25 Lug L’eredità di Anna Freud
L’eredità di Anna Freud, di Roberta Calandra
Romanzo, Salento books, 2013
La vicenda di questo romanzo è accennata nella quarta di copertina “tre donne, una casa imponente, un passato per tutte difficile e pieno di non detti. Anna Freud […] malata e ormai al tramonto dei propri giorni vive con la giovane Sarah […] giunta a Londra in cerca di lavoro e scelta come domestica dell’anziana signora. La loro quotidianità verrà sconvolta dall’arrivo di Judith, ventenne omosessuale insoddisfatta ed irrequieta […] La casa della celebre dottoressa diventerà presto teatro di scontro e confronti [….]”.
Al di la della vicenda, però, molte sono le possibili letture di questo romanzo, molte le chiavi di indagine su luoghi e personaggi rispetto ai quali molteplici e diverse possono essere le distanze per entrare in simpatia, empatia o semplicemente stare a guardare.
Leggendo il romanzo “da vicino” mi sembra che la vera protagonista del romanzo sia la scrittura, è questa che restituisce il sapore e l’intento agli eventi narrati, è questa la ragione ed il supporto affinché tutto possa accadere. E’ una scrittura, quella di Roberta Calandra, che dilata lo spazio e il tempo, che riempie ogni attimo, che colora ogni minima campitura di esistenza, scrutandone le pulsioni. Lo sguardo non si posa mai, è lì pronto a catturare cosa si cela in un silenzio o in un gesto, e pronto a costruire una via di senso o di uscita, fa lo stesso. La fatica del vivere cercando una via di salvezza, è sublimata nel linguaggio, spontaneamente raffinato, chiamato a render testimonianza di agenti e di attori, del caso o di scelte.
L’uso di metafore fa da eco alla fatica, il “come se” ne alleggerisce il peso, permette un sorriso o una comoda distanza anche alla voce narrante, fulcro imparziale dal quale si dipanano le vite delle tre donne Anna, Sarah e Judith.
E’ facile tessere un filo che le accomuni in una complicità o in un rispecchiamento, nel diritto di urlare o di chiedere aiuto, nell’azione o nell’impotenza, nel caso che ha fatto convergere in punto le loro vite, ma se proviamo a spostare il fuoco ed al leggere il romanzo “da lontano” appare un altro protagonista irruento, ingombrante e al tempo stesso fumoso: è il loro passato, che per tutte è riassunto in un nome, il nome del padre. Quel nome ha dato forma alle loro vite come fa il vento con le dune del deserto, ed è la scrittura a lambire amorevolmente quelle dune, a scrutarne la forma che hanno preso, a indagarne le possibilità: non più una vita modellata dall’esterno, ma una vita che va cercando la sua forma dal di dentro, ascoltando pulsioni e desideri. Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Calandra riporta le parole di Baricco fra le citazioni in testa al libro, parole che sembrano essere proprio il motore della vicenda. Si dice che la parola desiderio venga dal latino de sidera ossia riguardo alle stelle, desiderio quindi come qualcosa che vediamo muoversi perché di fatto siamo noi a produrre movimento, desiderio come tutto ciò che ci indica una direzione, che ci incanta, e ci da speranza di luce e trascendenza. In questo mi sembra possa consistere l’eredità di Anna Freud: una forza che non implode ma che va pian piano cercando la sua direzione: “In qualche modo faremo. Cioè, come fanno tutti!”
Ed è, in questo splendido volumetto autobiografico, che si intuiscono, chiaramente tracciati nelle loro qualità e caratteristiche, tre mediatori artistici: la scrittura, la fotografia e la narrazione di sé che insieme, intessono e segnano, attraverso l’evocazione e la trasformazione che producono, il viaggio di Anna e le sue compagne; creativo, dall’inizio alla fine!