02 Mag Intervista a Giovanni Piperno regista di CIMAP! CENTO ITALIANI MATTI A PECHINO
Roberta Calandra
-Come è nato il progetto del film e con quali mezzi è stato realizzato?
È stato interamente finanziato dal Ministero della salute, quando c’era Livia Turco come ministro, con 300.000 mila euro, quindi era un grosso finanziamento per un documentario, però l’idea del viaggio e del documentario non era né mia né della produttrice, ma delle due associazioni che hanno proposto il viaggio, cioè “Le parole ritrovate” e l’”Anpis”, loro in realtà volevano andare in tv e cercavano dei testimonial televisivi che facessero il viaggio con loro… forse avevano ragione, così sarebbero andati più facilmente in tv! Cercavano i “turisti per caso”, siccome l’agente dei turisti per caso è anche la mia agente e loro erano in difficoltà, avevano bisogno di un regista e non avrebbero potuto seguire il tutto dall’inizio, poi loro non sono venuti sul treno, lei non è venuta perché aveva la mamma malata, lui non voleva far nulla di diverso dai “turisti per caso”, io avrei voluto che lui venisse e facesse l’animatore del gruppo, ma poi non è stato così.
-Perché le associazioni volevano un viaggio così lungo, estremo, complesso come la Transiberiana?
Per dimostrare che con il loro metodo ‘il fare assieme’, il cosiddetto ‘malato’ se poi sta in mezzo agli altri, può fare qualsiasi cosa e quello sarebbe stato un viaggio faticoso per chiunque, immaginiamoci per uno che prende le pasticche e così è stato: non c’è stato alcun particolare problema dovuto al fatto che c’erano malati mentali, anche abbastanza gravi. I problemi erano la fatica del viaggio per tutti. Quindi il senso è che non solo è vero che era sacrosanto chiudere i manicomi ma è ancora più vero che se li tiri fuori e fai le cose con loro, sono in grado e stanno anche meglio e danno il meglio di loro, detto un po’ rozzamente…
-hai fatto una sorta di casting?
ho fatto un viaggio in Italia di un mese incontrando tutti quelli che avrebbero dovuto prendere il treno, chiedendo incontri individuali, tutti, non solo i malati… e poi ho scelto da questi casting il mio gruppo. C’era un progetto scritto prima per cui io avrei dovuto avere un gruppo che aveva una missione da compiere: inventare un evento creativo che coinvolgesse l’intero treno, per comunicare al mondo, una volta arrivati a Pechino il senso di questo viaggio. Quindi ho fatto un casting prima di partire, anche se la durata del viaggio era molto breve per pensare ad un lungometraggio, come mi era stato commissionato, 20 gg sono pochi per creare una cosa narrativa che funzioni, un film lungometraggio.
-in base a quali caratteristiche hai scelto i protagonisti?
per quelle cinematografiche, la forza di ciascuno dal punto di vista cinematografico. Ho scelto quelli con i quali, nei brevi incontri precedenti di mezz’ora, si era creato un particolare rapporto di fiducia, dove io mi fidavo di loro e loro di me, quelli che ho scelto non avevano paura di partecipare, anzi avevano voglia di partecipare. Ho dato rilievo a due criteri soprattutto: il primo era la loro forza come personaggi e l’altro è stato quello di rispettare le indicazioni di come le associazioni lavorano, di mischiare al gruppo anche familiari, operatori e psichiatri, categorie che loro in genere coinvolgono nei gruppi.
-avevi una sorta di sceneggiatura iniziale?
Solo quello che dicevo prima, un progetto che stabiliva che avrei creato un gruppo con il quale creare qualcosa di creativo, che interagisse con gli altri viaggiatori. Non volevo fare a mia volta “turisti per caso”: tenere accese contemporaneamente quindici telecamerine dodici ore al giorno che alla fine non raccontassero una storia. Era un film su commissione e dovevo comunque trasmettere la peculiarità di un viaggio fatto da centinaia di persone… a questo mi serviva il progetto iniziale.
-quale è stata, se c’è stata la principale differenza tra il dirigere un “malato attore” e un “attore-attore”?
Secondo me la differenza in generale non è tra malato e non malato ma tra chi deve fare se stesso e chi non deve fare se stesso, ma recitare un personaggio. Si può chiedere ad un professionista di recitare un personaggio o di fare se stesso, da un non professionista è più difficile pretendere… Un attore si suppone sia più pronto, ogni volta che accendo la camera su qualcuno aumento la sua ‘maschera’ quotidiana, ma in realtà non ho avuto problemi, anche quando abbiamo chiesto loro di fare scene specifiche… I dialoghi erano tutti improvvisati ma alcune scene sono state organizzate da noi, per fare insieme un percorso. Li abbiamo obbligati a confrontarsi tra di loro durante il viaggio, questa è stata la premessa del viaggio, e anche una richiesta precisa: sapevano di non essere un laboratorio come altri laboratori ma “il gruppo del film”, e lo hanno capito alla perfezione. Insomma non ho avuto problemi particolari, se hai una complicità che sia attore o no, malato o no, professionista o no quello che fa la differenza è la relazione di complicità che si stabilisce.
-il rapporto con la camera è stato immediato per loro?
assolutamente sì, hanno subito capito che bisognava guardare in macchina solo quando serviva, la situazione del treno è stata utile a tutti al fine di dimenticarci che stavamo facendo un film… i protagonisti del film, vedendoci sempre con loro, dopo un po’ quasi non ci vedevano più…
-domanda di rito: il momento più difficile e quello più bello, emozionante per te, durante le riprese?
i momenti più difficili, lo dico con tristezza, sono stati dopo, quando alcuni psichiatri che hanno contribuito a fare il viaggio, non sono stati contenti del risultato del film. Anche se io ho avuto la massima libertà, non sono certo stato censurato, anzi, però ho imparato la lezione che quando si fanno i film su commissione forse è inutile cercare di porsi il problema di fare contenti i commissionanti, bisogna solo cercare di fare il film più bello possibile e che abbia il maggior successo possibile. Solo così si fanno veramente contenti i commissionanti, che comunque non sarebbero mai contenti nel caso si faccia un film, diciamo così, d’autore. Quindi o si sceglie di fare una cosa istituzionale, allora avrei potuto cercare di spiegare che cosa è “il fare assieme”, etc etc, oppure se si sente che il film permette il salto di qualità, se anche se un film nasce su commissione si riesce a fare un film poetico bello e forte allora è meglio andare per la propria strada, evitando parti didascaliche che tolgono poesia e forza… Il documentario più bello e di maggior successo dello scorso anno prima di “Draquila”, che è comunque di una regista famosa, è un film che si occupa di disagiati a Genova, su commissione do una onlus che ha a che fare con questo. Si chiama ‘la bocca del lupo’ e il regista ha fatto un film puramente poetico, pur non essendo famoso, e infatti ha avuto successo…e dato anche grande visibilità a questa onlus!
per i ricordi belli invece, beh, ne ho tanti, ma quello più bello di tutti, che mi ha lasciato la maggiore emozione è stato quello in cui il ragazzo autistico protagonista del film, in uno spostamento in pullman a pechino mi ha dato un bacio, è il ricordo più bello che ho.
-come è stato rivedersi per loro?
rivedersi per loro… essendo molto intelligenti e sofisticati, avevano capito già ognuno come sarebbe apparso, quindi non hanno avuto grosse sorprese, l’unica cosa che chiedeva Vincenzo è che era preoccupato che lui non sapesse nuotare, invece io gli ho spiegato che proprio doveva far sì che si capisse che lui sapeva nuotare ma che non aveva il coraggio di farlo, tant’è che io ho aggiunto una voce fuori campo che non c’era in origine che dice : ‘Vincenzo, vieni a fare una bella nuotata’, gliela ho fatta notare e lui si è tranquillizzato e l’altra preoccupazione era di Olga che la prima volta che l’ha visto più volte e all’inizio era preoccupata si pensasse che era la fidanzata ufficiale di Andrea, però poi, già dalla seconda proiezione pensava già di fare l‘attrice a Roma, insomma era contenta…
-pensi possa aver avuto per loro anche una sorta di valenza terapeutica?
l’ha avuto per gli psichiatri, più che per loro, per loro ha avuto più valenza terapeutica partecipare al film, soprattutto per uno come Vincenzo che stava veramente chiuso dentro se stesso come uno che avesse vissuto per 40 anni dentro una caverna… quando l’ho conosciuto era veramente chiusissimo ed era difficile capire quello che diceva, quindi a lui ha fatto sicuramente bene l’esperienza del viaggio e del film e poi al suo psichiatra è stato utile rivedersi perché ha capito che questo rapporto non funzionava e infatti non è più il suo psichiatra, dopo aver visto il film.
-e come è stata la reazione invece dei familiari?
quella dei familiari è stata molto importante, per esempio con Andrea, a Parma, c’è stato un momento molto bello della mamma e dei fratelli di Andrea che erano orgogliosi del loro familiare, mentre in genere uno tende a vergognarsi del fatto che il congiunto ha questi problemi, mentre lì la forza poetica e l’ironia di Andrea sono uscite talmente bene che loro erano orgogliosi, proprio contenti. Questo è stato importante anche per il padre di Jacopo, il padre del ragazzo autistico, che ha visto durante il viaggio e il film che suo figlio qualcosa poteva fare e un pochino poteva migliorare, insomma ha potuto rivalutare degli aspetti…
-uno di loro afferma che la parte difficile più che il film sarebbe stata tornare e svegliarsi ‘normalmente’ tutte le mattine nel solito luogo, è successo proprio così?
immagino di sì, ma per tutti, dopo un’esperienza così forte di amore, di curiosità, di scambio su quel treno… poi quando finisce lascia un vuoto a tutti, lo ha lasciato a tutti… a me un po’ meno perché poi ho iniziato la parte più bella, il montaggio, quindi è come se fosse sceso da quel treno quasi un anno dopo, lo avessi lasciati quasi un anno dopo, a Locarno, nell’agosto nel 2008, quindi per me è stato più facile, per loro avere avuto l’interruzione netta è stato tosto.
-le relazioni della psichiatria ufficiale dunque ti hanno soprattutto ferito?
diciamo che ho avuto anche delle soddisfazioni, un basagliano come Peppe Dell’Acqua, che era uno di quelli in polemica con l’operazione del viaggio, quando ha visto il film a Trieste ha detto: “capisco il senso di questo viaggio”, però i due leader, diciamo così, che hanno organizzato il viaggio, insomma i commissionanti, uno non è per niente contento del film cioè dice che è bello ma non parla del “fare assieme” e l’altro dice che dà una visione troppo parziale e ho fatto troppo di testa mia, che tante cose non ci sono… Io sì, certo che ho fatto di testa mia ma credo che l’obiettivo di un regista sia fare il film più bello che può, per questo a posteriori mi dico che forse sarebbe stato meglio non preoccuparsi affatto dei commissionanti e forse il film avrebbe avuto più successo… Ora il film poi ha avuto un successo relativo anche per il fatto che è stato bloccato per un anno, dunque tutta la spinta promozionale che c’è stata dopo Locarno si è perduta, è stata sprecata dal fatto che il film non è uscito per un anno e mezzo, vedendo bruciare molte delle sue potenzialità.
-c’è stata qualche conseguenza pratica degna di rilievo?
si ma..in Cina! la conseguenza più forte del viaggio, non del film, è stata che in Cina -che sembrava il posto più difficile per gli incontri tra gli psichiatri italiani e quelli locali- c’è stato un incontro, quasi di nascosto, senza telecamere, tra un piccolo gruppo rappresentativo del viaggio e alcuni psichiatri cinesi e tanto è bastato a far sì che adesso, mi sembra la primavera scorsa, è stato aperto a Pechino un centro di igiene mentale su modello italiano, aperto… E’ la prima volta che succede in Cina, dove ci sono i manicomi, naturalmente, ed i cinesi sono venuti a Trento a studiare i metodi del fare assieme, perché poi sono molto rapidi ed elastici… è il paese che inquina di più al mondo ma poi adesso a Pechino possono circolare solo i motorini elettrici! Sono molto veloci, certo in una dittatura quando c’è un cambiamento, una decisione poi si realizza facilmente, quindi quello che era il paese più repressivo per la salute mentale e per gli handicappati in generale, adesso ha aperto un centro, quindi è stato gettato veramente un seme molto bello.
NOTA
L’autore si chiama Giovanni Piperno, anche direttore della fotografia de L’orchestra di Piazza Vittorio. Cimap, ovvero Cento italiani matti a Pechino, racconta di settantasette ragazzi malati mentali in un cammino pieno di umanità che culmina a Pechino. 12.000 km di paesaggio visto dai binari e vissuto dai protagonisti. Il film è stato presentato al Festival di Locarno nel 2008, ed è dedicato a Mario Tommasini e allo psichiatra Franco Basaglia. 77 malati mentali e 130 tra operatori, 5 operatori, e poi psichiatri, familiari e volontari lo riempiono di 82 minuti alla scoperta della possibilità di aprirsi di migliorare la propria condizione, di dire al mondo che una vita normale è possibile anche nella non normalità dell’handicap mentale.
Roberta Calandra Sceneggiatrice e Counselor