
02 Nov Invecchiare con l’arte…l’arte di invecchiare
‘Al mio ultimo compleanno avevo 93 anni. Questo non suona giovane, certo…ma l’età ha un’importanza relativa. Se continui a lavorare e percepisci la bellezza del mondo intorno a te, scopri che età non significa necessariamente invecchiare. Percepisco molte cose con maggior intensità che in passato e per me la vita si fa più affascinante. L’uomo che lavora non è mai annoiato, non è mai vecchio, Il miglior rimedio all’età è il lavoro e l’interessarsi alle cose di valore. Ogni giorno rinasco. Ogni giorno devo cominciare da capo.’
Pablo Casals
Il celebre musicista catalano ci offre una visione della possibilità di invecchiare con arte: arte non solo come compagna di vita, ma come chiave di interpretazione di questo momento della vita. Come può l’arteterapia aiutare la persona che invecchia? E come si vive l’invecchiamento oggi, in una società che premia sempre di più l’efficienza, la velocità, la bellezza fisica della giovinezza?
Lo scenario
La durata della vita si è allungata nel corso dei secoli: si è passati da un’età media di 30 anni in epoca romana a 40 nel medioevo, a 50 nel novecento.
La percentuale degli anziani è oggi in aumento nelle società industriali. Sono oltre 10 milioni gli italiani sopra il 65 anni, rappresentando il 18% della popolazione e il nostro paese è quello dove si invecchia di più in Europa. Quasi due italiani su tre superano la soglia dei 75 anni ed il numero degli ultraottantenni cresce ogni anno di 10 mila unità. Si prevede che nel 2050 la popolazione anziana mondiale supererà il 21%. Nel 1950 c’erano 47.100.000 di anziani, nel 2000, più di 57 milioni. La speranza di vita continua a crescere, con gli ultra centenari in aumento.
Se da un lato questo è un traguardo, sarà necessario predisporre la società perché prolungare la vita delle persone sia un vantaggio per queste e non una condanna. Di fronte a questo fenomeno, la Sanità, i servizi sociali e di assistenza si muovono individuando nuove strategie di approccio per andare incontro alle esigenze di una nuova popolazione fatta di vecchi. La medicina ci aiuta ad invecchiare di più, ma è necessario al contempo invecchiare ‘meglio’, affinché questa parte della vita possa essere soddisfacente e premi gli sforzi fatti per mantenere la longevità.
‘La vecchiaia non è solo destino biologico, ma anche storico – culturale. Quando il tempo era ciclico e ogni anno il ritmo delle stagioni ripeteva se stesso, chi aveva visto di più sapeva di più. Oggi con la concezione progressiva del tempo, non più ciclico nella sua ripetizione, ma freccia scagliata in un futuro senza meta, la vecchiaia non è più un deposito di sapere, ma ritardo, inadeguatezza, ansia per le novità che non si riescono a controllare nella loro successione rapida e assillante.’ (1)
Queste riflessioni ci danno l’opportunità di dedicare uno spazio di attenzione alla dimensione esistenziale dell’anziano: aspetto che insieme ad altri temi è stato centro di interesse del recente ‘Convegno terza età’ della Pro civitate Christiana della Cittadella di Assisi, dal titolo ‘L’enigma del corpo’ – valori, limiti, saggezza’. In questa occasione abbiamo potuto dialogare con chi si occupa di geriatria e gerontologia e dell’applicazione delle arti terapie in questo settore. L’organizzatrice del convegno, la dott. Finella Pellegrini, ha sottolineato come sia importante dare uno spazio all’anziano e un’opportunità di dialogo e scambio a chi lavora in quest’ambito, per consentire alle persone che si confrontano con l’invecchiamento di rimanere attivi, vitali e continuare a trarre piacere e senso dalla vita.
‘Dunque guardarsi dentro, è la prima cosa da fare, quando ci si incammina su questa nuova strada. Chiudiamo gli occhi e chiediamoci “che cosa vuoi fare veramente, ora che sei libero?”.. all’incontro con la libertà bisognerà essere preparato’ da ‘La vecchiaia può attendere’ di Arrigo Levi
Il benessere è il risultato di un equilibrio fra i propri bisogni: fisici, intellettuali, emotivi e spirituali. Tendiamo a concentrarci su alcuni bisogni più esterni, più apparenti – questo è quanto mai evidente nell’anziano- e a sfuggire bisogni più profondi. L’anziano è abituato ad esprimere il malessere ed eventualmente i propri bisogni attraverso il corpo: sembra questo l’unica autorizzazione che la educazione e la cultura di appartenenza gli permette. Riferisce così del suo ‘corpo malato’, gli acciacchi, i vari sintomi, assillando il medico che risponde in genere a suon di compresse.
Anche i malesseri psicologici passano attraverso il corpo: stanchezza, mancanza di forza, sonnolenza, apatia. Sembra essere l’unico modo conosciuto di esprimere distortamente i bisogni. In questo modo si richiama anche l’attenzione su di sé, instaurando un giro perverso di malesseri tra familiari: figli con sensi di colpa, coniugi preoccupati. Si stanno delineando nuove generazioni di ‘ancora figli’ che si ritrovano a svolgere funzione genitoriale con padri o madri quasi centenari e non hanno il tempo di potersi dedicare al proprio processo di invecchiamento. Mentre si dibattono ancora in conflitti irrisolti con la generazione precedente, devono anche confrontarsi con il proprio ruolo genitoriale nei confronti dei figli che tendono per tante ragioni, non ultima quella economica, a prolungare una situazione di dipendenza filiale anche in età adulta.
In questo gioco quasi caleidoscopico è facile perdere i confini e sentirsi disorientati e confusi sui ruoli e funzioni e le fragilità che emergono hanno meno punti di forza su cui appoggiarsi. Come sottolinea Brigitte Camdesuss (2), è importante che l’invecchiamento non cessi di contenere in sé potenziale di cambiamento soggettivo e relazionale e che il rapporto tra generazioni sia costruito anche all’insegna dell’accettazione del separarsi e del morire. Accompagnare l’anziano alla scoperta dei suoi bisogni e aiutarlo a realizzarli realisticamente, è un processo coinvolgente anche per l’operatore della relazione di aiuto.
Così il lavoro con l’anziano diventa la ricerca dei bisogni (non espressi), dare un nome alle sfumature, a quel vuoto, a quel dolore, a quel malessere interiore di cui spesso non si è consapevoli. E ci sono sorprese quando, insieme, si scopre che questo corpo aveva altri bisogni, altri dolori e soprattutto un’energia e una vitalità inaspettata. Invecchiare bene dipende innanzi tutto dall’assumersi la responsabilità di prendersi cura di sé, cosa a cui l’anziano, la donna in particolare, non è abituato. Le cure, i bisogni sono stati proiettati sugli altri, figli in particolare. L’uomo, secondo i dettami dell’educazione ricevuta nella nostra società dei primi del novecento, ha ricevuto il comando di essere distaccato, forte, perché mostrare i propri sentimenti era segno di debolezza.
L’uomo è cresciuto con una proiezione esterna, portare i soldi a casa, la donna a crescere i figli, ad esercitare un potere privato, silenzioso e molto spesso rancoroso e vendicativo. Né l’uno né l’altro hanno preso del tempo per loro, ad ascoltarsi, chiedersi che cosa volevano, ‘non era possibile’, dicono i pazienti con i quali lavoriamo ‘la guerra, la fame…avevamo altro a cui pensare’.
Ora è difficile impararlo, ma non impossibile, come testimonia il lavoro, soprattutto arteterapeutico, con queste persone. Un processo che può essere ben descritto dal titolo del libro di McCollough: ‘Innamorarsi della vita’(3): avviare nell’età matura uno sviluppo di consapevolezza che ci insegni a riconoscere e apprezzare gli aspetti positivi dell’invecchiamento, imparando a gestire quelli negativi. Espandere la consapevolezza in vecchiaia, è comprendere ed accettare come si è, dandosi il diritto di avere ancora dei desideri, permettersi la creatività come mezzo per raggiungerli, saper vivere il qui ed ora, e i piccoli/grandi momenti che la vita può dare, iniziando a lasciar andare l’attaccamento per quello che non si può più avere. In termini esistenzialistici è diritto alla propria soggettività, al vissuto fatto anche di dolore, tristezza per le inevitabili perdite, anche affettive. Il vecchio si sente spesso in colpa, per essere sopravvissuto ai suoi cari e non si autorizza a vivere a pieno per questo, è arrabbiato contro un mondo che non capisce più perché lui è fuori da qualsiasi ‘stanza dei bottoni’. La disperazione più grande come operatore la senti proprio in questa mancanza di senso che acquista la vita quando vengono meno gli obiettivi e le funzioni che tenevano in vita la persona per raggiungerli.
‘Ho comandato 20000 uomini’ dice Vittorio, che ha fatto il militare di carriera ‘avevo la responsabilità delle loro vite’, mi dice e si guarda sulla sedia a rotelle, ridotto all’impotenza, con una mente che funziona perfettamente. Capisci che sta mettendo insieme i pezzi della sua vita, ricollocando i valori, acquietando i desideri impossibili. Ascolti, comprendi, accogli, e poi cerchi insieme qualcosa che produca ancora senso, che permetta di animare ancora alla vita.
Arteterapia perché
Il contatto con la mediazione artistica permette di avere uno strumento al di fuori di sé con cui prendere contatto, esprimersi, bypassando il livello cognitivo, che spesso censura, giudica l’esperienza, impedendo l’accesso alla creatività. Mezzi come la musica, la tessitura, il disegno, l’utilizzo di materiale di recupero, – come testimoniano arteterapeuti che propongono laboratori a persone in età avanzata, – sono mediatori che consentono alle persone attività manuali che avrebbero magari voluto provare, senza averne mai avuto il tempo o l’opportunità prima, durante la vita ‘attiva’.
Nello stesso tempo i linguaggi artistici, in questo contesto non sono utilizzati in modo tecnico, né perseguono un’estetica specifica. Confrontano con esperienze che non mettono le persone in competizione con capacità che avevano e che stanno perdendo a causa dell’età. Chi ha difficoltà a leggere, a fare attività che impegnino organi di senso e capacità cognitive in declino, può scoprire un piacere e risorse inaspettate dal suonare o sentire musica, utilizzare un pennello e sperimentare l’uso dei colori, scoprendosi competente molto più di quello che credeva.
Il mediatore artistico non produce arte, ma trae un valore terapeutico dal processo creativo, costituendosi soprattutto come mediatore relazionale. La musica, il disegno, l’oggetto creato dal nulla permettono di abitare-riabitare (4) una distanza interiore tra parti interne della persona anziana che ha perduto, anche per motivi sociali ed affettivi, molto spesso degli interlocutori-mediatori di relazione. Lo spazio vuoto, o popolato di brutti pensieri, si va abitando di nuove esperienze, sensazioni scoperte, rimettendo in circolo un circuito virtuoso verso la vitalizzazione e la motivazione.
Arteterapia come…
Tiziana Luciani, psicologa psicoterapeuta con una formazione di arte terapia all’ Art Therapy Italiana di Bologna, propone un laboratorio dal titolo ‘Storie di vita’: “Nel laboratorio invito i partecipanti a creare un libro della loro vita, anche solo di tre pagine. Utilizzo materiali di recupero e materiali naturali e dei fogli di carta paglia piuttosto consistenti. Invito a scegliere i materiali, a ritagliarli e comporli anche in modo non figurativo. Il libro può riguardare passato, presente e anche il futuro. Le persone scelgono con intensità, lasciandosi andare al piacere di toccare e scoprire. E di comporre storie di vita coinvolgenti e forti. Chi ha piacere può presentare il suo libro e commentarlo per gli altri, raccontando se vuole aspetti e momenti della sua vita. Penso che per loro sia importante vedere in quale punto del libro della vita si trovano, sfogliare le pagine del passato e gettare un occhio in quelle ancora non vissute”.
Maria Luciana Buseghin, antropologa e ricercatrice, lavora con la tessitura, proponendo laboratori con lavorazioni antiche e cariche di tradizione. Ha sperimentato un laboratorio di aroma terapia: “Ho costruito il laboratorio utilizzando una scatola-calendario di profumi proveniente dal museo del Profumo di Grasse di una nota ditta francese Maitre Parfumeur et Gantier con 12 profumi ognuno corrispondente a un segno zodiacale e divisi per stagioni: le signore di un primo gruppo hanno scelto quello che più gradivano e espresso emozioni e ricordi: solo dopo abbiamo scoperto insieme che profumo era, a quale segno corrispondeva e di quali essenze era composto e se eravamo d’accordo o no sulle caratteristiche di personalità indicate nella scatola. Al secondo gruppo ho proposto il profumo indicato nel calendario in corrispondenza della loro data di nascita: il percorso inverso. Le signore hanno reagito molto attivamente e anche chi era timida si è nel tempo sbloccata e ha riconosciuto l’importanza di un certo profumo. S’ è creato un bel clima e qualcuna ha voluto addirittura l’indirizzo del produttore per ordinarlo!!L’utilità mi è sembrata soprattutto quella di sbloccare le emozioni, attivare i ricordi e le riflessioni.”
La famose Madeleine di Marcel Proust ci ricordano quanto un profumo, un odore, possano rievocare e portarci immediatamente in ricordi, emozioni a volte totalmente al di fuori della consapevolezza e possono costituire uno spunto sensoriale di contatto con il corpo e l’identità, prezioso per iniziare un percorso terapeutico con una persona anziana.
Anche la musica diventa un mediatore con la propria storia personale e la propria identità, aspetti questi molto importanti con il progredire dell’età, quando le persone intorno spariscono e si affievoliscono le tracce esterne e le conferme dell’esistenza, soprattutto in patologie che colpiscono la memoria (5). La musica può diventare contenitore delle emozioni, dei ricordi, può essere espressione e piacere vitale del corpo, vissuto e sentito, autorizzato ad un’esperienza che non ha in questo caso censure morali o culturali. La musica può essere consolazione al dolore che l’età porta con sé: i lutti, inevitabili, le perdite di capacità e funzioni da elaborare. L’esperienza musicoterapeutica crea lo spazio per la comunicazione e la relazione tra le persone, e può dare accesso ad una spiritualità tanto più importante man mano che ci si confronta con le esperienze estreme dell’esistenza. (6)
Concludo questa riflessione sulla relazione d’aiuto con la persona anziana, riportando un brano dello scrittore Milan Kundera (7):
“Il sentiero: striscia di terra che si percorre a piedi. Diversa dalla strada asfaltata che è una semplice linea che unisce un punto ad un’altra. La strada asfaltata non ha senso in se stessa; hanno senso solo i due punti che essa unisce. Il sentiero è una lode allo spazio. Ogni tratto del sentiero ha senso in se stesso e ci invita alla sosta. La strada asfaltata è una trionfale svalutazione dello spazio. Prima ancora di scomparire dal paesaggio, i sentieri sono scomparsi dall’animo umano: l’uomo ha smesso di desiderare di camminare con le proprie gambe e di gioire per questo. Anche la propria vita ormai non la vede più come un sentiero, bensì come una strada asfaltata: come una linea che conduce da un punto all’altro, dal grado di capitano al grado di generale, dal ruolo di moglie al ruolo di vedova. Il tempo della vita è diventato per lui un ostacolo che è necessario superare a velocità sempre maggiori”. Tante ore passate insieme ad un anziano e al suo volto solcato di rughe profonde ed antiche che hanno scritto la sua storia, fanno riflettere l’operatore della relazione d’aiuto sul senso del tempo e lo confrontano sugli infiniti sentieri che quelle rughe descrivono su quel volto. Sentieri che attendono solo di essere esplorati con delicatezza e curiosità, e che possono raccontare molte cose.
INTERVISTA
Luisa Bartorelli è specialista in gerontologia e geriatria, docente in psicogeriatria, direttore dell’ Unità Alzheimer del Sacro Cuore, Roma
Professoressa Bartorelli, qual è l’approccio medico ottimale all’anziano?
C’è una grande eterogeneità nel modo di invecchiare, quindi non esiste un approccio univoco, ma individualizzato ad ogni singolo anziano. Se invece parliamo di “anziani fragili”, cioè di quelli a rischio di perdita di autonomia per la presenza di più malattie concomitanti, spesso accompagnata da disagio psicologico e sociale, allora è chiaro che ci deve essere una valutazione globale di tutte queste cause di scompenso, per un approccio che riguardi tutte le tre sfere di intervento, con un’attenzione speciale alla singola persona nella sua interezza.
Questo è particolarmente evidente per le persone anziane affette da malattie degenerative progressivamente invalidanti, come l’Alzheimer, per le quali, dato che i farmaci hanno un’efficacia relativa, è necessario studiare strategie non farmacologiche, che ci consentano di mantenere il più possibile una dignitosa qualità di vita per i malati e le loro famiglie, pesantemente coinvolte.
Punti di forza e di debolezza della persona nell’età della maturità.
Ognuno invecchia come è vissuto. E in effetti la cosiddetta “ crisi di mezza età” diventa molto importante per quel che sarà il futuro della persona. Accettare consapevolmente il tempo che passa con il carico di diminuzioni che comporta, creare compensi alle perdite fisiche e psichiche, mantenere relazioni affettive valide ed interessi che diano benessere sono tutti elementi per costruire una buona vecchiaia, senza i rimpianti e le rivendicazioni che possono renderla opprimente.
Oltre che geriatra e gerontologa, lei è anche stata archeologa in gioventù. Quanto influisce questa sua formazione artistica nella professione medica e come giudica l’intervento arteterapeutico con la persona anziana?
La mia formazione culturale ha influenzato grandemente la mia professione, orientandomi più sull’ ”umano” che sul “tecnologico” nell’approccio al paziente.Quando la tecnologia esaurisce le sue possibilità, rimane tuttavia un grande spazio per un intervento di riattivazione, vale a dire quell’insieme di strategie finalizzate al mantenimento delle capacità conservate del paziente: terapie di orientamento reale, occupazionale, musicoterapia e sicuramente anche arteterapia, se rispetta l’obiettivo di valorizzare la persona malata, anche nei riguardi dei suoi vissuti passati. È importante a questo fine l’alleanza terapeutica tra operatori di diverse professionalità, per un intervento condiviso e integrato.
SILVIA RAGNI, psicologa, musicoterapeuta, psicoterapeuta della Gestalt, Roma
(1) Galimberti U., Quando essere vecchi significava saggezza, La Repubblica, 29 febbraio 2008
(2) Camdessus B., Anche i nostri genitori invecchiano, Raffaello Cortina ed, 1991
(3) Mc. Collough C., Innamorarsi della vita, Positive press, Verona 1999
(4) Rovatti P., Abitare la distanza, Feltrinelli 1994
(5) Ragni S., Musica come mediatore della relazione: un modello di musicoterapia per l’Alzheemer, in Musica tra neuroscienze, arte e terapia, Musica practica, 2007
(6) Scardovelli M: Musica e trasformazione, Borla 2000
(7) Kundera M., L’immortalità, Mondadori