Lo spirituale nell’arte

di Walter Orioli

Mi è capitato recentemente di rileggere Lo spirituale nell’arte di Wassily Kandinsky (1866-1944) che ultimò nell’agosto del 1910 e venne pubblicato nel settembre 1911. Un libro profetico che ha segnato la poetica artistica di un intero secolo. Un documento intriso di misticismo laico e filosofia dell’arte, ma anche un testo teorico-pratico di un’attualità strepitosa per noi che ci occupiamo di artiterapie.

L’idea centrale del prezioso documento è quella di considerare l’armonia che scaturisce dall’opera d’arte in rapporto diretto con l’armonia del cosmo, dell’universo tutto in quando l’anima dell’artista, spesso e volentieri, è in contatto con l’anima del mondo e quindi ne rappresenta l’essenza.

Queste leggi le sentiamo in modo inconscio, se ci accostiamo alla natura in modo non esteriore, bensì interiore – sostiene Kandinsky – Non ci si deve limitare a guardare la natura dall’esterno, ma la si deve vivere dall’interno. 

Una necessità interiore che percepiamo nella pratica di tutte le forme artistiche, teatro e musica compresi. Si tratta innanzitutto, di sviluppare una percezione volontaria che superi di buon grado la percezione di tipo spontaneo che abbiamo nelle azioni quotidiane e di centrare l’essere su frequenze sincroniche con l’inconscio. Di vivere dall’interno e con un certo buon grado di solitudine, la percezione del mondo attraverso le immagini scaturite dai simboli collettivi e universali.

Con questa premessa, più che un problema di forma, l’arte si pone come un problema di contenuti.

Non come, ma che cos’è l’espressione, cos’è l’aspetto spirituale della realtà? Sono le domande che ci pone ancor oggi l’arte nella quale i concetti di spirituale e interiore si sovrappongono.

Ma Kandinsky non nega che ci sia nell’arte una funzione importante della forma, oggi diremmo anche del formale, e traccia il principio della necessità interiore che sa parlare all’anima e sa raggiungere l’essenza delle cose.

Il messaggio è più che chiaro e riguarda la capacità di comunicare con l’interiorità, la forma astratta o figurativa dell’arte rappresenta la necessità individuale dell’artista ma in ogni caso è quella più adatta a rivelarne la divinità. L’arte non è altro che il linguaggio dell’essere (Heidegger) al servizio del divino (Kandinsky). Solo attraverso la pratica delle arti si può capire a pieno questo concetto e sappiamo quanto la pratica sia più ricca di qualsivoglia teoria. Il caso vuole che mentre sto rileggendo Lo spirituale nell’arte incontro una pittrice – Laura Costa – alquanto particolare, perlomeno esoterica quanto il nostro autore. Un’artista che rifiuta di esporre nelle gallerie o di entrare nel mercato dell’arte per esprimere pienamente e radicalmente il principio dell’arte per l’arte. Nei suoi quadri metafisici, che qui riporto, si può notare con estrema chiarezza quanto il colore sia la personificazione di un sentimento e la forma sia l’individuazione di una necessità interiore della pittrice.

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Foto 1 – Laura Costa – Il campo di papaveri

Per esempio ne Il campo di papaveri si nota, a colpo d’occhio, l’essenza del paesaggio e dei suoi colori, il mare in movimento o forse un grande telo rosso mosso dal vento che rappresenta l’emozione dello spettatore che guarda. Nel mare di papaveri emerge la leggerezza e la delicatezza della natura dentro e fuori di noi come la mamma sufficientemente buona che nutre.

Il rosso caldo – direbbe Rudolf Steiner, al quale Kandinsky  fa esplicito riferimento e del quale Laura Costa ha studiato la teoria dei colori – sta a rappresentare lo splendore del vivente, la luce che emerge dalla natura, la dimensione verticale della vita che si incontra con il verde, l’immagine del vivente, la sintesi tra luce e tenebra, alto e basso, freddo e caldo. L’equilibrio che comunica questo quadro è data proprio da questa combinazione di colori e forme.

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Foto 2 – Laura Costa – Onda

Laura Costa non dipinge quando si sente depressa, ma solo quando può esprimere stati d’animo positivi, solitamente usa una tecnica zen per predisporsi all’azione del pennello che consiste nel fare vuoto mentale e lasciare che sia la mano a decidere il gesto e l’intuizione a fissare la scelta del colore primario. La predisposizione mentale al fare tabula rasa di ogni idea preconcetta su forme e sui colori da usare è fondamentale per iniziare una composizione – afferma Laura Costa – per esempio,  per realizzare Onda ho fatto un bozzetto, con pastelli a cera, aiutandomi con la tecnica zen che pratico da diversi anni, e poi ho definito meglio la forma riportandola sulla tela con i colori ad olio, ma ho rispettato l’ordine e il tipo di colori emersi dalla mia anima e non pensati, quelli del bozzetto.

Tutta la ricerca artistica degli ultimi due secoli mira a liberare la pittura dall’obbligo di trattare un soggetto sia esso il paesaggio o il ritratto, la natura morta o quella viva, gli artisti tendono a lasciare che sia il colore puro a dare libero ritmo alla forma. Anche Vincen Van Gogh (1853-1890) nel suo caos interiore esprime nelle tele una grande luminosità nella geniale esplosione di tratti e di superfici che riesce a ordinare nelle strutture colorate delle sue composizioni. Esempio vivente di come l’arte esprime la follia dell’artista, ma spesso succede che la supera con un’esplosione di colori e forme che trovano nella composizione un loro rigore, una forma pura, un valore universale.

Il principio della necessità interiore, che richiama Kandinsky, si traduce praticamente con il bisogno interiore di esprimere l’anima delle cose e che, di conseguenza, determina la nascita della forma. In questo caso le necessità coincidono con l’efficacia espressiva quindi, cara Laura Costa, si può dipingere anche quando ci si sente depressi e forse proprio perché c’è una sofferenza dell’essere il colore, la musicalità del colore, la forza vivente dei colori primari e secondari, penso al giallo splendore dello spirito per Steiner,  rappresentazione dell’isteria e del delirio per gli psicologi, ma anche colore tipico della terra che quindi ci tiene con i piedi ancorati al terreno, educano l’animo del pittore, la sua sensibilità, ad una certa unità interiore, una unità spirituale, senza porre il pregiudizio. Per dirla con Kandinsky, il sentirne l’effetto astratto immediato. Ecco, se l’artista, primo spettatore della sua opera, riuscisse a sentirne l’effetto astratto immediato e leggere la costruzione compositiva su basi esclusivamente spirituali allora scoprirebbe che c’è anche un certo superamento della sofferenza nell’opera, in quanto essa va all’origine dell’essere e non si ferma alla superficie o alle manifestazione dei sintomi. L’artista sposta l’attenzione sul colore, quei tubetti vivi che danno piacere a noi stessi che li usiamo, all’immedesimazione con il colore e alla composizione. Kandinsky non teorizza un distacco, ma anzi un contatto con la realtà, quindi anche con la realtà delle nostre depressioni, delle nevrosi e delle psicosi intese come manifestazioni di verità ultime e interiori. Del resto già Jung ci ha insegnato di farne tesoro delle nostre nevrosi e depressioni, esse sono un prezioso segnale che dobbiamo cambiare qualcosa nella nostra vita, dobbiamo evolverci verso le profondità dello spirito, le necessità interiori appunto.

 

Walter Orioli, psicologo, pittore, teatroterapeuta

www.walterorioli.it

www.teatroterapia.it

Bibliografia

Kandinsky W., Lo spirituale nell’arte, SE, 2005

Redazione NuoveArtiTerapie
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