19 Ott L’uso del disegno nella psicoterapia di gruppo a tempo determinato con malati di cancro: la storia di vita e di malattia di Giacomo
di Paolo Catanzaro, Giuseppe Caserta, Joanna Pula, Tristana Miele, Nicoletta Mariucci.
Premessa
Dal 1989 presso l’Azienda Ospedaliera di Perugia è presente il Servizio di Psiconcologia rivolto ai malati di cancro e ai loro familiari. (Catanzaro et coll. 2001) I sei operatori di formazione psicodinamica (uno psicologo, quattro psichiatri e un medico psicoterapeuta), che attualmente compongono il Servizio, svolgono accanto ad attività di valutazione psicologico-clinica anche trattamenti psicoterapeutici, di counseling e, quando necessario, di psicofarmacoterapia. L’impostazione teorico-clinica del Servizio, si rifà al pensiero psicosomatico: dall’incontro anamnestico alla relazione terapeutica; gli operatori cercano di comprendere, anche con l’ausilio di modalità comunicative non verbali (disegno, musica, espressione corporea, poesia, ecc.) la motivazione inconscia che ha portato la persona ad ammalarsi di cancro, giusto in quel momento della sua esistenza e proprio in quella sede anatomica.
Il Servizio inoltre, essendo convenzionato con la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica Esistenziale “Gaetano Benedetti” di Perugia, accoglie psicoterapeuti in formazione in qualità di tirocinanti, che contribuiscono, con la loro osservazione partecipe, alla raccolta del materiale terapeutico e alla sua archiviazione.
Presentiamo a questo punto il caso di Giacomo, che ha preso parte al trattamento psicoterapeutico di gruppo con pazienti oncologici che si è svolto presso la sala riunioni del Day Hospital Oncologico della Divisione di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera di Perugia da settembre 2009 a maggio 2010.
Materiali e metodi
Dal 2000 realizziamo interventi psicoterapeutici di gruppo a tempo determinato, della durata di 9 mesi, rivolti ai malati oncologici che in gran parte afferiscono alla Divisione di Oncologia Medica per realizzare trattamenti chemioterapici e visite longitudinali di controllo. Si tratta di gruppi chiusi di pazienti (massimo 8), affetti da patologie oncologiche eterogenee per sede e stadiazione di malattia. (Catanzaro 2009).
Criteri di esclusione sono: performance status secondo Karnofsky (1949) inferiore al 60%, sordità o ipoacusia grave, afasia o disartria importante e tutti quei deficit che impediscono una relazione basata sulla parola e su modalità di comunicazione non verbale che implicano l’uso della mano (espressione grafica, scrittura, ecc.).
Il trattamento misto (verbale e non verbale), che segue un orientamento psicoanalitico esistenziale, consiste in sedute strutturate[1] settimanali della durata di circa 75 minuti ed è condotto da una coppia terapeutica alla presenza di un massimo di quattro osservatori silenziosi (oncologi, psicologi o psicoterapeuti in formazione).
Al termine di ogni seduta conduttori e osservatori si riuniscono per circa 30 minuti per realizzare incontri intertransferenziali, esaminando il materiale emerso e mettendo in luce i movimenti transfero-controtransferenziali. (Anzieu 1976)
Alla fine del percorso i terapeuti incontrano ogni singolo paziente per una valutazione del lavoro svolto e stabilire se vi è la necessità di proseguire con un approfondimento psicoterapeutico.
Il caso di Giacomo: vissuto di malattia e voglia di vivere
Giacomo giunge al Servizio Convenzionato di Psiconcologia per la presenza di nausea e vomito, comparsi subito dopo i due interventi chirurgici a cui è stato sottoposto per carcinoma gastrico e che, secondo l’oncologa, non sono collegabili né alla malattia oncologica, né agli interventi subìti. La sintomatologia inoltre interferisce con l’inizio del trattamento chemioterapico che Giacomo dovrebbe cominciare al più presto. Al momento della valutazione psicologico-clinica egli appare notevolmente impaurito e disorientato, ma estremamente collaborativo e desideroso di capire non solo cosa gli sia accaduto da un punto di vista fisico, ma anche di condividere la sue ansie attuali e i nodi esistenziali presenti e passati (per esempio emergono subito fin dal primo colloquio le sue difficoltà a mantenere rapporti sentimentali).
Dopo tre colloqui individuali, gli viene suggerito di partecipare ad una psicoterapia di gruppo. Giacomo, la cui sintomatologia (nausea e vomito) si è intanto notevolmente attenuata, accetta la proposta con entusiasmo.
Giacomo è inserito in un gruppo terapeutico con altri cinque pazienti (1 maschio e 4 femmine); il gruppo è condotto da due terapeuti (uno psichiatra uomo e una psicologa donna) e sono presenti quattro osservatori silenziosi (psicoterapeuti in formazione).
Riporteremo le tranches cliniche che ci sono sembrate più salienti del percorso terapeutico di Giacomo, tratte dalle trascrizioni delle sedute realizzate dagli osservatori silenziosi.
Giacomo si presenta al gruppo con queste parole: “Sono curioso di vedere se il gruppo può aiutarmi.
Durante l’esercizio di rilassamento della I seduta egli riferisce le seguenti immagini mentali: “..Ho visto un duplice scenario: da un parte un campo di paglia in primavera e dall’altro un bosco in autunno separato dal campo precedente. Io volavo su quest’ultimo e alla fine invece di risalire atterravo”. Poi nella successiva seduta di rilassamento dice: “..Nel mio paesaggio il colore dominante era il giallo, fiori nel pomeriggio, il sole stava scendendo, io camminavo e da questi fiori tranquilli da qualche parte scorgevo crisantemi. Cercavo di fuggirli e ho provato un senso di angustia”.
L’erba, prosciugata della sua vitalità, diventata paglia, pur nella “primavera della sua vita” e i crisantemi segnalano chiaramente la forte spinta tanatica di Giacomo. Il bosco e gli altri fiori indicano invece una certa quota di istinto di vita ancora presente. Quando ci si trova a contatto con i malati in un setting psicoterapeutico, dove è possibile entrare in certi livelli di profondità, si ha l’impressione che la diagnosi di cancro non è una condanna, ma una sorta di avviso di garanzia. (Albrigo 2003) I terapeuti, in forza dell’ambivalenza delle immagini emerse, raccolgono la sfida, offrendo la seguente interpretazione: “forse vi sono degli aspetti di Giacomo che devono morire e sollevandosi un po’ dalla sua posizione, Giacomo può sorvolare il bosco, allargare i suoi orizzonti e atterrare nel bosco della sua vita”.
Giacomo, quando fa l’esercizio di rilassamento a casa, riesce a rilassarsi ma non visualizza la scena della natura: “in pratica sono sceso solo sul pianerottolo” – dice.
In un esercizio successivo visualizza il sole che gli manda i raggi, una scogliera e singole gocce che toccano la roccia ma che non lo bagnano.
Giacomo a questo punto ci sembra segnalare una notevole difficoltà a coinvolgersi nella terapia (arrivano le gocce, gli spruzzi ma non lo bagnano) e ad entrare in contatto con i contenuti visti come burrascosi di un mare – implicito nella scena riportata – che arrivano mediati dalla scogliera.
Ci rendiamo conto dell’arduo compito che ci aspetta: accompagnare Giacomo a bagnarsi in quelle onde “burrascose”, dalle quali ha sempre evitato di farsi bagnare.
Nella figura 1 possiamo vedere come Giacomo vede la malattia da cui è affetto. Ecco il suo commento: “ho disegnato il mio stomaco… ho avuto una stenosi pilorica, i residui non andavano né avanti né indietro e allargavano lo stomaco”.
Questo disegno è l’occasione per Giacomo per ripercorrere la storia della malattia e metterla a fuoco: “…Era un periodo che soffrivo di cattiva digestione, interpellati i medici, mi viene fatta fare una cura per la gastrite ma i sintomi peggioravano, di conseguenza ho fatto specifiche indagini e sono arrivato al chirurgo per un intervento chirurgico esplorativo. Dall’intervento è emersa una massa presente vicino al piloro che non era stata individuata nemmeno dalle precedenti indagini. I medici mi dicono che hanno tolto il possibile, ma dopo qualche giorno compare l’ematemesi. Voi sapete che è l’ematemesi? È una sensazione bruttissima: una puzza… non la auguro a nessuno: vomito sangue. Mi aprono di nuovo,vi sono dei rischi ma l’esito è positivo. Solo in fase di recupero mia madre mi avvisa della visita con l’oncologo e io lì per lì non capisco come mai per la stenosi pilorica dovessi ricorrere allo specialista che tratta il cancro. I miei genitori, infatti, in accordo con i medici, avevano deciso di non comunicarmi la reale diagnosi, ma subito mi dico stai a vedè che c’ho un tumore. L’oncologa mi dice che devo fare la chemioterapia che non riesco a cominciare subitissimo per il vomito che da dopo l’intervento ho dopo ogni pasto”.
(fig. 1)
Nella figura 2 è rappresentata la fantasia che accompagna Giacomo durante la chemioterapia: “Le stelline in realtà sono qualche cosa che punge …in realtà è il farmaco che sta lavorando. Io mi concentro momento per momento. In pratica è il mio animo che è allegro, non il corpo”.
(fig. 2)
Nella figura 3, fatto ad una settimana di distanza, Giacomo si raffigura come “un viandante che cammina con il bastone: il decadimento, i rifiuti, il sole che tramonta… una giornata nera”. Per una componente del gruppo il disegno sembra una serpe, la cui testa è il sole.
(fig. 3)
Nella figura 4 vi è una piscina e ciò che per alcuni componenti del gruppo è stato visto come una cicatrice, per Giacomo rappresenta la “tartaruga” muscolare addominale di chi si allena. Uno degli osservatori pensa “alla tartaruga tutta ritirata sotto la sua corazza”.
(fig. 4)
Attraverso i disegni Giacomo può mettere a fuoco la malattia, da cui i genitori credono di averlo protetto mistificandogli, almeno in un primo momento, la diagnosi. Giacomo può parlare e condividere il peso delle sue angosce: abbiamo l’impressione che cominci proprio dal guardare in faccia la malattia e, dal nominarla, il suo percorso eroico. Dai disegni, dal loro commento e dalle associazioni emerse, il gruppo cerca di portare Giacomo in una posizione di maggior ambivalenza rispetto alla prognosi della sua malattia: sentimenti di paura rispetto ad una prognosi decisamente infausta (Il viandante che cammina con il bastone) si alternano con riaccensioni di speranza per una cura che può offrire delle chanches (“le stelline farmacologiche” che pungono il male).
Il caso di Giacomo: storia di malattia, storia di vita e la speranza
Nella tranche clinica di seguito riportata si può toccare con mano la riaccensione di una speranza di vita che si fonda sulla bonifica personologica di quelle aree lacunari del sé (Scoppola, 2005), a partire dalle quali si sono sviluppati quegli eventi di vita che, sentiti intollerabili e inelaborabili da parte di Giacomo, è possibile lo abbiano portato alla grave malattia neoplastica da cui è affetto.
- Tp: “Ci sono elementi serpiformi, come aveva fatto notare M. A te Giacomo la serpe fa pensare a qualche cosa oltre alle associazioni emerse nel gruppo (incantatore di serpenti, l’essere plagiato o manipolato o il plagiare e il manipolare)?”
- Giacomo: “Sì, io sono entrambi… io vado su ma con poco mi buttano giù… io cerco di non abbatterle le persone”.
- Tp: “Il serpente si muove in maniera sinuosa e poi si ferma e poi d’improvviso attacca”.
- Giacomo: “Io ho degli obiettivi, ma mi muovo in maniera diplomatica… la prendo alla larga. L’altra questione è quella di essere esposto in parte. P. dice come se nella mia vita mi esprimessi in parte e forse ha ragione… Avevo un amico e io non sapevo come dirgli che era uno sciupa femmine, perché ci provava con una mia amica…”
- Tp: “La ragazza in questione era una che piaceva a te?”
- Giacomo: “Era interessante ma fino a un certo punto..”
- Tp: “È come se tu stessi in penombra: cercavi di farlo sentire in colpa come persona, ma in realtà ti scocciava perché ci provava con una a cui tu eri interessato: ecco il Giacomo manipolatore.”
- Giacomo: “Io faccio funzionare la logica, il cervello e poco il cuore: il risultato finale è stato che nessuno dei due l’ha presa e, quindi, è andata bene. Alla fine lei l’aveva capito e mi aveva detto di no… ma io l’avevo messa in guardia e avevo diretto la mia attenzione da un’altra parte. Tecnicamente le ho chiuso il telefono in faccia”.
- Tp: “Già la tua faccia l’hai tecnicamente salvata, ma è rimasta l’amarezza di una ragazza non conquistata … magra consolazione che neanche il tuo amico l’abbia avuta…”
Giacomo nella seduta successiva durante la meditazione sulla cura, visualizza un alveare, una specie di fungo, alcune api e delle persone in cerchio che si tengono per mano (figura 5).
Non abbiamo la possibilità di commentare approfonditamente questo disegno, ma Giacomo fa dei riferimenti al disegno fatto precedentemente in cui le stelline che punzecchiano sono diventate api, che sono insetti laboriosi. Uno dei terapeuti sottolinea come sia un’immagine efficace raffigurarsi la terapia come api che avvelenano il cancro e come nel disegno ci sia anche il riferimento al gruppo che, come le api, punzecchia ciascuno ogni volta.
(fig. 5)
Nella quindicesima seduta Giacomo racconta la sua vita. Tralasciamo per brevità gli interventi di puntualizzazione e approfondimento – chiarificazione, amplificazione e confrontazione (Kernberg 1984) – realizzati dal gruppo (terapeuti e pazienti).
Giacomo nasce il 4 maggio 1976 con un grave ittero non riconosciuto dai medici per il quale dice di aver rischiato la vita e successivamente diagnosticato come sindrome di Gilbert.
Dice di aver avuto un’infanzia tranquilla e di essere legato più ai parenti da parte di madre. Alla nascita il padre non c’era perché lavorava in un negozio. Giacomo stava spesso con i nonni, racconta di essere molto vivace e per questo frequentemente “girava gli ospedali perché si feriva”: “una volta sono andato addosso al portellone della lavatrice e mi sono stati messi 12 punti”.
Giacomo afferma di essere un tipo un po’ introverso e già dall’asilo riferisce di non aver avuto amici. L’unica eccezione è l’amicizia con Daniele che ancora frequenta. A proposito di Daniele, Giacomo dice: “Lui ha preso architettura e io agraria, lui si è sposato prima di me, io ancora non lo sono e sarebbe stato meglio il contrario”. Anche quando parla della sorella di qualche anno più piccola, Giacomo mette in risalto che si è sposata nel 2006: “pensavo che avrei avuto una crisi di gelosia. Prima di questo ragazzo aveva un altro fidanzato, non adatto a lei perché era troppo egoista, lei era una splendida persona e lui non la meritava”.
Nel gioco del calcio Giacomo riferisce di aver fatto solo il raccattapalle e di aver preferito la lettura. Ha frequentato le elementari a tempo pieno, tornando a casa alle 17; andava bene a scuola, almeno fino alle superiori in cui cominciò a “funzionare a corrente alterna”. Giacomo ricordando il periodo delle superiori dice: “Ho incontrato sempre classi poco coese, non so se per colpa mia o per gli altri. Mi piaceva Alessandra, la più bella della classe. Andavo a casa delle ragazze che conoscevo e venivo apprezzato per le mie qualità. Qualche volta sono stato rimandato, mai bocciato”.
Giacomo racconta la difficoltà nella scelta dell’università: “Volevo fare medicina, mio padre non voleva perché era troppo lunga e mia madre voleva che prendessi giurisprudenza, la stessa facoltà che aveva fatto lei. Ho iniziato con Scienze naturali, ma appena iniziai un Professore mi ferì dicendomi che la nostra non sarebbe mai stata riconosciuta come una vera professione, presa in mezzo tra biologia e chimica. Cambiai e presi Agraria: ci ho messo 7 anni per finire. Appena finito mi preparai per l’esame di stato, presentai poi il curriculum e mi prese un agronomo per realizzare un progetto. Dopo il progetto rimasi senza lavoro”.
Poi Giacomo parla delle sue difficoltà sentimentali: “Ho cercato a lungo una tipologia di ragazza, ma non l’ho trovata in Umbria. Una volta mi si era attaccata una ragazza, ma non mi piaceva. Poi c’è stata Lara di Pavia, ma era bulimica, un cuore altalenante, crisi di suicidio nel 2000 e venne fuori che un problema ero anche io. Andava da una psichiatra. Io ci stetti male e diventai quasi anoressico: feci un esame all’università e poi per un anno niente perché ero un po’ depresso. È finita perché i suoi genitori non mi vedevano di buon occhio: una volta andai da lei col treno, lei arrivò in ritardò, mi portò un regalo, ci baciammo, e il giorno dopo mi liquidò tramite e-mail”.
Giacomo racconta quindi la storia con Sonia di Genova con cui è stato fidanzato per 5 anni: “Lei era vergine ed io ero vergine, suo padre era contento di me, ci vedevamo una volta al mese, e facevamo un po’ per uno. Una volta ci siamo incontrati al mare perché a casa sua mi trovavo a disagio. Dal punto di vista religioso, lei non aveva fatto la cresima. Come avvenne la rottura? Un giorno che ero a Genova sua madre mi disse che se avessi trovato una ragazza a Perugia ne avrei dovuto approfittare”. Da lì cominciò il raffreddamento e la storia d’amore scolorì nell’amicizia.
Le questioni sentimentali di Giacomo si concludono con l’ultimo tentativo fatto nel 2007: “Mi sono detto o la va o la spacca e chiudo con questo ambito dell’amore: ho pagato l’iscrizione ad un sito e ho cliccato su 1976. Ho conosciuto virtualmente Fiorella, parlavamo fino alle una di notte per chat. Lei era affetta da sclerosi multipla, abbiamo passato nove mesi per Chiese, lei ogni tanto vedeva il suo ex fidanzato e noi ci vedevamo in Chiesa: lavorava a Nettuno. Mia madre era molto contenta perché era molto bella. Con i genitori di lei avevo un rapporto ottimo, ma purtroppo aveva un fratello orso, stava sempre in camera, usciva solo di sera. Nel suo gruppo c’era una ragazza giovane di 22 anni, di Roma, questa ragazza faceva l’oca con me e lei me la propinava. Questa ragazza era pure carina. Io ero un po’ turbato da questo suo comportamento: stavamo insieme e lei era come se mi portasse a tradirla. Un giorno, era San Valentino, io mi attardai a preparare la presentazione di una tesi di un mio amico e non le feci una telefonata per la festa degli innamorati. Lei si arrabbiò. Cercai di rimediare andando con lei ad una visita medica per la sclerosi, in quell’occasione l’affidai alla madonna. Poi suo fratello mi chiamò per dirmi che con Fiorella era finita: io lo trattai male. Forse era geloso per il fatto che i suoi genitori mi avessero preso a ben volere. Una volta lo ripresi davanti ai suoi perché era venuto a pranzo in ritardo. Non riuscii più a parlarci con lei”.
Dopo questo evento Giacomo ebbe un periodo di profonda depressione: “Iniziò la depressione che contribuì a farmi venire la gastrite. Cercai di reagire facendo l’esame di ammissione per il corso di laurea da infermiere, andai bene, ripresi a studiare. I bruciori di stomaco però continuavano anche dopo che il mio medico mi diede dei farmaci blandi. Non digerivo. Feci altri esami e venne fuori la stenosi pilorica: a giugno 2009 vomitavo anche l’acqua e la diagnosi fu di Carcinoma Gastrico Metastatico. Mi operarono il 15 luglio, i miei non mi dissero nulla, zero. Dopo l’intervento però vomitavo nero. Feci un’altra operazione: pregavano in sette quella sera. Portai il sondino a lungo, tornai a casa il 7 agosto. In tutto questo periodo all’Ospedale nessuno dei miei compagni di corso mi è venuto a trovare”.
Giacomo spesso, nonostante siano passati tre anni, ripensa alla sua ultima storia, a come si è conclusa e sospetta che Fiorella l’abbia tradito e medita di andare da lei a Nettuno per farle “un’improvvisata…”.
Giacomo incentra il suo racconto di vita sulle insoddisfazioni professionali e sentimentali. Ne esce una sorta di bilancio esistenziale che nel confronto con coetanei ed amici, che hanno raggiunto gli obbiettivi che si erano proposti, si tinge di amarezza. Ne risulta uno stile depresso (Pellegrino e Carbonatto, 2005; Pellegrino, 2008) e un atteggiamento a questo punto arrendevole. Nel riportare gli eventi stressanti della vita, appare a Giacomo sempre più evidente il legame tra l’ultimo fallimento amoroso e l’insorgenza dell’epigastralgia e della malattia neoplastica gastrica. Utilizzando le parole dello stesso Giacomo (“la va o la spacca”) potremmo dire che il fallimento sentimentale lo ha spaccato a livello dello stomaco e ciò rischia di troncargli la vita. Se Giacomo è sempre più consapevole del legame psicosomatico tra fallimento amoroso ed insorgenza del cancro allo stomaco, rimane ancora lontano dalla sua coscienza il malinteso sottostante: Giacomo è come se si fosse dato un limite per la sua realizzazione sentimentale, di cui il “la va o la spacca”, ne è la più limpida espressione. Per comprendere la radice di questo malinteso – per cui sembrerebbe che non si possono avere più di 2 fallimenti – analizzeremo tra breve la struttura di personalità di Giacomo. L’esercizio dell’autoimmagine (Bonazzola 1983) e il disegno del proprio autoritratto (fedi figura 6 e 7) ci facilitano l’accesso alla struttura di personalità di Giacomo per individuarne punti di forza e limiti.
(fig. 6)
(fig. 7)
Ecco i commenti che Giacomo fa ai disegni dei suoi autoritratti: “Mi sono fatto la testa geometrica (fig. 6), polimorfa, perché io cambio a seconda della persona che mi trovo davanti. Forse sono malato di protagonismo, risplendo di luce mia. Nell’altro disegno (fig. 7) è come mi vedo ad un semaforo se una macchina mi supera. Io, al 98% sono una persona buona, ma specifiche situazioni mi possono fare alterare….”
Il commento di uno dei terapeuti alle associazioni di Giacomo: “Forse Giacomo nei due disegni ha illustrato due parti opposte di sé: quella che si conforma agli altri (fig. 6) e quella – il 2 % – che cerca di prevaricare gli altri, come rivelato dalla macchina che sembra saltare sopra le altre”.
Ecco la risposta di Giacomo: “Io sono una persona mansueta, remissivo, che vuol dire perdente, io sono mansueto, tendo ad uniformarmi e a volte non sono rigidissimo”.
In questa affermazione troviamo una conferma all’interpretazione terapeutica: sembra infatti che il non uniformarsi agli altri passi per la rigidità. Uno dei terapeuti cerca a questo punto di esplicitare meglio l’interpretazione precedente: “A volte ti deformi, altre volte però tu cerchi di imporre la tua idea e per così dire da vittima diventi intransigente. Parlando nei termini del disegno che hai fatto si potrebbe sostenere che a volte tu sei la macchina saltata, altre la macchina che salta. Se queste due parti – giorno e notte della tua personalità – si incontrassero, ne nascerebbe una modalità nuova, dialettica di stare con gli altri”.
Il caso di Giacomo: il sogno
Nella seduta riservata ai sogni, Giacomo racconta un sogno fatto a 20 anni, in un periodo di profonda depressione con senso di solitudine (aveva in quel momento pochi amici ed era finita male la storia con una ragazza), difficoltà a procedere negli studi e idee di suicidio. “Mi toglievo la vita con i barbiturici. L’anima però rimaneva lì ad osservare e c’era mia madre che, dopo varie ore, non vedendomi alzare dal letto, controlla due volte nella mia stanza. Alla fine si accorge della mia morte e piange anche se dice a mia sorella, preoccupata per me, che sto bene, che volevo dormire solo un altro po’. Io volevo dire loro che ero lì presente, ma non riuscivo a farlo. Cercavo di muovermi sotto forma di anima, ma non riuscivo ad uscire di casa, restando nel corridoio”. Giacomo riferisce la soddisfazione di trovarsi ancora vivo al risveglio e aggiunge di aver capito, dopo questo sogno, quanto fosse importante la vita: “non ho più pensato al suicidio dopo questo sogno”. Aggiunge anche che a 28 anni, sua sorella era in crisi con il fidanzato ed ebbe un reazione anoressica; la mamma era presa dalla sorella più che da lui che intanto si frequentava con una ragazza musulmana e per questo motivo la relazione era “frammentaria”.
Ecco un altro sogno di Giacomo: “Mi trovavo con 3 parenti tutti morti e uno di loro mi indicava”.
Nei sogni raccontati da Giacomo è possibile constatare quanto le parti tanatiche siano ancora drammaticamente attive e di come esse siano una riaccensione di una melanconia antica a cui nessuno ha avuto mai accesso in tempo utile, sia perché mai rivelata, sia perché negata dalle persone a lui vicino.
Il caso di Giacomo: la restituzione del gruppo
Eccoci arrivati alla seduta di revisione esistenziale. Questo è un incontro in cui viene dedicata l’intera seduta alla restituzione, che il gruppo compie, identificando i punti critici e i punti forti del paziente su cui, per tutta la seduta, ci si concentra. Da questa restituzione il paziente riceve alcune indicazioni attraverso cui riorientare la propria esistenza. È una seduta delicata i cui interventi di holding devono spingere verso direzioni vitali. Di Giacomo emergono due punti su cui il gruppo (pazienti e terapeuti) si concentra: il tema della morte e la sua struttura di personalità rigida.
In questo breve dialogo clinico vi è in sintesi quanto i terapeuti, come portavoci delle comprensioni nate nel gruppo, hanno espresso e le reazioni avute da Giacomo: “…I pensieri di morte che tu ci hai raccontato e il tuo non darti altre chanches (il dire ad esempio “o la va o la spacca”), rappresentano il tuo modo di fuggire dall’impresa, che purtroppo ritieni erroneamente al di fuori della tua portata – allo stesso modo di quando rinunciasti alla facoltà di medicina – di smussare le tue ottusità e rigidità ed entrare in una comprensione più che in un giudizio della realtà che ti circonda (amici, ragazze, lavoro).”
Giacomo: “Fatemi un esempio..”
Terapeuta: “Tu ci hai raccontato di quell’ultima fidanzata avuta e di un tradimento intuito, che non sei riuscito a chiarire con lei.”
Giacomo: “Certo se fosse vero che mi ha tradito io sono un tipo che chiudo, che non ci starei più con una persona che ha tradito la mia fiducia.”
Terapeuta: “Ecco vedi questa potrebbe essere per esempio una rigidità… Nei due disegni (vedi figg. 6 e 7) si vedono queste due parti condensate in ciò che tu Giacomo definisci una testa geometrica – in cui tu ci fai vedere i tuoi angoli “ottusi” – e polimorfa – che ‘cambia a seconda della persona che ti trovi davanti’. Ci sembri sulla buona strada quando tu riconosci che fai funzionare la logica, il cervello e poco il cuore e ci auguriamo che la tua ottima intelligenza ti possa accompagnare dalla parte del cuore, così che tu possa dar voce oltre che alla rabbia anche al cuore con quel megafono che hai disegnato (vedi fig 7)”.
La seduta successiva Giacomo è assente e, quando torna la settimana dopo per l’ultimo incontro, riferisce che ha impiegato due settimane per smaltire la seduta di restituzione: “ho contattato una conoscente un pò esperta nel settore psicologico raccontando la seduta. Sinceramente ero un po’ arrabbiato. Lei mi ha chiesto chi erano i terapeuti e quando ha saputo che eravate voi, mi ha detto che mi potevo fidare. Allora ho capito che quello che voi mi avete detto è perché volete il mio bene. Comunque è stata dura”.
Conclusioni
La metodologia psicoterapeutica sopra illustrata, come visibile dal caso clinico di Giacomo, consente ai pazienti di effettuare un itinerario che, partendo dai vissuti di malattia e di cura, li conduce ad una riflessione psicosomatica sulla patologia oncologica di cui sono affetti, sulla rilevanza dei fattori inconsci e di personalità ad innescarla, nonché sull’importanza delle risorse interiori per guarire o, comunque per mantenere fino all’epilogo un’accettabile qualità della vita.
Di estremo interesse è il peso che le fantasie dei pazienti sulla malattia e sulle cure – che in questo lavoro abbiamo potuto osservare attraverso i disegni di Giacomo – hanno sull’efficacia di tutti i trattamenti antineoplastici. (Simonton et coll., 1978)
Inoltre, la scelta della forma gruppale di intervento, oltre che essere funzionale all’attività clinica all’interno delle istituzioni, abbattendo le liste d’attesa ed inserendosi in un lavoro d’équipe, rappresenta da subito per i pazienti un punto di riferimento, un’occasione per uscire da se stessi, per incontrare l’altro e poter parlare delle proprie angosce (Di Maria e Lo Verso, 2002). Ogni paziente, sia con la sua presenza, che con la condivisione del suo mondo interno, rompe la chiusura psichica ed i vincoli endogamici tipici del malato oncologico. (Chiozza, 1981)
La durata di nove mesi del trattamento, che simbolicamente vuole suggerire la possibilità di una rinascita e che, come ogni intervento a tempo limitato, mobilita più rapidamente, rispetto a interventi a lungo termine, energie e risorse (Yalom, 1997), non può ritenersi, in molti casi, risolutiva, rispetto agli obbiettivi che ci si propone (aumento delle chanches di guarigione). Riteniamo comunque che tale trattamento rappresenti un “seme” che curiamo con passione e dedizione regolarmente per nove mesi. Riteniamo poi che i diversi canali di comunicazione usati (acustico-verbale, grafico, corporeo-meditativo-musicale) rappresentino un’opportunità ulteriore di crescita: “ … Gli stessi suoni interiori attraverso varie arti… creano quella calda atmosfera spirituale, che è necessaria a far maturare i sentimenti (anche i più delicati), così come l’atmosfera calda di una serra è la condizione necessaria ed indispensabile, per la maturazione dei frutti” (Kandisky, 1912). Ci auguriamo che così il “seme attecchisca”, possa diventare una “pianta” e “dare frutti” in termini di guarigione, aumento della sopravvivenza e/o qualità della vita e della morte.
Solo in pochi casi abbiamo la possibilità di seguire nel tempo il processo di sviluppo dei pazienti seguiti in gruppo: dei circa 60 pazienti che fino ad ora hanno ultimato il trattamento psicoterapeutico breve di gruppo, circa la metà ci hanno chiesto una prosecuzione o un approfondimento terapeutico. Tale richiesta, che ovviamente non possiamo quasi mai soddisfare all’interno dell’istituzione, ci sembra comunque la conferma “dell’attecchimento del seme”. Ci serviamo allora di una rete di colleghi che possano seguire privatamente attraverso una psicoterapia del profondo (individuale o di gruppo) quelle persone malate che hanno compreso, come dice Groddeck (1961), che “..È l’inconscio Es, non la ragione cosciente, a creare le malattie, che non ci invadono dall’esterno come nemici, ma sono creazioni intenzionali del nostro microcosmo, del nostro Es..”
Anche quando il paziente non riesce a trarre pieno beneficio dal gruppo terapeutico, comunque le storie di vita raccontate con le parole, con la poesia, la musica o il disegno e le dinamiche che il paziente attiva stando insieme agli altri partecipanti, rappresentano un arricchimento professionale ed umano per i terapeuti e gli osservatori. Comprendiamo molto di noi stessi, risuonando con le storie degli altri, così come vengono espresse in questo particolare setting gruppale, che diventa allora un laboratorio di conoscenza privilegiato.
Infine vogliamo fare alcune considerazioni sul caso presentato. Giacomo, affetto da un carcinoma gastrico metastatico, si è presentato fin da subito con delle forti fantasie di morte (i crisantemi, il prato di paglia in primavera, il viandante con il bastone al tramonto, il ricordo del sogno di morte fatto alcuni anni prima, ecc.), che nonostante cercasse di escludere dalla coscienza, tornavano con insistenza. Il lavoro che abbiamo cercato di fare non è stato di rinforzare il meccanismo difensivo della repressione delle fantasie tanatiche, ma piuttosto quello di comprendere la sorgente di tale flusso e proteggere il suo istinto vitale. L’esistenza di Giacomo ci è sembrata costellata da eventi che egli ha subìto, a cui non si è ribellato e la cui reazione di rabbia è stata ingoiata, attraverso un meccanismo simile alla brositimia (Antonelli, 1981). Secondo Garma (1953) l’ulcera peptica è il risultato di un conflitto tra un desiderio istintuale e un super-io arcaico ed ostile, legato ad una cattiva madre interiorizzata, che proibisce ogni aspirazione all’autonomia, alla separazione e all’azione aggressiva e sessuale. Giacomo ci è sembrato inquadrabile in questo modello nel doppio versante di figlio frustrato – come nel momento in cui la madre e il padre lo sconsigliarono di intraprendere la facoltà di medicina, facendolo sentire debole ed inadeguato – che in quello di “madre” frustrante – come gli accadeva quando sentenziava in modo severo con amici e fidanzate. In effetti anche nell’ambito gruppale emergeva la double-face di Giacomo: da un lato egli attivava un transfert orizzontale aggressivo nei confronti di chi non si esprimeva correttamente in italiano, facendo appunti indisponenti; dall’altro sviluppava un transfert verticale di sottomissione nei confronti delle affermazioni ed interpretazioni dei terapeuti.
Il fattore scatenante l’ulcera gastrica neoplastica ci è sembrata l’ultima storia d’amore che Giacomo, piuttosto che “far andare”, “ha spaccato”, con il suo stile saputo e a cui è seguita una sottomissione paralizzante al momento della separazione, annunciata tra l’altro dal fratello della fidanzata, con la quale Giacomo non è riuscito più a parlare. Il cancro allo stomaco ci è apparso allora come il sostituto del suicidio che Giacomo aveva ipotizzato e sognato in un altro periodo infelice della sua esistenza, ma a cui con fermezza aveva rinunciato per sempre. Il cancro gastrico ci è sembrato sempre più come il risultato di un vincolo sado-masochistico rimosso tra un super-io arcaico frustrante ed un ego debole e sottomesso o, detto in altri termini, la conseguenza della rottura di un rapporto incestuoso, non tanto sessualmente agito, ma condizionante scelte e comportamenti (Chiozza, 1981) con la madre. Giacomo, portandosi dentro questa modalità oscillante di aggressività e sottomissione – allo stesso tempo segno del fallimento del rapporto materno e reliquato di quello che era stato un abbozzo di relazione materna frustrante – da cui non è riuscito ad emanciparsi, non ha potuto colmare la sua solitudine infinita con una relazione sufficientemente buona (Winnicott, 1958).
Ora Giacomo è all’hospice, non si alimenta quasi più ed è frettoloso nel salutare tutti coloro che lo vanno a trovare, come se il suo treno stesse per partire. Quando sarà il suo momento ci piace ricordarlo con il suo sogno: lui che vuole dirci che è lì presente, muovendosi sotto forma di anima, ma continuando il suo sogno ci piace anche pensare che Giacomo saprà, ad un certo punto, farsi individuare da noi che sentiremo in qualche modo la sua presenza.
“Solo i corpi, dei quali questo Sé eterno, imperituro e incomprensibile è abitatore, son detti avere una fine… Esso non è ucciso quando il corpo è ucciso. Proprio come una persona smette i vestiti usati e ne indossa degli altri nuovi, così il Sé incarnato smette i corpi logori e ne assume degli altri nuovi.” (Bhagavad Gita, II, 18-23)
Paolo Catanzaro, Servizio Convenzionato di Psiconcologia di Perugia (Associazione Umbra Contro il Cancro – Azienda Ospedaliera di Perugia)
Giuseppe Caserta, Joanna Pula, Tristana Miele, Nicoletta Mariucci, Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica Esistenziale “Gaetano Benedetti”
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[1] Nella prima seduta ad ogni componente viene dato il tempo di 5 minuti per presentarsi in modo del tutto libero. La seduta prosegue attraverso un breve esercizio di rilassamento preso dal metodo di Dinamica Mentale Base (Bonazzola ’83), in cui i pazienti, ad occhi chiusi e su sottofondo musicale (che solitamente accompagna tutti gli esercizi di rilassamento e meditazione), sono invitati a concentrarsi sul proprio respiro e ad immaginare una scena della natura. Riaperti gli occhi ai pazienti viene chiesto di descrivere la scena della natura immaginata.
Nella seconda seduta viene realizzato (poi ripetuto nella terza seduta) l’esercizio di rilassamento fisico (Bonazzola ’83), in cui i pazienti vengono invitati a prendere coscienza delle parti del proprio corpo dalla testa fino ai piedi (compresi gli organi interni).
Nella quarta seduta i pazienti, in stato di rilassamento, sono invitati ad immaginare uno schermo della mente (Bonazzola ’83) all’interno del quale immaginare in un primo momento l’organo malato e la malattia e subito dopo la terapia e la sua efficacia. Al termine dell’esercizio i pazienti sono invitati a disegnare su di un foglio bianco la malattia e la terapia (così come se le sono immaginate).
Dalla quinta all’ottava seduta i disegni sono di volta in volta oggetto delle associazioni e delle interpretazioni del gruppo e diventano così stimolo per la progressiva trasformazione delle fantasie sulla terapia antineoplastica (chemioterapia, ormono terapia o radioterapia) che stanno effettuando. I disegni realizzati successivamente conservano la testimonianza dell’eventuale trasformazione.
Le associazioni fatte, le fantasie, a volte magiche, altre volte realistiche, altre volte ancora pessimistiche conducono gradualmente i pazienti a considerare il proprio mondo interno, il loro carattere e quello che è capitato loro come esperienza di vita.
Nella nona seduta i pazienti in stato di rilassamento sono invitati a rivedere la propria vita, come in un filmato e, riaperti gli occhi, a realizzare un grafico dei momenti felici e drammatici della loro esistenza.
Dalla decima alla diciassettesima seduta ogni paziente ha una seduta a disposizione per raccontare la propria vita. I terapeuti seguono il racconto accompagnato dal grafico di vita realizzato dal paziente nella nona seduta. Osservatori e terapeuti prendono inoltre appunti realizzando una sinossi in cui vengono evidenziati, datandoli, da una parte gli eventi di vita e dall’altra quelli di malattia. (Catanzaro et coll. 2000).
Durante i racconti delle storie di vita emergono lo stile relazionale e la personalità dei pazienti, così nella diciottesima seduta viene realizzato l’esercizio dell’autoimmagine (Bonazzola ’83). I pazienti cioè vengono invitati in stato di rilassamento a riflettere sul loro modo di comportarsi e di relazionarsi con gli altri (familiari, colleghi di lavoro, figure di autorità, ecc.), a fare il punto sulla loro personalità. Al termine, visualizzano prima e disegnano poi, il loro autoritratto.
Dalla diciannovesima alla ventiduesima seduta vengono commentati gli autoritratti disegnati, che possono essere considerati una specie di test della figura umana.
Dalla ventitreesima alla venticinquesima seduta i pazienti sono invitati, dapprima a ripensare, in stato di rilassamento, a sogni significativi fatti e poi a raccontarli. (Bonazzola ‘83) I sogni possono essere utilizzati come ulteriori strumenti per conoscere in modo più approfondito conflitti e personalità dei pazienti. I sogni, inoltre, contengono anche degli elementi transferali che possono essere interpretati per rendere consapevoli i pazienti del loro modo di relazionarsi nell’hic et nunc del contesto gruppale. Tra gli elementi transferali che vengono interpretati vi sono anche quelli che si riferiscono al lavoro svolto nel gruppo e al tempo rimasto per la chiusura.
Dalla ventiseiesima alla trentatreesima viene dedicata una seduta alla situazione esistenziale di ciascun paziente. La storia raccontata, i disegni, i sogni, le dinamiche di gruppo (transfert orizzontali e verticali) rappresentano il materiale attraverso cui realizzare una revisione di vita di ogni paziente.
La trentaquattresima seduta è un incontro in cui i pazienti possono esprimersi liberamente sul percorso psicoterapeutico svolto.
Nella trentacinquesima e ultima seduta ai pazienti, in stato di rilassamento, viene letto un brano sull’unicità di ogni esistenza umana dal titolo “Sei unico” di Augusto Gaggiano (Catanzaro, 1994).