Psicologia e Psicanalisi nell'arte

Psicologia e psicoanalisi dell’arte

Psicologia e psicoanalisi dell’arte

di Michele Cavallo e Ivana Salis

1. L’arte come esperienza

L’esperienza artistica (come pratica e come fruizione) è considerata, nella nostra cultura, una dimensione separata dalla vita quotidiana e prerogativa di “specialisti” detentori di un sapere difficilmente accessibile.

Riportare tale dimensione alla luce della quotidianità dell’esperienza di ogni essere umano, può essere un obiettivo della psicologia. Mostrare che l’esperienza creativa fa parte delle normali facoltà e modalità della persona, era già stata la preoccupazione di filosofi e pensatori del passato.J. Dewey, ad esempio, si dedicò allo studio dell’arte con lo scopo di: «ricostruire la continuità fra le opere d’arte, i fatti, le azioni e le passioni di tutti i giorni, che sono universalmente riconosciuti come costitutivi dell’esperienza» (Dewey, 1966, p.8). Dewey si oppose alla concezione che vedeva l’artista e la sua opera come staccati dall’esperienza terrena, proponendo come essenziale punto di partenza l’osservazione del quotidiano in cui l’artista vive e in cui l’opera nasce. L’arte e l’espressione nascono dall’interazione con l’ambiente, all’insegna di un processo adattivo e creativo (assimilazione-accomodamento). Secondo Dewey l’arte è il miglior mezzo di comunicazione: in quanto linguaggio, l’arte veicola e inventa significati, attraverso uno specifico mezzo (pittura, scrittura, musica) che può essere particolarmente adatto per un tipo determinato di comunicazione. Dewey parla dell’esperienza che si costituisce attraverso il linguaggio e la comunicazione e distingue tra un tipo di esperienza che ha un carattere strumentale, soggetta a fini estranei al suo svolgimento, ed un tipo di esperienza a carattere “finale” o “consumatorio”, che trova il suo fine nel suo stesso farsi. Nell’artista la linea di congiunzione tra processo e prodotto artistico, passa attraverso il carattere distintivo dell’esperienza consapevole. Come vedremo più avanti, Maslow aderendo alla concezione di Dewey, sostiene che l’artista nel creare dà semplicemente forma all’esperienza e questa motivazione è la profonda finalità del creare. In tal senso l’espressione è il risultato di una motivazione intrinseca: l’artista non deve far altro che ascoltare e creare, trasformando l’esperienza. [ i] L’ascolto dell’esperienza è ciò che persegue l’artista, per dirla con le parole di R.M.Rilke: Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe di un sentimento dentro di sé, nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto d’una nuova chiarezza; questo solo si chiama vivere da artista: nel comprendere come nel creare.Ma qual è la “voce” dell’esperienza, che cosa dobbiamo ascoltare, come ci parlerà? In altre parole di che cosa è fatta l’esperienza?Qui la psicologia ci può essere d’aiuto nell’individuare quelle dimensioni che costituiscono la griglia dell’esperienza soggettiva. Alcune di queste sono: la dimensione immaginativa, la dimensione del vissuto corporeo, la dimensione emozionale-empatica, la dimensione comunicativo-relazionale.

 

1.1 L’esperienza immaginativa

In Immaginazione e creatività nell’età infantile, Vygotskij tratta l’immaginazione come facoltà essenziale nella vita dell’uomo: «L’attività creativa […] rende l’uomo un essere rivolto al futuro, capace di dar forma a quest’ultimo e di mutare il proprio presente» (1993, p. 21).L’immaginazione è una facoltà essenziale del creare, del progettare, ma anche del conoscere, come sostiene Lorenzetti: «Non si può raggiungere conoscenza senza attraversare l’immaginazione, senza la capacità d’inventare, di usare la fantasia; senza esercitare il pensiero creativo: l’ideare elementi che consentono l’accesso alla conoscenza della realtà» (1995, p. 26).L’immaginazione come pensiero euristico e artistico è punto di intersezione tra arte e conoscenza. L’atteggiamento euristico abbraccia sia il mondo esterno che interno all’uomo, è il reale promotore della scienza e dell’introspezione. [ii] Cosa accade nel poeta o nell’artista nel momento in cui si sente spinto a creare? Arieti [iii] parla di creatività come Sintesi magica. Ma sintesi di cosa? Il segreto della creazione estetica non consiste solo nella capacità di trasformare i propri sentimenti, ma di far combaciare più elementi, che investono anche l’aspetto più razionale del pensiero. [iv] L’immaginazione può essere intesa, oltre che come modalità conoscitiva (logica e/o estetica), come facoltà autopoietica, strumento di trasformazione (guaritiva e/o autorealizzante).Già Vygotskij critica chi vorrebbe ridurre la funzione dell’arte e dell’immaginazione ad un livello conoscitivo, gnoseologico. Il significato dell’arte non è riducibile nemmeno alla forma in sé, la forma ha il suo effettivo significato se la si considera in rapporto a quel materiale che essa trasfigura. Egli combatte sia la teoria del contagio dei sentimenti, sia la concezione edonistica della funzione dell’arte.«Il fatto è che l’arte “lavora” sui sentimenti umani, e la produzione artistica incarna in sé questo lavoro. Sentimenti, emozioni, passioni, entrano nel contenuto dell’opera d’arte ma, in questa si trasfigurano. Il processo artistico, allo stesso modo effettua una metamorfosi del materiale dell’opera, effettua anche una metamorfosi dei sentimenti. Il senso di tale metamorfosi sta, secondo Vygotskij, nel fatto che i sentimenti s’innalzano dalla sfera strettamente individuale per universalizzarsi e divenire sociali. Così, il senso e la funzione d’una poesia sulla tristezza non stanno affatto nel trasmettere a noi la tristezza dell’autore, nel contagiarci con essa [sarebbe questa una cosa triste per l’arte, commenta Vygotskij], bensì nel trasformare questa tristezza in modo che, agli uomini, si riveli qualcosa di nuovo, in una più alta, più umana verità di vita». (Leontjiev, in Vygotzskj, 1976, p.9). In questa trasformazione di sentimenti, pensieri, vissuti è insita la funzione autopoietica. In definitiva la trasformazione ci sembra il registro su cui si possono dipanare tre diversi ordini metamorfici: 1) del linguaggio, 2) dell’artista, 3) del fruitore. Il primo appartiene propriamente al campo d’indagine della filosofia estetica e della semiotica. L’arte si propone come invenzione linguistica che vivifica l’esperienza, la rinnova continuamente. La trasformazione dell’artista e del fruitore appartengono precipuamente allo studio psicologico. Sono questi ordini che noi approfondiamo.

 

1.2 Vissuto corporeo

La separazione tra anima e corpo, viene oggi superata nella consapevolezza che noi non ci troviamo di fronte a due entità separate; l’integrazione di spirito e corpo è particolarmente evidente nel processo creativo. L’artista ritrova sotto il sapere oggettivo e logocentrico una realtà più profonda fatta di sensazioni, vissuti, immagini, emozioni, tremori; ritrova prima di tutto il contatto col proprio corpo. È attraverso il vissuto corporeo che noi possiamo interrogare noi stessi. Qui le sensazioni corporee stanno al centro dell’attenzione, e il corpo non sta in secondo piano, ma è il luogo dove le immagini, i ricordi, i desideri, le emozioni, le parole, “prendono corpo”. Il corpo è fonte di esperienza e conoscenza. L’ascolto delle proprie sensazioni è esperienza che conduce ad una maggiore consapevolezza della vasta gamma di vissuti che emergono alla nostra attenzione. Difficilmente si vive nel continuum di consapevolezza, e quindi la vita scorre nella percezione automatizzata di eventi e vissuti. La predominanza di automatismi, non apporta alcuna novità. La mente va avanti sulla base di rappresentazioni sedimentate, senza aprirsi a nuove modalità di ascolto. Il progetto dell’artista consiste proprio nell’aprirsi a un nuovo ascolto, orientando l’attenzione là dove la routine tende a offuscare ogni visione. Tale pericolo viene eluso nell’osservazione fenomenologica dell’evento. Vygotskij sostiene che normalmente «la cosa ci passa accanto come impacchettata: sappiamo che c’è dal posto che essa occupa, ma ne vediamo soltanto la superficie. Scopo dell’arte è dare la sensazione della cosa, come d’una cosa veduta e non già avvistata» (1976, p.86). L’arte in questo senso ha una sorta di funzione rieducativa nella modalità di relazione con l’ambiente. L’arte, come procedimento conoscitivo, offre la possibilità di attingere al non noto. Il contatto con le sensazioni e il vissuto corporeo ci apre questa possibilità di smontare le percezioni “ovvie”, automatiche, svuotate. Questa diversa attenzione può far emergere nuovi contenuti utili al processo creativo. La consapevolezza dei propri vissuti non è, però, di per sè arte; per l’attuazione di tale trasformazione è necessario un atto creativo, inteso come superamento del sentire personale.

 

1.3 Fruizione ed empatia

Abbiamo parlato dell’esperienza artistica riferendola sia all’atto produttivo che alla fruizione. Vediamo brevemente in che senso l’atto della ricezione è anch’esso una esperienza creativa. Cosa accade nello spettatore posto di fronte ad un’opera d’arte? Secondo E. Kris si possono avere fondamentalmente due tipi di reazione: una è quella di una vera e propria ricreazione estetica basata sull’empatia e la partecipazione, l’altra è una ricezione intellettualizzata che non integra la risposta emotiva. [v] La reazione emotiva è legata al concetto di Einfühlung, traducibile con il termine empatia, che possiamo definire come un atto di partecipazione affettiva in cui c’è una “immedesimazione” con una persona, un oggetto (artistico), una situazione, il che comporta una capacità di imitazione interna. [vi]La “teoria dell’empatia” fu elaborata da Theodor Lipps. Secondo l’A. l’empatia si fonda sull’associazione, è una comprensione della realtà in base a esperienze precedenti. Lipps è stato un anticipatore del concetto di isomorfismo, per quanto riguarda la relazione tra le forze fisiche nell’oggetto osservato e la dinamica psichica dell’osservatore; applicò il concetto di empatia anche ai fenomeni estetici, quindi alle opere d’arte. [vii]

 

2. La psicoanalisi e l’arte

La psicoanalisi si è occupata, da Freud in poi, dell’esperienza estetica, sia per quanto riguarda la fruizione, sia per la creazione dell’opera. L’interesse nacque dal riscontro di un legame tra creatività e psicopatologia. Freud compì degli studi sulla personalità dell’artista, in Il poeta e la fantasia (1908), egli si pose il quesito da dove l’artista traesse la materia per elaborare la sua opera, sembra che abbia trovato una risposta nella fantasia e nel gioco infantile. La fantasia rappresenta una valvola di sfogo di tensioni inconsce che altrimenti non si potrebbero esprimere in modo adeguato, i desideri insoddisfatti divengono le forze propulsive della fantasia, la quale ha pertanto lo stesso significato dinamico del sogno e può essere posta in relazione con la patologia mentale; il poeta riesce a servirsene in modo integrato, riesce a esprimere e comunicare dei contenuti che saranno poi oggetto di fruizione. [viii]Secondo Freud, le esperienze infantili influenzano l’opera dell’artista maturo. Per esempio egli prese in esame uno dei famosi dipinti di Leonardo da Vinci, La Vergine e Sant’Anna, in cui le due donne appaiono entrambe con Gesù Bambino, contrariamente alle rappresentazioni abituali della Sacra famiglia. Freud sostiene che Leonardo aveva il bisogno di riprodurre un ricordo infantile, infatti egli era stato allevato da due madri, la vera madre biologica e quella legale, moglie del padre (cfr. Arieti, 1990 p.24). Nel saggio ll Mosè di Michelangelo (1914) Freud sostiene che l’attrattiva che un’opera può esercitare sul fruitore, è legata all’intenzione che l’artista riesce ad esprimere. Psicoanalisti più recenti, pur partendo dalle formulazioni freudiane, si sono concentrati maggiormente sull’analisi formale delle opere, sostenendo l’ipotesi che vi sia una innata attitudine estetica a cogliere i significati attraverso il bello. Attitudine che secondo Fornari (1982) ha le sue fondamenta nella capacità di sperimentare il buono (esperienza dell’allattamento) e il bello (relativo al volto della madre). Altri autori hanno parlato di una innata disposizione a fare esperienze del sublime. Probabilmente vi è nella psiche una inclinazione ad essere esteticamente impressionata (preferenze per relazioni formali simmetriche, cromatiche ecc.), condizione necessaria allo sviluppo, e non conseguente. «Un simile atteggiamento conoscitivo, fondato su una ricerca di qualità dell’oggetto, svincolato da pulsioni o da bisogni, può essere ritenuto il fattore estetico dei processi sublimatori, che presiede a tutte le attività esplorative e costruttive, sociali, intellettuali e artistiche» (Di Benedetto,1993b, p, 520).È Freud stesso ne Il poeta e la fantasia a sottolineare l’importanza delle qualità formali di un’opera d’arte. La creazione di una forma iscrive le manifestazioni dell’inconscio, rende quest’ultimo ammissibile, liberandolo dal rigore normativo del super-io. Il linguaggio artistico offre un nuovo ordine in cui si può fare l’esperienza della realtà inconscia, senza tensioni. La sublimazione si configura in conclusione come arte dell’espressione inconscia, una sorta di retorica dell’inconscio, una sorta di principio creativo che sottrae gli impulsi alla rimozione. 2.1 Creazione come sublimazioneSecondo la prospettiva psicoanalitica il processo creativo rappresenta l’espressione della sublimazione. Sublimazione in senso chimico e in senso psicoanalitico, indica una sorta di conversione o trasmutazione da uno stato o piano di esistenza più basso a uno più alto, sia che si tratti di trasmutazione di una sostanza o di una pulsione con i suoi oggetti e mete. Nella sublimazione l’unità originaria viene ripristinata, essa è una differenziazione progressiva che culmina in una nuova organizzazione sintetica di esperienza unitaria (Loewald,1992, p.23). Freud introdusse la sublimazione come meccanismo di difesa dell’Io per definire alcune attività umane che apparentemente non hanno alcun rapporto con la sessualità, ma che avrebbero la loro molla nella pulsione sessuale. Secondo Freud l’attività artistica ne è un esempio. Una pulsione è sublimata nella misura in cui è deviata verso una nuova meta non sessuale e socialmente accettata (Laplanche & Pontalis, 1993, p. 618).

[ix] Dunque secondo Freud la persona creativa sarebbe un individuo frustrato che non riesce a trovare appagamento nella gratificazione sessuale o in altri aspetti della vita e che di conseguenza cerca di trovarlo nella creatività. La sublimazione avviene attraverso una trasformazione della libido oggettuale in libido narcisistica, mediante una trasformazione interiorizzante della pulsione o del desiderio. Una volta che la dimensione intrapsichica si è differenziata da quella interpersonale, avviene una trasformazione delle relazioni oggettuali in interazioni intrapsichiche. Dunque il percorso verso la sublimazione è quello dell’interiorizzazione, attraverso cui la natura degli oggetti e delle relazioni oggettuali subisce un cambiamento (Loewald,1992, p.26).Molti psicoanalisti recentemente hanno recuperato tale nozione alla loro riflessione. In particolare cisembrano preziose alcune idee di Ancona (AAVV., 1995) che propone di andare “al di là del principio di sublimazione”, e anziché distinguere tra pseudo-sublimazioni, sublimazioni riuscite, sublimazioni creative, ripropone la distinzione su un continuum unidimensionale fra «un estremo corrispondente al processo di Sublimazione per cambiamento di fine o di oggetto e processo di Sur-limazione per cambiamento di natura del soggetto» (p. 20). [x] In questo senso anche Resnik (AAVV., 1995) punta alla valenza “trasformativa” della sublimazione. Riprendendo l’idea bioniana di trasformazione dell’esperienza emozionale inconscia, vede la sublimazione come uno spostamento, una trasformazione, un processo di astrazione. Non differente è vedere “La sublimazione come creazione di isomorfismi” da parte di Bria che rifacendosi alla teoria di Matte Blanco pone l’accento sulla processualità «simbolica o sublimata che circonda l’attività istintiva primaria e che dà luogo a una grande varietà di “isomorfismi” strutturali» (ivi, p. 49).Di Benedetto (AAVV, 1995) affronta la sublimazione nei suoi connotati estetici, come espressione di un’attitudine estetica a liberare la mente da impulsi, bisogni o scopi.

 

2.2 Il concetto greco di catarsi

Un altro concetto che Freud approfondisce e inserisce nei suoi studi sull’arte è la catarsi (dal greco): purificazione. E’ stato utilizzato da Aristotele per designare l’effetto provocato nello spettatore dalla tragedia: «Tragedia è mimesi di un’azione seria e compiuta in se stessa la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni» (Aristotele, Poetica, 1992). Tutt’oggi è aperto un dibattito interpretativo tra gli studiosi. Alcuni hanno ritenuto che Aristotele parlasse di purificazione delle passioni in senso etico come se l’arte “sublimasse” le passioni. Altri, invece, hanno inteso la catarsi nel senso di liberazione psicologica temporanea dalle passioni. Secondo questi ultimi Aristotele ha inteso dire che noi vedendo rappresentata artisticamente una passione la contempliamo dall’alto, smorzandone l’effetto emotivo immediato che suscita nella vita quotidiana. Per cui il vedere oggettivati i nostri difetti può aiutarci a diventarne consapevoli: guardare “a distanza” le passioni (negative) può contribuire ad una liberazione da esse.Breuer e Freud hanno ripreso questo termine per designare l’effetto atteso di una “abreazione” adeguata del trauma. E’ noto infatti che secondo la teoria sviluppata in Studi sull’isteria, gli affetti che non sono riusciti a trovare la via verso la scarica rimangono bloccati, esercitando così un’azione patogena. Più avanti Freud scrive: «La guarigione avverrebbe con la liberazione dell’affetto malamente indirizzato e con la scarica del medesimo per la via normale (abreazione)» (Laplanche & Pontalis1993, pp, 73-75).Secondo Muret «ciò che caratterizza il processo catartico è la partecipazione emozionale del soggetto, attraverso una riattualizzazione del passato o di una realizzazione simbolica del fantasma. Questo processo si svolge spesso in clima di trance, cioè di rimozione dell’inibizione donde l’inconscio può affluire alla coscienza. Il concetto aristotelico di catarsi non contiene soltanto l’idea di espulsione dell’emozione, ma anche di elaborazione e formazione di quest’ultima: la forma scelta può essere la tragedia, la danza o il disegno. L’autentica catarsi è più di un semplice spazzare il camino psicologico, è una trasposizione, una trasformazione dalla natura all’arte (dalla pulsione alla rappresentazione)» (1991, pp.23-25).

 

2.3 Otto Rank: la biografia e l’opera dell’artista

O.Rank riprende il concetto freudiano di sublimazione delle pulsioni, inteso come ritorno del rimosso. L’opera d’arte diventa un sintomo che riemerge dal conflitto, «il conflitto è avvertito dagli artisti proiettato sull’io, con singolare violenza, in quanto troppo maturo per il sogno e non ancora patogeno: essi cercano di liberarsene con l’opera d’arte. L’opera d’arte è doppiamente profilatica, previene sia il pericolo che la crescita del conflitto sfoci nell’improduttivo, sia la nevrosi dell’artista stesso» (Rank, 1986, p.73). Secondo Rank, Freud non ha mai compreso l’essenza dell’attività artistica, poichè tentava nei suoi scritti sull’arte l’unicità e la specificità dell’artista nei processi generali dell’io e del super-io. L’artista, sosteneva Rank, sviluppa da sé il suo ideale dell’io: egli crea dei valori nuovi derivanti da un processo in cui l’individualità è riuscita a realizzare un proprio percorso.

 

2.4 Melanie Klein: creatività e posizione depressiva

Melanie Klein ha scritto solo tre saggi sull’arte; Situazione d’angoscia infantile espressa in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo, benché sia stato letto nel 1929, prima che avesse scoperto la posizione depressiva, descrive in maniera mirabile le origini nella posizione depressiva dell’impeto creativo e le tendenze riparative che vi sono associate. La Klein analizza un libro scritto da Colette, L’enfant et les sortilèges, e un racconto, Lo spazio vuoto di Karen Michaelis, dove viene narrato lo sbocciare di una pittrice, Ruth Kjar. Analizzando i soggetti dei quadri e un breve scorcio della vita della pittrice, la Klein mette in luce come la depressione – probabilmente connessa con una madre interna devastata, che aveva lasciato dentro di lei un terribile spazio vuoto – venisse superata con la ricostruzione nei suoi quadri della figura materna. La Klein conclude che le angosce della posizione depressiva e il conseguente pressante bisogno di riparare, sono le radici della creatività (Segal, 1989, 126 sgg.). Su queste basi kleiniane la Segal ritiene che tutti gli artisti si creino una realtà personale, anche quando lavorano con intenti realistici; ogni loro creazione sarebbe la ri-crezione d’un oggetto un tempo integro e amato, ma poi perduto e rovinato. Il bisogno della ricostruzione interiore è radicato nella posizione depressiva, ma la sua attuazione dipende soprattutto dalle capacità di superare l’ansia situazionale. Ritorna il parallelismo tra nevrotico e personalità creativa. La Segal ritiene che il successo dell’artista deriva dall’essere capace di riconoscere ed esprimere le sue fantasie ed ansie depressive. Nell’esprimerle, egli compie un lavoro simile a quello del lutto, in quanto ricrea internamente un mondo armonioso che viene proiettato nella sua opera d’arte. Il lettore si identifica con l’autore attraverso l’opera rivivendo le sue personali ansie depressive e grazie all’identificazione con l’artista sperimenta un lutto riuscito, ristabilisce i suoi oggetti interni ed il suo mondo interno e si sente perciò reintegrato ed arricchito.

 

2.5 Winnicott: l’area transizionale

Oltre alla realtà interna e alla vita esterna, vi è una terza parte che non possiamo ignorare, è una area intermedia di esperienza che viene concessa al bambino nel gioco e che, nella vita adulta, è parte intrinseca dell’arte. Quest’area “transizionale” costituisce la maggior parte dell’esperienza del bambino, e per tutta la vita viene mantenuta nella intensa esperienza che appartiene alle arti, alla religione, al vivere immaginativo e al lavoro creativo scientifico (Winnicott, I992). Nel gioco il bambino, attraverso un “oggetto transizionale” (es.: orsacchiotto), riesce a tollerare la distanza della madre.L’oggetto transizionale ha la funzione di transizione tra sé e il mondo esterno. In realtà non è l’oggetto ad essere transizionale, ma l’oggetto rappresenta la transizione del bambino da un stato fusionale ad uno stato di rapporto con la madre percepita come persona, separata da lui. Il bambino accede così alla fase della “posizione depressiva” che implica la percezione della separazione. Questa fase è caratterizzata dall’ angoscia e dal sentimento di colpa «che inizia quando il bambino riesce a riunire le due madri: l’amore e l’odio, e cresce gradualmente per diventare una fonte sana e normale d’attività nelle relazioni. È questa una fonte di potenza e di contributo sociale, come pure di realizzazione artistica» (Winnicott,1992, p. 323).Se consideriamo che la realizzazione artistica è sempre espressione della creatività, questa per Winnicott è attivata dal sentimento di colpa, fase necessaria all’individuo per incontrarsi con la realtà esterna.

 

2.6 Bion: la creatività come trasformazione

La formulazione di una “teoria del pensiero” chiara e clinicamente utile è stata una preoccupazione costante di W. Bion. Due sono i concetti che offrono una nuova visione della psicoanalisi dell’arte. Il primo è quello di identificazione proiettiva, elaborato sulla base della teoria di M. Klein. L’identificazione proiettiva è concepita da Bion come una modalità di funzionamento della mente umana, che costituisce tanto il primo atto mentale del bambino, quanto l’indispensabile supporto delle più raffinate capacità adulte di pensiero e di relazione. L’attribuzione di parti di sé all’oggetto ha non solo funzioni difensive o evacuative (meccanismo di difesa), ma anche funzioni conoscitive e creative. Il secondo concetto è quello di trasformazioni;

il processo conoscitivo attraversa varie fasi o stadi:

• uno stato iniziale (O)

• un processo di trasformazione (Ta)

• un prodotto finale o risultato (Tb)

 

Con “trasformazione” Bion indica dunque quella operazione (T) che permette un trasferimento di alcune caratteristiche da una dimensione a un’altra. Così, ad esempio, un pittore convoglia un’esperienza emotiva suscitata da un paesaggio (O), mediante un processo (Ta), in un risultato (Tb, il dipinto), evocando, così, in un’altra persona l’esperienza di quel paesaggio. «Propongo che il lavoro dello psicoanalista debba essere considerato, in analogia a quello dell’artista e del matematico, come trasformazione di una realizzazione [intuizione] (O) in una interpretazione (K)» (Bion,1965, p.16).Il processo creativo consiste più in un divenire che in un “conoscere” e le trasformazioni implicate sono trasformazioni in O (contatto con l’esperienza originaria). Queste trasformazioni contengono i momenti germinativi, ineffabili, dell’esperienza emozionale, i momenti più ricchi di potenzialità evolutive (Di Benedetto, 1993a, p. 68).Tali trasformazioni hanno elementi in comune con l’esperienza estetica: la trasformazione dell’artista induce attraverso l’opera una trasformazione nel fruitore. «La vera opera d’arte sollecita infatti il fruitore a sintonizzarsi con la sua matrice costruttiva, con quella specie di saggezza architettonica, che esprime il progetto del suo autore. L’artista scopre strada facendo questo suo sapere costruttivo, che consiste non in un conoscere a priori, ma in un conoscere incarnato nel fare. Difatti anche se sa come la sua opera dovrà o non dovrà essere, tanto che la modifica e la aggiusta via via che la costruisce, non la conosce prima di farla. Si può al massimo dire che la riconosce una volta fatta. Egli ha il privilegio di una visione nel corso della sua creazione. Ha la visione di qualcosa che si fa nel suo mondo interno, nel momento stesso che si fa davanti ai suoi occhi. In realtà non ha modo di vedere prima, mentalmente la sua creatura. La riconosce partorendola, conoscendo così anche la sua emozione ed ispirazione» (Di Benedetto, 1993a, pp. 68-69). L’idea nasce e si sviluppa nell’artista, ma la creazione artistica non si esaurisce nel compimento dell’opera, ma continua nel momento della fruizione e ricreazione. In questa fase se si segue solo la strada dell’interpretazione in “direzione regressiva” si rischia di perdere la valenza propriamente costruttiva del processo artistico che vede nel fruitore il luogo della trasformazione ed elaborazione, punto di arrivo e di feed-back. «L’opera include nel suo significato il passato e la storia personale dell’autore, ma l’opera stessa fa parte della costruzione di sé, è un modo di anticiparsi, col quale l’autore, cessando di subire il proprio passato, tenta di inventare un avvenire. Non basta conoscere l’uomo come essere naturale e come essere sociale; occorre conoscerlo nella sua facoltà di superamento nelle forme e negli atti creatori, mediante i quali egli muta il destino che subiva come essere naturale e trasforma la situazione che la società gli assegnava» (in Di Benedetto, 1993a, p.74).

 

2.7 Lacan: l’inconscio come linguaggio

Lo strutturalismo a base psicoanalitica di Lacan ricerca nei meccanismi dell’inconscio lo stesso tipo di regole che presiedono ai codici discorsivi del linguaggio. Ogni comportamento viene ricondotto a una stessa struttura fondamentale: una grammatica profonda da cui si specificano i diversi linguaggi.Tra l’ordine del significato e l’ordine del “significante” [xi] si possono rintracciare precise analogie di struttura: così l’inconscio, per il quale non funzionano le leggi logiche e temporali del cosciente, si presenta strutturato ‘come un linguaggio’ nel quale si ritrovano figure retoriche come la metafora e la metonimia, ossia, in termini psicoanalitici, la condensazione e lo spostamento. Ci sarebbe una logica del significante che si propone di analizzare le forme di trasformazione già enunciate dalla psicoanalisi e prima ancora dalla retorica. Sono, per esempio: la sostituzione (metafora), l’omissione (ellissi), la condensazione (omonimia), la dislocazione (metonimia), la denegazione (antifrasi). Se l’inconscio è strutturato come un linguaggio, allora nella psicoanalisi ciò che conta è “come” si parla piuttosto che “quello” che si dice. Infatti Freud aveva intuito a proposito dell’interpretazione dei sogni i due grandi assi del linguaggio: l’asse delle condensazioni-sostituzioni (metafora) e l’asse degli spostamenti-combinazioni (metonimia). La Retorica come “scienza tradizionale” che codifica le connotazioni del linguaggio, è molto più vicina all’interesse della psicoanalisi di quanto si pensi; offre una griglia all’interpretazione di quelle trasformazioni tra modi, livelli e linguaggi di cui parlava anche Bion. [xii]

 

2.8 Kris: ricerche psicoanalitiche sull’arte

Kris (1967) ripercorre gli itinerari freudiani dedicati alle ricerche sull’arte. Egli si oppone ad una schematizzazione eccessiva della psicoanalisi nell’interpretazione psicologica dell’arte, e propone un uso differente della teoria psicanalitica. [xiii] Secondo Kris l’opera non è né espressione (diretta trasposizione di contenuti inconsci) né semplice imitazione, l’artista non rappresenta la natura, né la imita, ma la crea di nuovo, attraverso l’opera egli reinventa la realtà. «Quando disegna, dipinge o incide ciò che il suo occhio ha carpito e la sua immaginazione fa riaffiorare, egli si dà a una attività che ha un duplice significato. Ogni linea, ogni tratto di cesello è una semplificazione, una riduzione della realtà. Il significato inconscio di questo processo è il bisogno di dominare le cose a costo di distruggerle. Ma la distruzione della realtà si fonde con la costruzione della sua immagine: quando le linee si riuniscono in forme, quando la nuova figura nasce, non ci troviamo davanti ad una copia della realtà. Indipendentemente dal grado di somiglianza, la natura è stata ricreata» (p.45). Kris estende le sue osservazioni al rapporto tra psicosi e arte, distanziandosi dalle osservazioni fatte precedentemente da Prinzhorn, il quale aveva tentato di rintracciare una evoluzione nelle creazioni dei suoi pazienti. Kris contesta il termine evoluzione, utilizzato da Prinzhorn, sostenendo che in realtà non vi è evoluzione ma un cambiamento di stile. Il termine evoluzione, secondo Kris, indica un mutamento continuo e graduale, tale da poter essere messo in relazione con dei reali tentativi finalizzati alla soluzione di determinati problemi: «io ritengo che una evoluzione dello stile presupponga una integrità delle funzioni dell’io- o più precisamente- un certo grado di integrità» (ivi, p.86).

 

2.9 Jung: l’arte tra psicologia e archetipi

Anche Jung si è occupato di arte, dando un contributo teorico sia per quanto concerne il processo creativo che estetico (fruizione), sostenendo che la psicologia può avvicinarsi all’arte per comprendere i processi di formazione artistica, senza entrare nel merito di quale sia l’essenza dell’arte. Secondo Jung, vi sono opere nate dall’intenzione e dalla decisione cosciente dell’autore di provocare un determinato effetto. Vi sono altri tipi di opere che invece si impongono in qualche modo all’autore. In questo caso «l’opera porta con sé la propria forma; ciò che egli vorrebbe aggiungere gli viene respinto, ciò che vorrebbe respingere gli viene imposto. Mentre la sua coscienza trovasi come annientata e vuota di fronte al fenomeno, egli viene sommerso da un fiume di idee e di immagini che non sono, in alcun modo, il prodotto della sua intenzione. Può essere che l’artista preso dal suo impulso creativo, abbia solo la sensazione di creare liberamente, poiché nel pieno del furore, egli può non ricordarsi in realtà quali fossero le sue iniziali intenzioni» [xiv]L’analisi psicologica degli artisti ha sempre messo in evidenza la potenza dell’impulso creativo proveniente dall’inconscio, una potenza che risucchiava tutte le forze dell’artista. La psicologia analitica definisce tale forza come complesso autonomo «il quale come anima parziale dissociata, ha una vita psichica indipendente al di fuori della gerarchia della coscienza e appare, secondo il suo valore energetico e la sua forza, o come un turbamento del processo cosciente guidato dalla volontà, o come un’istanza di carattere superiore, che può sottoporre l’io al suo servizio» (Jung, 1988, p.35).Il furore artistico è simile da un lato alla malattia, solo però per la presenza del complesso autonomo. [xv] Quest’ultimo si forma nel momento in cui entra in attività una regione della psiche fino allora inconscia, «una volta animata, essa si sviluppa e cresce, attirando verso di sé le associazioni con essa affini. L’energia che a ciò occorre viene sottratta alla coscienza, a meno che la coscienza stessa non preferisca identificarsi col complesso» (ivi, p.42). L’opera portata a termine ci può offrire una immagine delle componenti del complesso autonomo creatore, immagine che noi possiamo analizzare purché si scorga in essa il simbolo.Jung si chiede a quale archetipo possa essere fatta risalire l’immagine fornitaci dal prodotto artistico. Egli vede che le origini dell’opera d’arte simbolica non sono da ricercarsi nel subconscio personale dell’autore, ma in quella sfera della mitologia inconscia le cui “immagini primordiali sono proprietà comune dell’umanità”. Viene in questo modo distinto un inconscio collettivo dal subconscio personale. Anche dall’inconscio personale possono emergere contenuti fonte di pulsione creativa, che però «sono torbidi, e quando prendono il sopravvento, l’opera d’arte che essi producono non è simbolica, ma sintomatica». L’inconscio collettivo è una possibilità che noi ereditiamo in forme di immagini mnemoniche, non si tratta di rappresentazioni innate, ma di possibilità innate di rappresentazioni che pongono dei limiti anche alla fantasia (ivi pp. 42-46). «L’archetipo è una figura, demone, uomo, processo, che si ripete nel corso della storia, ogni qualvolta la fantasia creatrice si esercita liberamente. […] Ogni relazione con l’archetipo, vissuta o semplicemente espressa, è commovente, cioè essa agisce poiché sprigiona in noi una voce più potente della nostra. Colui che parla con l’archetipo è come se parlasse con mille voci; egli afferra e domina, e al tempo stesso, eleva ciò che ha designato dallo stato di precarietà e di caducità alla sfera delle cose eterne. […] Questo è il segreto dell’azione che può compiere l’arte. Il processo creatore consiste in un’animazione inconscia dell’archetipo nel suo sviluppo e nella sua formazione fino alla realizzazione dell’opera perfetta» (1988, pp. 47-48).L’immagine primordiale, connessa con l’archetipo, compensa l’insufficienza e l’unilateralità dell’esperienza di vita della persona creativa, dello spirito del tempo storico in cui la persona vive. In altre parole, la grande opera d’arte trascende le esperienze di vita e il periodo storico dell’autore; risvegliando il patrimonio di esperienze prevalenti nell’ inconscio collettivo, il processo creativo conferisce all’opera d’arte un significato universale. La mancanza di adattamento all’ambiente diventa il vero vantaggio dell’artista: esso facilita il riemergere degli archetipi, e lo induce ad entrare in una partecipazione mistica alle fonti antiche. Secondo Arieti, l’archetipo nella teoria jungiana ha lo stesso peso del processo primario in quella freudiana. Nella visione junghiana si potrebbe paragonare il prodotto creativo ad un vecchio tesoro che viene riportato alla luce. In questo modo però non veniva spiegata la novità imprevedibile dell’opera d’arte (Arieti, 1990, p. 28).

 

Pubblicato su Artiterapie, n. 3-4 2000

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[i] Il punto di partenza può essere l’introspezione. L’introspezione, che sia spontanea o controllata, riduce però l’ascolto agli aspetti coscienti. Ma oggi la psicologia dell’arte ha a disposizione tutto un ventaglio di procedure e tecniche che permettono di “ascoltare” livelli extracoscienti (non accessibili direttamente all’introspezione).

[ii] Ribot parla di “immaginazione creatrice” (1900), sostenendo che l’invenzione ha un’origine impulsiva, che ogni tendenza, desiderio, bisogno può essere fonte di ispirazione per la creazione di qualcosa di nuovo. È necessario che le immagini sorgano spontaneamente e velocemente in modo che non si vedano le cause, la cui ricerca razionale è sempre nascosta nell’inconscio lavorio del cervello. Anche Ribot non dimentica l’importanza dell’influenza ambientale, egli dice che nell’invenzione “vi sarà sempre qualcosa della collaborazione degli altri”. Egli infine distingue tra una immaginazione riproduttiva e una combinatoria. L’immaginazione riproduttrice è legata all’accumulazione dell’esperienza individuale, e si situa alla base della creatività. Quella combinatoria è legata alla vera e propria creatività; alla prima fase di accumulazione di elementi segue un processo di maturazione e di incubazione, in una terza fase le rappresentazioni si associano, ma non secondo le leggi del raziocinio o della contiguità, bensì secondo connotati affettivi, infine nella quarta fase l’immaginazione si concretizza divenendo opera (Cfr. Marino, 1982, pp.102-134).

[iii] Arieti fa derivare il processo creativo da una sintesi tra processo primario e processo secondario, sintesi che viene definita processo terziario: «Il processo primario offre all’artista l’immaginazione, cioè la capacità di presentazione che fornisce il materiale di base, così come una prima forma di organizzazione quale l’emergere delle somiglianze, delle rappresentazioni parziali. Il processo secondario, fornisce la selezione e l’eliminazione di molti suggerimenti e di molte rappresentazioni parziali, in forme verbali, pittoriche e di altra natura. Il processo terziario interviene alla fine facendo combaciare i processi secondario e primario, e determinando l’emergere di una rappresentazione accettata. Eureka! Si è creata la nuova unità!» (Arieti, 1990,p. 207).

[iv] N.Tommaseo (1802-74) spiegò in La poesia, gli elementi fondamentali che accorrono nell’atto creativo e nella creazione estetica: “Non la raggiante immagine,/ Non la risposta idea,/ Non l’armonia dei numeri,/ Non è l’amor che crea./ Idea, concento, immagine,/Aura d’amor fecondo,/ Formansi in uno, e n’escono/ Il verso, il fiore, il mondo”.Ecco che l’opera d’arte, in questo caso la poesia, nasce dall’unione di Idea, concento, immagine.

[v] «Per quanto riguarda l’esperienza della fruizione, quando nel pubblico il controllo dell’io è forte, il risultato non è una ricreazone estetica, ma una ricostruzione. L’esperienza viene intellettualizzata. […] Se nell’interpretazione vi è un controllo troppo debole dell’io, i significati evocati sono proiettivi e non vengono integrati […] L’illusione estetica richiede, come è stato posto in rilievo da Kant, un distacco dalle attività della ragion pratica» (Kris, 1967, p. 255)

[vi] Quando tra chi guarda e l’oggetto estetico, vi è una sensazione di piacere e di libera autoattivazione abbiamo l’empatia positiva. Quando invece sorge conflitto tra il bisogno di autoattivazione e oggetto estetico abbiamo empatia negativa (Cfr. Marino, 1982, p.116).

[vii] Già nel pensiero filosofico troviamo concezioni molto elaborate riguardo a tale problema. Kant parla di giudizio riflettente estetico, in cui noi riconosciamo il bello come un piacere necessario; la bellezza secondo Kant nasce da una armonia che si stabilisce tra la nostra libera interiorità e l’oggetto che si contempla. Egli, infine, fa la distinzione tra bello e sublime, quest’ultimo rappresenta la bellezza smoderata che anziché favorire l’armonico incontro tra soggetto e oggetto, il secondo travolge il primo. Di fronte al sublime l’emozione estetica non nasce dalla consonanza, ma dal contrasto, che in un primo momento può suscitare in noi sgomento ed orrore tali da opprimere la sensibilità. (AAVV, 1989, pp. 588-589). J.F.Herbart nella sua concezione dell’estetica elaborò la concezione kantiana di bello e sublime. Egli distinse tra componente emozionale ed espressiva, sostenendo che l’emozione pur essendo una componente funzionale dell’opera non fa parte del bello puro, egli infatti sosteneva, che poiché il bello è una relazione tra parti diverse è utile conoscere la meccanica della mente.

[viii] In Il poeta e la fantasiaFreud inoltre scrive: «L’individuo crescendo smette di giocare, e sembra rinunciare ad un piacere. Chi conosce la vita interiore dell’uomo, sa che non vi è cosa più difficile della rinuncia ad un piacere già gustato. Effettivamente noi non possiamo rinunciare a nulla e solo barattiamo l’ una cosa con l’altra, così che ciò che sembra una rinuncia in realtà non è altro che la formazione di un sostituto o surrogato. Così l’ adolescente non gioca più ma fantastica. […] L’uomo felice non fantastica mai, solo l’insoddisfatto lo fa» (1993, p. 366).

[ix] Nel 1908 Freud ricevette un invito per recarsi in America per tenere un corso di lezioni sulla psicoanalisi. In quella occasione disse:«Se l’individuo scontento della realtà possiede quel talento artistico, che psicologicamente è ancora un enigma egli può convertire le sue fantasie in opere d’arte. In tal modo egli sfugge al destino della nevrosi. […] Noi conosciamo la sublimazione, grazie a cui l’energia delle eccitazioni di desiderio infantile non viene bloccata, ma resta suscettibile di applicazioni, mentre per le singole eccitazioni, invece di rimanere inutilizzate, viene fissato uno scopo più elevato, scopo che alla fine non è più sessuale» (Freud, 1976 pp. 85-94). Freud tratta della sublimazione in tre diversi momenti. La prima volta nei Tre saggi sulla sessualità: «La vita sessuale dei bambini giunge ad esprimersi in una forma accessibile all’osservazione, per lo più intorno al terzo o quarto anno di vita; Durante il periodo di latenza vengono costruite quelle potenze psichiche che più tardi si presentano come ostacoli alla pulsione sessuale (1905)». Successivamente in “Introduzione al narcisismo” (1914) scrive: «I moti pulsionali libidici incorrono nel destino di una rimozione patogena quando vengono in conflitto con le rappresentazioni della civiltà e dell’etica del soggetto. La formazione di un ideale sarebbe da parte dell’Io la condizione della rimozione. […] La sublimazione è un processo che interessa la libido oggettuale e consiste nel volgersi della pulsione a una meta lontana e diversa dal soddisfacimento sessuale». Infine nel Disagio della civiltà: «L’uomo, avendo sperimentato che l’amore sessuale gli procurava il massimo dei soddisfacimenti possibili ed era diventato per lui il modello di ogni felicità, dovette trarne la conseguenza che la gioia e la felicità nella vita andavano cercate nel campo delle relazioni sessuali, ponendo l’erotismo genitale al centro della vita stessa. Col portamento eretto e con la svalutazione del senso dell’olfatto, l’intera sessualità, non solo l’erotismo anale, minacciò di soccombere alla rimozione organica e così da allora alla funzione sessuale si accompagna una ripugnanza, inspiegabile ulteriormente, la quale impedisce un soddisfacimento completo e distoglie dalla meta sessuale favorendo sublimazioni e spostamenti libidici […] Da parte della civiltà la tendenza a limitare la vita sessuale è non meno evidente della spinta ad espandere sempre di più il proprio influsso» (Freud, 1976).

[x] In un antico saggio De sublime (Pseudo-Longino I/II sec. d.C), si possono rintracciare già alcuni concetti che sono alla base di questa teoria della “sur-limazione”. Sublime è tutto ciò che illumina la nostra mente, che ci coinvolge in una esperienza creativa e suscita in noi pensieri nuovi, proiettati verso il futuro, senza farci dimenticare il passato. Le radici del sublime stanno dentro l’uomo. La convinzione circa la possibilità di una liberazione, o allargamento delle facoltà conoscitive, sulla base di esperienze di tipo estetico, si consoliderà più avanti attraverso il pensiero di vari filosofi: Baumgarten, Vico, Kant, Schelling, Schopenhauer, Hegel, Croce ecc (Di Benedetto, 1993b).

[xi] Rifacendosi alla linguistica saussuriana, Lacan indica come il soggetto si costituisca a partire da un ordine ‘significante’, essendo il significante ciò che non si riduce al senso, al significato; così come la soggettività non si riduce all’autocoscienza.

[xii] In questo senso la psicoanalisi dell’arte si emancipa dai vecchi nodi dell’interpretazione che si attestava su: a) l’analisi dell’opera per psicoanalizzare l’autore; b) l’opera come autonomo soggetto psicoanalitico; c) i contenuti dell’opera come replica di complessi universali (edipo, castrazione…).

[xiii] «L’arte -dice Kris- non si sviluppa in uno spazio vuoto, nessun artista è indipendente dai suoi predecessori e dai suoi modelli, egli è parte di una particolare tradizione e lavora in un ambito problematico già strutturato. La psicoanalisi ha contribuito scarsamente a una comprensione dell’arte. Ciò che la psicoanalisi avrà da offrirci dipenderà probabilmente dalla nostra capacità di analizzare i fenomeni dello stile, in base ai processi di liberazione che essi inducono nell’artista e nel pubblico, si tratterà quindi di adeguare le tecniche d’indagine secondo lo strumento dell’espressione artistica esaminata, stabilendo un principio di relazione tra forma e contenuto» (1967, p.14).

[xiv] Philippson in Outline of a Junghian Aesthetics, spiega che il processo creativo si verifica in due modi: quello psicologico e quello visionario. Nella modalità psicologica il contenuto del prodotto creativo è tratto dalla coscienza, e non trascende mai i limiti del comprensibile, toccando la vita emotiva in senso cosciente, il materiale prodotto dipende da uno scopo finalistico; mentre nella modalità visionaria, il contenuto non nasce dalle esperienze di vita, ma ha un’origine più profonda nell’inconscio collettivo. Nella modalità visionaria la persona creativa sta in una posizione più passiva (in Arieti, 1990, p 28)

[xv] «Anche nelle persone “normali” è presente il complesso autonomo, esso però non è un fenomeno di per sé morboso; solo se appare troppo frequentemente crea la sofferenza e la malattia» (Jung,1988, p.42)

 

 

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