11 Feb La cura sempre più a portata di u-mano
Daniela Abbrescia
Salvatore Iaconesi è un creativo, artista e docente cui è stato diagnosticato un tumore al cervello.
Da questo sconvolgente momento, ha pensato di gestire la sua malattia in modo un po’ diverso dal solito. La domanda di partenza è stata la seguente: se i dati clinici dei pazienti cui è diagnosticata una malattia grave fossero disponibili e dunque confrontabili, si potrebbe avere qualche speranza in più per sopravvivere? E i medici e i ricercatori trarrebbero beneficio dal possesso di tutte queste informazioni?
L’artista ha sfidato il quesito decidendo di condividere online tutto l’iter della sua malattia. Soprattutto attraverso immagini e video di vario genere e con diverse finalità.
Tutto nasce dalle sue emozioni rispetto alla diagnosi: racconta di aver provato un forte smarrimento, aver pensato che ci fosse stato un errore, aver cominciato a valutare qualsiasi possibile alternativa all’intervento chirurgico. Si è sentito sostanzialmente insoddisfatto del modo in cui il Sistema Sanitario stava gestendo la sua situazione clinica. Bisogna considerare, infatti, il fortissimo impatto psicologico della diagnosi di tumore cerebrale sulla vita di una persona, che in questo caso possiede anche tanti strumenti di introspezione e ricerca personale, che la portano a porsi innumerevoli quesiti circa la definizione e la pratica della “cura”.
Anche Iaconesi, come tantissimi pazienti, ha provato la sensazione di sentirsi una malattia piuttosto che un malato. In effetti, questo mi ha ricordato la mia esperienza lavorativa in ospedale, dove spesso i medici mi annunciavano in questo modo i pazienti da incontrare: “Oggi c’è una depressione, un disturbo ossessivo compulsivo, una schizofrenia”. Il dover incontrare le malattie e non le persone mi lasciavano un senso di disagio e mi portavano a riflettere tanto, e nel corso del tempo ho approfondito quest’aspetto dal punto di vista del paziente, sia come psicoterapeuta, sia a mia volta come paziente. Per questo motivo, credo che la prospettiva di una cura open source sia interessante, innovativa e soprattutto alla portata di tutti. In quest’epoca in cui la condivisione di dati personali supera anche le barriere dell’intimità, pensare di poter mettere in sharing dei dati clinici rappresenta un valido tentativo di integrazione del mondo clinico con quello digitale e soprattutto del social-network.
Che cosa ha fatto concretamente Iaconesi? Ha convertito i suoi dati in formati accessibili a tutti (file xml, video, immagini, file audio) e li ha pubblicati sul sito http://www.artisopensource.net/cure/ . La risposta della rete è stata a dir poco sorprendente: fino al mese di novembre 2012, il sito è stato visitato da più di 200.000 persone, tra cui più di 90 medici e ricercatori che hanno condiviso informazioni e dato la loro disponibilità a collaborare. L’obiettivo è unire i contributi di oncologi, chirurghi, omeopati, professionisti di tutte le discipline, ma anche di terapeuti che si occupano di psicologia, anima, spiritualità.
Mi hanno fatto riflettere queste parole, scritte sul sito: la definizione della “malattia” è qualcosa che è “riservato” ai medici. Spesso usando parole che non comprendiamo e, soprattutto, toccando solo una parte della condizione umana, che è fatta di corpo, sì, ma anche di spirito e socialità”.
L’aspetto della comprensione è fondamentale per un essere umano, ad ogni età e in ogni condizione, e maggiormente nel ruolo di malato. Infatti, come ormai ben noto, ogni problema organico ha anche un effetto sull’interiorità, data l’inscindibilità del binomio mente-corpo. Un mal di testa, un braccio rotto, l’allergia o la psoriasi hanno sempre un effetto sulle emozioni e sui comportamenti di una persona. Le emozioni circa la malattia contribuiscono in modo attivo alla costruzione mentale che ognuno di noi fa, ogni qual volta gli è posta una diagnosi di qualsiasi genere. Questo processo si attiva in modo naturale e forse, per qualche verso, anche un po’ inconsapevole, ma ci accompagna durante tutto il decorso della malattia e ci pone sicuramente nei suoi confronti anche attraverso questo punto di vista. Poter esprimere e dar voce a queste emozioni appare non solo un mezzo espressivo ma anche la possibilità di percepire se stessi come alleati e affrontare in modo più attivo la malattia, lasciando meno spazio alla passività.
E proprio in questi giorni nel Dipartimento Cardiovascolare dell’Ospedale S. Filippo Neri di Roma è nata la cartella clinica “umana”, che prevede una parte autobiografica scritta direttamente dal paziente, usando il modello narrativo “Alfa” ideato dalla scrittrice Rosalba Panzieri. Anche in questo caso si parla di globalizzazione dell’assistenza sanitaria, mostrando quanto sia ormai imprescindibile per la medicina accogliere l’unicità dell’individuo, poiché costituisce un elemento fondamentale nel processo di guarigione.
Le nuove prospettive della cura sembrano dunque sempre più centrate sulla relazione, sugli aspetti personali e non solo sui sintomi e sulla valutazione dei quadri clinici. Una dimensione più olistica, che osserva l’essere umano nella sua globalità prestando attenzione alle sue esperienze interne e ai vissuti, invece di soffermarsi kraepelianamente sull’individuazione di sintomi.
E le parole di Iaconesi ci lasciano sicuramente con uno spunto di riflessione aperto:
Cos’è la medicina? Il termine stesso ha cambiato più volte di significato con il passare del tempo. Dobbiamo essere capaci di non perdere il valore della complessità, che è preziosa. Semplificare troppo non aiuta nessuno. Se per “medicina” intendiamo qualcosa che miri a ristabilire il benessere e la salute dell’essere umano, allora la mia risposta è che il risultato più promettente della Cura è stato quello di permettere il combinarsi armonioso di molti contributi, attraverso le discipline, proprio per andare in questa direzione.