24 Ott Mio nonno Picasso
Invitata a vivere ho fatto quello che ho potuto e ritenuto giusto fare, qualche volta bene qualche volta male. “Quando non ho il blu, uso il rosso” diceva mio nonno.
Non si può recensire una vita, ma ci sono vite che possono dirsi esemplari, e quella di Marina Picasso mi sembra una di queste.
E’ la vita di una donna che è riuscita, dopo 14 anni di terapia a guarire dei lunghi anni d’angoscia e di paura, a far diventare Suo un cognome che sembrava appartenere solo a Lui, Picasso.
E la storia del per-dono per quel cognome d’artista di cui porta il peso ed il genus, ed è la storia del dono insito in quel nome in quanto se sono ancora viva lo devo alla voglia di vivere e di lottare di un nonno a cui pensavo sempre…. Anche se non c’era mai.
E’ la storia della sua famiglia, di amori malati e perversi, di lui, Picasso, che amava solo la sua arte, di abbagli d’amore per il genio, di assenze mutilanti che portano alla morte, di un buco d’amore dal quale Marina pian piano si affaccia alla vita con e per i suoi figli. Dal figlio della rinascita adottato in Vietnam nasce infatti il Suo progetto per il Villaggio della gioventù a Ho Chi Minh City non so ancora come farò ma voglio che la mia ricchezza serva a qualcosa. Non sono Madre Teresa ma trovo insopportabile la sofferenza degli orfani che ho conosciuto […] A volte i ricordi e gli sguardi compiono miracoli.
Anche questa è arte, trasformare un buco d’amore senza scampo in un progetto di salvezza.
Non si può sfuggire a Picasso, questo l’incipit del suo libro, mai, in nessun momento, la mia famiglia ha potuto sottrassi dall’abbraccio mortale di un genio che aveva bisogno di sangue per firmare le sue tele: il sangue di mio padre, di mio fratello, di mia madre, di mia nonna, il mio e quello di tutti coloro che credendo di amare un uomo amavano in realtà Picasso. Era lui il Minotauro, il mito più volte raffigurato nelle sue opere.
Il racconto inizia un giovedì di un novembre in cui, come ogni giovedì, suo padre si recava, accompagnato dai sui figli Marina e Pablito di 6 e 8 anni, alla villa del suo più illustre genitore nella speranza di essere ricevuto per potergli chiedere del danaro. I suoi bambini erano l’esempio vivente del suo bisogno e sperava che il vecchio custode non pronunciasse la frase “oggi il maestro non può riceverla”.
Nei rari giorni in cui il cancello si apriva, 60 passi esitanti e colpevoli dovevano essere percorsi per raggiungere la tana del titano in cui Esmeralda, la capra del nonno, è a casa sua. Noi siamo gli intrusi.
E’ il racconto di un padre dileggiato, ingannato e deluso che usa l’alcol per reggere la tensione e che sparirà anche lui con altre donne e finirà con un tumore. E’ il racconto di una madre scandalosa per la quale essere la nuora di Picasso sembrava essere un titolo onorifico, che adescava ragazzini sulla spiaggia d’estate e nei caffè d’inverno.
Non è possibile formarsi una personalità con esempi come questi. Non è possibile rispettarsi e rispettare la vita di fronte a tanti sacrilegi.
Ma lei ce l’ha fatta, ha fatto pace col suo fardello di dolore, ora può abbandonarlo. Ha scoperto, ed è la ragione del libro – scrive- che lei e suo fratello sono stati derubati.
Forse Picasso avrebbe potuto essere un nonno come gli altri, se solo fosse sceso un momento dal suo Olimpo, ma il suo mondo interiore divorava tutto e quando è morto ha trascinato nell’abisso molte altre persone: suo fratello, suo padre, le sue donne, alcuni di loro morti per scelta.
Ma lei ce l’ha fatta, ha avuto la stessa forza di suo nonno, ma la sua è stata una forza transitiva, non si è nutrita di sangue ma ha donato speranza, non si è arroccata nel danno e si è liberata dalla dannazione.
Sono le cinque del pomeriggio. Il sole sta tramontando dietro le isole Lèrins.
Mi sento bene, benissimo.
Stringo al petto il suo libro, spero che le arrivi il mio abbraccio.
Marina Picasso “Mio nonno Picasso” Ed. Archinto – RCS Libri S.P.A., Milano