28 Gen Gestalt counseling con elementi di musicoterapia e danzamovimentoterapia
Carla Zurru e Laura Quattrini
Un’esperienza di laboratorio integrato.
Il mondo del feto e’ fatto prevalentemente di suoni ovattati, di movimenti fluidi e ondulatori di frequenze medio-gravi pulsanti con ritmi diversi ma generalmente non troppo veloci, con occasionali interferenze provenienti sia dall’interno che dall’esterno del corpo della madre.
Questa colonna sonora accompagna uno stato di “beatitudine”, di assenza di attenzione ai bisogni, di totale riposo della mente.
Con imperscrutabili varianti, compreso il caso sfortunato del sopraggiungere di eventi traumatici, questa e’ l’esperienza del “paradiso perduto” che ognuno di noi si porta incisa nella propria memoria piu’ profonda.
Dal momento della nascita, la colonna sonora muta profondamente e la nostra memoria comincia a lavorare –attraverso il riconoscimento prima di tutto- per “mappare il territorio” intorno a sé. Il corpo materno sembrerebbe essere quanto di più vicino il neonato possa trovare a quello che ha vissuto come feto, e poi gli altri esseri viventi che lo circondano, e poi l’ambiente nel quale passa il suo tempo, il luogo geografico, l’ambiente in senso più lato…
Tutto ciò è possibile attraverso il corpo, è attraverso esso che conosciamo il mondo, è attraverso il movimento che possiamo esplorarlo.
E poiché la mappatura dell’ambiente non avviene mai attraverso un’unica strada, i suoni sono fusi con gli odori, i sapori, i colori, il movimento e le “vibrazioni” emotive.
Via via che la nostra mente accresce la rete di connessioni interne queste informazioni antiche, primordiali, arretrano in una zona sempre più lontana dalla nostra consapevolezza. Sembrerebbero perse, ininfluenti, ma talvolta improvvisamente qualcosa le riporta alla coscienza: un odore, un sapore, una forma, un suono…
E naturalmente, quando riemergono si presentano completi, con tutto il loro sapore emotivo.
Per questo motivo ci sembra che qualunque approccio mirato a aumentare la consapevolezza di se’, dei propri bisogni e dei propri vissuti che utilizzi modalità di espressione non verbali possa essere molto importante.
Convinte dunque della possibilità di convergenza e completamento reciproco del linguaggio del corpo e del linguaggio dei suoni, abbiamo deciso di proporre un workshop di una giornata in cui le proposte di lavoro si alternavano sottolineando di volta in volta i due aspetti.
All’interno della cornice di riferimento del counselling, il lavoro si è proposto di aumentare il livello di consapevolezza dei singoli partecipanti sia attraverso il recupero di memorie personali che attraverso la comunicazione e la condivisione con il gruppo. Il tutto in un contesto fondamentalmente giocoso e privo di risvolti moralistico-giudicanti.
Il laboratorio si è svolto in due tempi: 3 ore al mattino e 3 nel pomeriggio.
Il gruppo, composto di 8 donne e 1 uomo, aveva in maggioranza già partecipato a gruppi di espressione corporea con elementi di danza-movimento-terapia.
Il lavoro è iniziato con un automassaggio guidato, dove i partecipanti erano invitati a prestare attenzione a ogni parte del corpo, massaggiandola a partire dai piedi e percorrendo tutto il corpo fino ad arrivare al cuoio capelluto. Durante l’esperienza, si invita a sentire, capire di cosa c’è bisogno in quel momento, nel qui e ora, a soffermarsi e sperimentare i diversi tipi di contatto –sfiorarsi, premere più forte-, ognuno con il proprio ritmo e la propria intensità di massaggio.
Le qualità del massaggio sono molto differenti e fanno affiorare differenti emozioni e differenti ricordi.
Questo esercizio può far riaffiorare memorie lontane, perdute nella mente ma conservate nel corpo: qualche tempo fa, proprio facendo questo lavoro una donna ha avuto alcuni attimi di paralisi e congelamento dovuti a ricordi troppo dolorosi che, non venendo a galla attraverso la parola, sono invece riemersi nella memoria del corpo.
Ognuno di noi ha un vissuto corporeo, consapevole o meno. E’ perciò importante invitare le persone a “dosare” il contatto aiutandole a concentrarsi sulle sensazioni e rispettare i propri tempi e i propri vissuti.
A questo primo momento di contatto con se stessi e di concentrazione è seguita una esplorazione dello spazio, in cui il richiamo costante al corpo, al contatto dei piedi col pavimento e alle sensazioni ha la finalità di mantenere la consapevolezza e la presenza.
Si è poi invitato ognuno a trovare il proprio spazio in cui fermarsi e lì descrivere su un foglio, in forma anonima, un episodio significativo della propria vita, ponendo l’enfasi sui suoni e sui gesti corporei connessi con quell’episodio.
Questo è un momento dove il rapporto con lo spazio vuoto (il foglio bianco) da riempire con emozioni suoni e movimenti crea un carico di tensione molto forte. Si lascia il tempo necessario e si ribadisce che non necessariamente si deve descrivere un episodio doloroso ma anche un episodio gioioso.
Dopo aver scritto la sua storia, in modo anonimo, ogni partecipante mette il foglio al centro.
Fatto ciò, ognuno prende un foglio non suo e viene invitato a leggerlo, immedesimandosi nella persona che lo ha scritto, stando attendo a quanto succede, cercando di “sentire”.
Questo tipo di lavoro facilita tantissimo la coesione del gruppo ed è un ottimo esercizio di empatia.
In Grecia il termine “empatheia” (passione) si usava per definire l’ingresso nella sofferenza di una persona fino a identificarsi con lei.
Ci piace considerare l’empatia cosi’ come la definiva Edith Stein:
“l’empatia e’ l’atto paradossale attraverso cui la realtà di “altro”, di ciò che non siamo, non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai e che ci sposta altrove, nell’ignoto, diventa elemento dell’esperienza più intima, cioè quella del sentire insieme che produce ampliamento ed espansione verso ciò che e’ oltre, imprevisto”.
Anche nel momento di massima immedesimazione l’io non scompare in un io fusionale ma mantiene la sua diversità, ed e’ questa diversità che permette l’empatia perché un io fusionale non consentirebbe l’esperienza dell’altro.
Il lavoro e’ proseguito poi alternando, sia attraverso l’attenzione al corpo che ai suoni che ognuno produceva, l’attenzione ai propri vissuti interni e al resto del gruppo.
Trasferire le emozioni nel movimento del corpo, nella danza, aiuta a sperimentare la possibilità di esplorare nuovi spazi, di trasformare i movimenti permettendo l’accesso a nuovi stati d’animo e nuove emozioni.
Una volta fatto “proprio” il movimento ogni partecipante lo integra con la scelta di uno strumento che rappresenti la sua storia e completi la sua danza.
E’ stato interessante vedere come, partendo da una sperimentazione individuale di movimento e di suono, si è poi arrivati ad una sperimentazione di gruppo. Non solo quindi corpo individuale ma “corpo gruppale”, corpo che piano piano afferma la propria esistenza attraverso un’ “armonizzazione” e crea una melodia e una danza collettive, dove ogni elemento si è inserito seguendo la sua specificità.
Un aspetto importante del lavoro di questa giornata è consistito nello sperimentare il corpo stesso come produttore di suoni, sia in forma “autonoma” (uso della voce e della body percussion) sia eteronoma: diventare uno strumento musicale suonato da altri componenti del gruppo.
In questo tipo di lavoro si può sperimentare sia il piacere che il disagio del contatto o la presenza di zone di tensione del corpo di cui magari non c’era consapevolezza.
Nel corso della giornata il gruppo ha così realizzato una rappresentazione gestuale-motoria e sonora in cui ogni componente, attraverso il proprio individuale contributo, è intervenuto sia nelle iniziative che nelle scelte.
Nella condivisione finale dell’esperienza sono stati sottolineati:
-la sorpresa di (ri)trovare parti di se stessi dimenticate o sconosciute attraverso un suono o un movimento o un contatto epidermico;
-il piacere di condividere esperienze ed emozioni con persone fino ad allora sconosciute e improvvisamente diventate fratelli e sorelle;
-la gioia di costruire qualcosa insieme senza dover rinunciare al proprio contributo ma essendo disponibili a modellarlo –eliminando qualcosa, mutando qualcos’altro- per migliorare il risultato finale.