: 12/02/04
Altro attacco aggressivo di Tommaso (…) a merenda inizia a montargli la rabbia. Spacca tutto. Non riesco a contenerlo. Mi spavento (…). Siamo nel laboratorio di informatica per trascrivere delle storie. Si attacca ai cavi dei computer. Non ascolta. Lancia un casco contro i monitor e contro le finestre.
Riesco ad attirare la sua attenzione, scrivendo e leggendo ad alta voce una lettera scritta sul momento, a lui indirizzata. Si placa. Poi, la rabbia monta di nuovo. Apre la porta. Scappa. Corre nel laboratorio occupazionale e dà una spinta a uno dei ragazzi. Riesco a malapena a bloccarlo. Lo porto nell’altra stanza (fisioterapia). Chiudo e mi metto davanti alla porta. 10 minuti di silenzio. Io seduta, lui in piedi che brandisce un bastone. Gli parlo. Si è calmato. Stavolta definitivamente. Usciamo un’ora nel parco a “parlare”. Ad un certo punto mi chiede: “perché ho dato la spinta a quel bambino?”

Tommaso è refrattario in generale, e tanto più in fase di acuta rabbia e dolore, a qualunque impedimento, ragionamento, divieto.
Tommaso, inoltre, è molto orientato alla ricerca di contatto fisico – spesso erotizzato – che diventa più insistente se l’altro rifugge: abbracci violenti e prolungati a ragazzi e/o operatori, spinte.
Da un punto di vista motorio Tommaso si mostra molto preciso nell’esecuzione degli esercizi proposti riuscendo a contenere, durante tutte le attività e soprattutto durante gli esercizi di rilassamento, il surplus energetico che in fase di eccitazione lo porta a non controllare del tutto alcuni movimenti delle mani e, soprattutto, a dosare male la sua forza.
Nella relazione duale, Tommaso mostra da subito ottime competenze relazionali. È un ragazzo aperto, socievole e partecipe a tutte le attività proposte; se qualche richiesta non lo convince, non esita a chiederne il motivo; si mostra curioso, interessato verso le novità ma anche in grado di avanzare egli stesso richieste precise. La sua precisione e la metodicità, dovute probabilmente all’apprendimento di strategie di controllo e modulazione di alcuni comportamenti disfunzionali, derivanti dalla sua particolare sindrome, si manifestano sia nel lavoro che nella relazione; è attento agli orari, alle cose che gli si dicono: se si programmano insieme delle attività per la settimana successiva, occorre rispettare il programma; se gli si dice che un determinato giorno si farà una determinata cosa, anche se a lunga scadenza, lui lo ricorda.

L’intervento di drammaterapia è una delle prime attività terapeutiche che vedono protagonista Tommaso. L’intervento si basa sulla pratica e sulla sperimentazione di semplici “tecniche” che permettono lo studio e l’affinamento di nuove modalità di relazione e contatto, partendo da una condizione di gioco, di “messa in gioco” di se stessi, del proprio corpo, dei propri vissuti. L’intento è quello di approfondire, attraverso esercizi, giochi, improvvisazioni fisiche e sonore, le diverse possibilità del “sentire” e del “comunicare”, e la sperimentazione di nuove modalità d’interazione con gli altri.
L’intervento durerà due anni, con incontri di un’ora e trenta a cadenza settimanale e sarà caratterizzato da due fasi precise e distinte tra loro sebbene sono da considerarsi come percorso terapeutico continuo e unitario. La prima fase, è stata denominata “il lupo”, mentre la seconda sarà indicata come “il burattino”.

I. il lupo
I primi incontri con Tommaso sono caratterizzati da uno “studiarsi” a vicenda al fine di strutturare una relazione di fiducia. Gli vengono proposti una serie di giochi e di attività anche per esplorare il suo immaginario, per comprendere al meglio quelle che sono le sue potenzialità, per capire in quali aree mostra maggiori difficoltà e avanzare così un’ipotesi progettuale.
Nelle prime settimane di lavoro Tommaso sceglie il lupo come animale preferito, e su questa figura si incentra il lavoro. Da subito Tommaso, spontaneamente, comincia a raccontare storie relative al lupo/se stesso (utilizza equamente il lupo e Io, come soggetto). Queste storie si presentano dense di contenuti aggressivo-orali, sessuali, ma anche piene di riferimenti a sentimenti di amicizia, solidarietà del branco, amore etc…
La sua produzione è sovrabbondante. Arriva nel setting e, quasi sempre, la prima cosa che dice è: “ti posso raccontare una storia?” (molte delle quali trascritte durante la sua narrazione). È evidente sin da subito che per le sue caratteristiche (voracità, aggressività ma anche la dolcezza di lupacchiotto, bisogno del gruppo/branco etc…), si è innescato in Tommaso un processo di identificazione con questo animale.
Il lupo, a livello simbolico, da sempre e in moltissime culture, è il depositario di caratteristiche e sentimenti opposti. Come riporta il Dizionario dei Simboli (Garzanti, 1991): “Fino all’età moderna questo animale da preda è stato considerato, in Europa centrale, molto pericoloso. Non meraviglia che nelle favole esso costituisca la minaccia maggiore per gli uomini, che assuma la figura del nemico in forma di animale e che i lupi vengano ritenuti esseri umani sanguinari, che hanno subito una trasformazione (lupo mannaro).
(…) Jung considera generalmente le immagini del lupo come allusione alla minaccia di forze incontrollate che compaiono in maniera ‘intelligente’ e incondizionata. Essa indica però anche che nella favola questo ‘inconscio irruente’ può essere raggirato (…)
Nel Bestiario Medievale, invece, è semplicemente un animale diabolico; gli occhi della lupa luccicano di notte come lanterne, che privano l’uomo dei sensi (…)”

dal diario di lavoro 03/02/04

Con Tommaso penso che il lupo, col tema della voracità, sia un buon punto di partenza.
– lupo nero
– lupo cattivo (con la sua preda)
– lupo buono (con gli amici)
– lupo innamorato (“..fa figli… la lupa va a caccia, io curo il figlio”)
– lupo arrabbiato
– lupo addolorato
Lavoro sulla voce: emissione ululati; differenziazione tra gli ululati in base all’emozione dominante.
“..se un amico lupo (TU) muore e sta nella bara e i signori vogliono portare via la bara, io dico: allora portate via anche me. Io, sulla bara (…).
(…) E un cacciatore vede il lupo e lo vuole uccidere. Io (Tommaso) piango e dico: non uccidere gli animali, se tu ammazzi un animale sei proprio cattivo.
Chiamo la polizia e dico: portatelo via”.

Il lavoro di drammaterapia, attraverso l’utilizzo della metafora del lupo, mira – in questa fase – alla scoperta delle caratteristiche del lupo/Tommaso e, attraverso attività di drammatizzazione delle storie narrate, alla modulazione delle emozioni. Buona parte del lavoro infatti, è dedicata alla ricerca e scoperta delle differenze tra un lupo arrabbiato, un lupo innamorato, un lupo spaventato etc… partendo anche da un lavoro pratico corporeo sulla modulazione della forza fisica, e sulla voce (emissione di ululati differenti a seconda dell’emozione dominante).
Oltre al lavoro fisico e vocale, decidiamo, con Tommaso, di costruire due maschere in cartapesta raffiguranti due lupi.
All’intensificarsi del lavoro nel setting, all’interno del quale Tommaso ha una maggiore possibilità di espressione di ulteriori elementi del suo mondo interno, relativi anche alla dimensione sessuale, corrispondono dei movimenti del ragazzo inerenti una maggiore gestione, nella vita quotidiana, delle emozioni e delle relazioni.

dal diario di lavoro 18/03/04

(…) Nel setting mi accorgo che Tommaso ha tirato fuori il proprio sesso dai pantaloni. Gli chiedo se deve andare in bagno. Dice di sì. Lo accompagno. Resta dentro a lungo. Credo, a masturbarsi. Rientrato nel setting, sembra calmo. Mi chiede se può raccontarmi una storia. Acconsento. Verso la fine dell’incontro ha una nuova “crisi”. Mi si accuccia con tenerezza sulle ginocchia, poi mi afferra un braccio. È come se volesse staccarmelo. Mi chiede di andare a casa sua dove potremo mangiare tante cose buone, la torta della nonna etc… Gli dico di lasciarmi il braccio ché mi faccio male e che le torte le possiamo mangiare insieme al giovedì quando viene al COES e dove possiamo vederci per fare tante cose belle. Si getta a terra. Mugola. Non parlerà più fino alla fine dell’incontro. È a pancia in giù con le mani sotto i genitali. Striscia, si struscia. Non capisco. Chiedo. Lo prendo con le buone, con le cattive, offro varie alternative. Ma, nulla. Ostinato silenzio. Vuole uscire. (…)

In questa fase del lavoro è risultato indispensabile il supporto dell’equipe. Durante le riunioni è stato possibile riflettere sull’andamento del percorso terapeutico ed elaborare i vissuti controtransferali della terapeuta.

La prima fase del lavoro termina nel giugno 2004. Gli obiettivi raggiunti sono: una fondamentale ‘alleanza terapeutica’ tra paziente e drammaterapeuta, la modulazione di alcuni vissuti emotivi e la generalizzazione all’esterno del setting di comportamenti come il saluto adeguato (grazie a un ‘gioco’ ideato nel setting di drammaterapia, Tommaso riesce a contenere l’impeto dei suoi abbracci anche al di fuori) ma, soprattutto, l’aver evidenziato la dicotomia con cui Tommaso si percepisce, meglio spiegata nella seconda fase del percorso terapeutico: il burattino.
L’esperienza del lupo si conclude con la condivisione in gruppo. Tommaso e la terapeuta prendono parte ad una messa in scena collettiva, itinerante, svoltasi all’interno del parco di villa Pamphili, a Roma, rappresentando una coppia di lupi che, inizialmente nascosti tra i cespugli, escono per spaventare gli altri personaggi della rappresentazione, salvo poi unirsi – gettata la maschera – a danze e giochi collettivi.

II. il burattino
Nel settembre del 2004, alla riapertura del progetto dopo l’interruzione estiva, il lavoro si incentra su una proposta di Tommaso, un suo interesse/curiosità verso i burattini. Partendo dalla fiaba di Pinocchio abbiamo cominciato a riflettere sulle differenze tra un burattino e un bambino, evidenziando le caratteristiche (fisiche, funzionali, cognitive etc…) dell’uno e dell’altro.
dal diario di lavoro 27/01/05

Differenze tra un BAMBINO e un BURATTINO

BURATTINO BAMBINO
Non mangia Mangia
Si fa imbrogliare Il bambino (Tommaso) non si fa imbrogliare
Deve muoverlo qualcuno Si può muovere come vuole
Non dorme Dorme
È di legno
Il burattino non ha sangue Non è di legno, è fatto di uomo, cioè: di ossa, di carne, muscoli, di sangue
Il burattino non si fa male e non piange Il bambino si fa male e piange
Non si lava Si lava
Non fa la cacca Fa la cacca
Non fa la pipì Fa la pipì
È freddo e duro È caldo e morbido
Non parla Parla

Contemporaneamente abbiamo continuato a raccogliere le storie che Tommaso inventava. La novità è che il protagonista di queste storie non è più un animale (il lupo), ma se stesso. Oltre ai temi soliti, legati all’oralità, alla sessualità e all’aggressività, sono cominciati ad emergere particolari legati allo sdoppiamento, una sorta di scissione tra un Tommaso Buono e un Tommaso Cattivo. A Tommaso Cattivo, chiaramente, Tommaso attribuisce tutte le caratteristiche negative sue che sa non essere ben accette: mangia tanto, è grasso, picchia etc…

dal diario di lavoro maggio 2005

Al solito, dopo la merenda, Tommaso è sovraeccitato; è agitato, gronda sudore. Quando è ora di tornare nel setting cerca di “strozzare” uno degli operatori, dopo avergli dato una gomitata sul naso.
Nel setting partiamo da qui. Dice che è arrabbiato con quell’operatore (forse Tommaso si sente in colpa? Una sorta di identificazione proiettiva? infatti dovrebbe essere l’operatore ad essere arrabbiato).
(…) comincia a raccontarmi una storia. Lui detta, io scrivo e disegno le scene di questa storia.. Fantasia e realtà si confondono.
La cose interessante è che Tommaso arriva alla definizione di un Tommaso Buono e un Tommaso Cattivo (ciccione, grosso, con gli occhi azzurri). I due “Tommaso” litigano spesso. Quando c’è uno non c’è l’altro.

L’utilizzo della metafora burattino ci ha permesso di accedere a contenuti “importanti” non affrontabili direttamente. Proseguendo su questa strada, agevolata dalla disponibilità di Tommaso al lavoro manuale di costruzione (assemblare, tagliare, incollare), abbiamo costruito due burattini utilizzando materiali di recupero (bottiglie di plastica, bottoni, rimasugli di stoffa, fili di lana). Abbiamo costruito un burattino Tommaso Buono e un burattino Tommaso Cattivo che abbiamo utilizzato per drammatizzare storie che esprimevano, fondamentalmente, il conflitto di Tommaso. L’obiettivo era quello di arrivare a costruire un terzo burattino che integrasse, modulandole, le caratteristiche dell’uno e dell’altro. All’integrazione sarà dedicata l’ultima parte del lavoro, anche alla luce di quanto accaduto a novembre del 2005, in un incontro particolare di cui – qui di seguito – sono riportati i punti salienti.

dal diario di lavoro 10/11/05

Tommaso oggi è arrivato molto nervoso. In macchina gli è venuta una crisi poiché la madre si è rifiutata di dargli i soldi per prendere al distributore automatico. Come reazione alla frustrazione Tommaso ha strattonato la madre facendole perdere il controllo dell’auto. Arrivano al COES molto provati entrambi. La madre, molto spaventata e molto arrabbiata, dice che “anche a scuola ha fatto un macello”. A merenda Tommaso è più agitato del solito, fa cose che non gli vedevo fare da tempo: urla, insegue i ragazzi, stringe il collo e si aggrappa alle persone. Fatico a riportarlo nel setting quando ricominciano le attività. Poiché era previsto un lavoro con il cartone, ci sono nel setting anche un paio di forbici. Tommaso comincia ad usarle correttamente ma poi, mentre spontaneamente mi parla di cosa era accaduto in macchina (esordisce, non stimolato, a verbalizzare: “oggi ho fatto arrabbiare molto mia mamma”), comincia a tenere le forbici in modo non corretto, diciamo pure pericoloso. Provo a togliergliele di mano, ma Tommaso oppone resistenza e con tono di sfida mi dice “che c’è, sono molto pericolose?”. Desisto perché rischiamo davvero di farci male. Lo distraggo e dopo un po’ lui posa le forbici. Non faccio in tempo a toglierle subito di mezzo comincia a fare cose strane dicendo che c’è Tommaso “cattivo” nella stanza; le riprende e stavolta, nel tentativo di togliergliele dalle mani mi fa un piccolo taglio. Seguono minuti di riparazione, dice che ora Tommaso “buono” andrà a prendere un cerotto per me. Tornati nel setting, Tommaso continua ad alternare comportamenti ‘buoni’ a comportamenti ‘cattivi’, prova a riprendere le forbici che avevo messo nella mia borsa. Indecisa su come procedere, e poiché c’è una parte di me molto arrabbiata, metto in scena una sorta di pantomima, verbalizzando che c’è una Maria Grazia “arrabbiata” con Tommaso “cattivo”. Sposto tutto su un piano non di realtà. Prendo il burattino Tommaso Cattivo e comincio a chiedergli perché ha fatto queste cose. Tommaso prende l’altro burattino, quello Buono, che è anche lui arrabbiato con quello Cattivo perché ha fatto male a Maria Grazia, e comincia una dura lotta, prima verbale, poi fisica, tra i due burattini, che alla fine ne escono distrutti.
In chiusura raccogliamo i pezzi di entrambi i burattini, facciamo una sorta di funerale simbolico e decidiamo, insieme, di costruire un nuovo burattino, con i pezzi sia dell’uno che dell’altro. Al termine Tommaso mi si avvicina chiedendomi le coccole; lo contengo verbalmente e fisicamente. Tommaso decide di inviare un sms di scuse a sua madre.

L’incontro di novembre appena descritto rappresenta un punto di svolta del percorso terapeutico di Tommaso.
La costruzione di un terzo burattino, utilizzando pezzi appartenenti ai due precedenti, ha dato la possibilità, a Tommaso, di avviare un processo di integrazione delle parti, a cominciare da un piano simbolico.
Da quel momento il lavoro con Tommaso non ha più attraversato fasi così problematiche.

L’ultimo tassello del percorso svolto è stato un lavoro di raccolta, in un libro, di tutte le storie raccontate (e drammatizzate) da Tommaso, nell’ultimo periodo. La cosa interessante è che anche il libro, la copertina, la rilegatura sono stati costruiti da Tommaso. La creazione di un libro, di un raccoglitore – o meglio – di un contenitore delle sue storie rappresenta l’ultimo passo del percorso terapeutico fin qui descritto.
In corrispondenza al lavoro svolto si rilevano alcuni cambiamenti in Tommaso, relativamente al suo modo di stare in gruppo. Noi crediamo che la familiarità acquisita con il contesto del Camelot, e con alcuni ragazzi in particolare, abbia modulato i suoi vissuti di ansia permettendogli di istaurare relazioni più intense e adeguate con il gruppo.
Tommaso è gradualmente passato da una percezione del gruppo in base alla quale esso rappresentava solo ‘un pubblico’ fonte di frustrazioni o di gratificazioni, ad una che – interiorizzate meglio alcune regole poi generalizzate anche all’esterno del setting drammaterapeutico – gli ha permesso di essere non solo figura ma, spesso, anche sfondo, all’interno di contesti gruppali.
Inoltre, pur restando il rapporto con la drammaterapeuta un punto cardine, Tommaso sta sperimentando il legame con altri operatori.

Conclusioni

La drammaterapia, grazie all’utilizzo di strumenti e tecniche proiettive quali maschere e burattini (come nel nostro caso) ma anche di giocattoli, video, fotografie, ha permesso, a Tommaso, un livello di “distanziamento”, uno spostamento su un piano altro di contenuti troppo intensi da potersi autoriferire per poterli ‘maneggiare’ e affrontare.
Il lavoro sul “lupo” è servito principalmente all’esplorazione dell’immaginario di Tommaso, dei suoi contenuti, mentre l’utilizzo dei burattini ha permesso di agire, su un piano traslato, le sue fantasie.
La drammaterapia, in questo modo, può essere utilizzata al fine di permettere anche a soggetti affetti da patologie complesse, come Tommaso non in grado di accedere a un setting psicoterapeutico ortodosso, la conoscenza, la visibilità, l’elaborazione ed integrazione di parti del Sé fondamentali per uno sviluppo armonico di personalità e per lo strutturarsi di relazioni interpersonali più adeguate.
Il lavoro svolto ha evidenziato non solo i conflitti di Tommaso ma ha anche portato alla luce le sue risorse: la capacità, principalmente, di vedere e riconoscere i suoi bisogni, desideri, fantasie e di mettere in atto una serie di meccanismi di ‘autocontrollo’ che hanno permesso allo stesso di generalizzare tali apprendimenti nell’ambito della vita di gruppo, così come in ambito scolastico e nella vita familiare. Tommaso infatti sta riuscendo a interiorizzare regole superegoiche che facilitano meccanismi di maggiore integrazione dell’Io corporeo e del Sé con una evidente acquisita capacità di autorappresentazione di quello che fa e di quello che è.
A tal fine è stato fondamentale l’utilizzo dei sentimenti controtransferali della terapeuta, monitorata dall’equipe. Va sottolineato come la funzione principale della terapeuta sia stata quella di ‘ambiente sufficientemente facilitante’, all’interno del quale è stato possibile, per Tommaso, vedersi come Io distinto e separato dagli altri e come persona capace di stabilire contatti, instaurare relazioni, avere scambi con il gruppo di coetanei e con il gruppo degli operatori.
Ora Tommaso ha 17 anni, frequenta il Coes partecipando ad attività di gruppo.
L’esperienza qui presentata è da considerarsi come la descrizione di un processo, parte integrante del percorso evolutivo di Tommaso.

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Teodorino Carmine Calzaretta: psicologo e psicoterapeuta sistemico-relazionale; responsabile progetto riabilitativo Camelot, della comunità-alloggio Il Tulipano, e del progetto SISMIF Roma

Maria Grazia D’Avino: psicologa, drammaterapeuta, esperta in psicodiagnosi

Redazione NuoveArtiTerapie
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