Gentili lettori,
questo è il secondo numero della nostra rivista e viene pubblicato in formato elettronico. Non più carta che poi rimane lì o che perde di attualità con il passare del tempo, ma un documento che rimane di identico valore nel tempo, consultabile attraverso i nostri ormai quotidiani strumenti di sussistenza pc, tablet etc. Confidiamo che l’iniziativa editoriale sarà di vostro gradimento, e che i contenuti della nostra pubblicazione costituiscano, sempre di più, spunti di riflessione sulle arti terapie.
“L’arte come terapia” è infatti è il principio fondamentale del metodo introdotto da Edith Kramer. È l’arte stessa che diventa terapia in quanto crea una zona di vita simbolica che permette la sperimentazione di idee e sentimenti, che porta alla luce la complessità e la contraddizione della vita, che dimostra la capacità dell’uomo di trascendere il conflitto e di creare ordine dal caos per ritrovare infine anche il piacere.
Margherita Gandini riconsidera il percorso di vita e professionale dell’artista austriaca, morta lo scorso anno a 97 anni. L’arte come terapia trova applicazione in molti territori di sofferenza. Denisa Borgese ci porta vicino ai pazienti oncologici, ai loro sintomi di ansia e di depressione. Sapere di avere un tumore influenza il modo di intendere la vita, difficile non trovarsi in preda a rabbia, angoscia e paura. Esprimere le proprie emozioni è un grande sforzo in un momento così delicato, ma è una possibilità che il laboratorio espressivo offre,
proprio in quanto l’arteterapia favorisce il dialogo non verbale. Silvana Bencivenga esplora i luoghi della cura rivolta a malati gravi o in situazioni terminali, una cura che passa attraverso il contatto Nurturing Touch (tocco che nutre), una comunicazione profonda che permette di accedere a spazi di comprensione e accettazione del senso profondo della vita.
Il contributo di Francesca Rubettino indaga invece un altro territorio del disagio; riguarda infatti l’utilizzo della musicoterapia in situazione di stress lavoro correlato, utilizzo che si rivela anche un ottimo strumento preventivo. Sara Sardiello ci racconta del laboratorio teatrale realizzato presso il centro di riabilitazione psichiatrica della Lombardia con tecniche di video e di dramma terapia, “Nonsolopergliocchi” era il titolo, e sollecitava la raffigurazione del desiderio, immagine che contiene una bellezza che sfugge spesso agli occhi.
Susanna Venturi infine ci parla della sua esperienza di autoterapia attraverso l’autoritratto fotografico in gravidanza. In questo particolare momento della vita il corpo non coincide con l’immagine interiore che la donna ha e osservarsi dall’esterno come altro da sé attraverso l’immagine voluta (autoscattata) , favorisce la consapevolezza del cambiamento ed il meccanismo di disidentificazione.
Buona lettura a tutti!