Un mare sonoro nel quale buttarsi

Musicoterapia e Giovani diversamente abili – Lamezia Terme (Cz) 2010

Francesca Prestia

 

 

A cosa serve fare Musicoterapia ad un giovane down o diversamente abile che ha superato i 25 anni, ha concluso il percorso scolastico, vive amato ed affiancato dai suoi familiari e gode di un assegno mensile che gli garantisce il soddisfacimento dei suoi bisogni essenziali?

Non sarà certo la musicoterapia a migliorare la sua condizione psico-fisica; non sarà certo quell’incontro settimanale a cambiargli la vita!

Sono questi pensieri che a volte leggo sul volto delle persone alle quali comunico l’esercizio della mia professione di Mt; ma non è quello che leggo sul volto dei genitori che guardo durante gli incontri programmatici, intermedi e di verifica. I loro volti hanno un’altra espressione, carica di speranza e di gratitudine; le loro parole palesano pensieri ricchi di fiducia nel futuro. Non intravedo scoramento e sfiducia, ma tenacia nell’impegno quotidiano e desiderio di cogliere ogni opportunità offerta dalla vita, già a partire dall’oggi, senza preoccuparsi eccessivamente del domani.

Non so perché ma spesso nella mia mente riaffiora, in queste situazioni, quell’insegnamento evangelico che ci invita a guardare gli uccelli che vivono spensierati in libertà nel cielo, ad ammirare i fiori di campo in tutta la loro semplicità e bellezza raccomandandoci di non preoccuparci per il domani.

 

“ …Dunque non state troppo a preoccuparvi per il domani: ci pensa lui, il domani, a portare altre pene. Per ogni giorno basta la sua pena”. Matteo 6,34

 

Tali parole hanno reso per me più comprensibile l’atteggiamento positivo, l’espressione fiduciosa del volto di queste persone che hanno ricevuto dalla Vita un carico particolarmente pesante.

Ma la conferma che un percorso di Mt sia veramente utile e significativo nella vita di una persona la trovo sicuramente sul volto soddisfatto e sorridente dei giovani che animano il laboratorio. Giovani che attraverso il mondo dei suoni e della musica hanno l’opportunità di vivere un’esperienza unica e indimenticabile.

Vi spiego subito perché “oso” usare questi due aggettivi: nel tempo ho avuto modo di raccogliere le esternazioni degli utenti dei laboratori e queste parole, frequentemente, le hanno usate per descrivere i loro vissuti interiori. A conferma di ciò, è stata la ri-iscrizione al laboratorio di Mt , del quale intendo parlarvi, di due ragazze ventenni che, già un decennio prima, erano state mie “pazienti” in un percorso di Mt rivolto ad un gruppo di bambini/e. Nel primo incontro programmatico, i genitori e le ragazze hanno manifestato a tutti i partecipanti il loro apprezzamento per l’iniziativa vissuta negli anni addietro sottolineando i benefici apportati alla loro vita.

A questo punto ho sentito il dovere professionale di fermarmi a riflettere meglio e in maniera più approfondita su ciò che era avvenuto durante il processo terapeutico; ho così ripreso in mano il libro dei protocolli, li ho riletti, ho rivisto i video delle sedute ed ho fissato quelli che, secondo me, sono da considerarsi gli “elementi” caratterizzanti di questo percorso musicoterapico.

 

DESCRIZIONE PROGETTO

Il progetto è stato promosso dall’Associazione Musicale S. Cecilia di Lamezia Terme (Cz) e finanziato dall’Amministrazione Comunale di Lamezia Terme. E’ stato un progetto rivolto a giovani diversamente abili risiedenti nel territorio comunale, ed ha visto la collaborazione tra l’Associazione e gli enti territoriali operanti nel Comune lametino. I giovani coinvolti nel progetto sono stati quattro (tre femmine ed un maschio), tutti diversamente abili. La loro individuazione è avvenuta tramite i servizi e gli enti religiosi territoriali.

Nella fase iniziale del progetto sono stati organizzati una serie di incontri tra il responsabile legale dell’Associazione, me, in qualità di musicoterapista responsabile, il co-musicoterapista, gli operatori territoriali ed i genitori dei giovani da coinvolgere. Durante questi incontri sono state illustrate le finalità del progetto ed i tempi di attuazione. Sono state accolte le istanze dei genitori e dei giovani e sono state raccolte le informazioni indispensabili per una corretta anamnesi sonoro-musicale iniziale. Dopo questi incontri conoscitivo-programmatici è iniziato il percorso musicoterapico con il gruppo. Il percorso ha previsto un incontro a cadenza settimanale della durata di un’ora e mezza dal mese di gennaio al mese di maggio. Alcuni di loro hanno usufruito del trasporto gratuito comunale, che li ha regolarmente accompagnati ogni settimana presso la sede dell’Associazione, nella quale è stato allestito il laboratorio di musicoterapia.

All’interno del laboratorio, il G.O.S. (Gruppo Operativo Strumentale) era composto da un folto numero di strumenti musicali:

  • Xilofono basso,
  • Xilofono medio,
  • Xilofono alto,
  • Metallofono medio,
  • Metallofono alto,
  • Glockenspiels,
  • Congas,
  • una coppia di timpani,
  • strumentini idiofoni di vario tipo,
  • pianoforte elettrico,
  • impianto stereo.

Ogni incontro è stato scandito dai seguenti momenti:

  • Accoglienza;
  • Momento catartico;
  • Momento d’improvvisazione sonoro-musicale a tema;
  • Momento d’improvvisazione sonoro-musicale libera di gruppo, di coppia e/o individuale;
  • Verbalizzazione orale dell’esperienza vissuta;

 

MOMENTO CATARTICO

Subito dopo il momento dedicato all’accoglienza, ogni seduta è stata caratterizzata da un comune “incipit”, quello della catarsi. Tutti e quattro i giovani sentivano la necessità di esprimersi musicalmente in modo caotico, disordinato, indifferente agli altri, particolarmente concentrato su di sé e sulla propria produzione sonora. Le loro posture comunicavano un voler stare rinchiusi in sé stessi, con gli occhi rivolti sul proprio strumento e sulle proprie mani. Iniziava così un momento di esplorazione e ricerca, di libertà espressiva; avevo l’impressione che ciascuno di loro volesse girovagare nel mare sonoro senza meta, senza intenti formali, solo per assaporare il piacere di “giocare” con lo strumento scelto.

“… è solo mentre gioca che il bambino o l’adulto è libero di essere creativo.

Se il terapeuta non è in grado di giocare allora non è adatto al lavoro. Se il paziente non è in grado di giocare, allora c’è bisogno di fare qualcosa per mettere il paziente in condizioni di diventare capace di giocare, dopo di ché la terapia può cominciare.” (W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore 1993, pp101-102)

 

ESPRESSIONE ED IMPROVVISAZIONE STRUMENTALE (individuale e di coppia)

Spesso ero io a dovere porre fine al momento catartico, con un cenno della mano o con la voce. Seguiva un mio invito a “lavorare” su espressioni sonoro-musicali più consapevoli. A volte qualcuno proponeva di improvvisare solo con il proprio strumento, altre volte portavano da casa un brano, da loro molto amato, da utilizzare come tappeto sonoro per l’improvvisazione.

Durante il momento espressivo individuale e/o di coppia, che durava solitamente 4 minuti circa, il resto del gruppo restava in attento ascolto; a conclusione, quasi sempre palesava l’apprezzamento e sanciva la fine dell’evento con un forte applauso. Ho avuto l’impressione che il loro battere le mani volesse dar prova dell’attenzione che avevano gli uni per gli altri, volesse essere segno sonoro della “compartecipazione empatica” vissuta dal gruppo durante l’improvvisazione.

L’alternanza di questi momenti di ascolto e di produzione personale, penso che abbiano promosso il nascere ed il consolidarsi del senso di gruppo. Gruppo, entro il quale, ciascuno e ciascuna sentivano riconosciuto il proprio esserci, nel proprio spazio, nel proprio tempo, nella voce del proprio strumento; sentiva riconosciuto il diritto all’ascolto e alla considerazione. Lui, lei, giovane diversamente abile, spesso ritenuto/a inutile ed ingombrante, attraverso il mondo dei suoni, sentiva di riacquistare valore e senso, sentiva di vivere insieme ad altri l’importanza ed il piacere di essere vivo/a. Il gruppo diveniva per tutti, seduta dopo seduta, un terreno comune dove gli accadimenti potevano “avvenire” (aver luogo), diveniva un “contenitore” in cui ciascuno/a poteva versare il proprio contributo condividendolo con gli altri.

I gruppi di lavoro, centrati su un compito, sono caratterizzati da un alto grado di cooperazione, dalla capacità di assumersi responsabilmente regole e di rispettarle, da un grado elevato di identificazione di tipo introiettivo; quindi da una capacità di pensare, contrapposta all’agire, e dallo sviluppo dei simboli. (Pierluigi Postacchini, Presentazione a Analisi di gruppo e musicoterapia di Edith Lecourt, Cittadella Editrice Assisi, 1996)

Interessanti diventavano poi i momenti nei quali l’improvvisazione e l’espressione era di coppia; quando a turno decidevano quale strumento o strumenti usare per il loro tempo/spazio espressivo-comunicativo.

Rivedendo i video, mi accorgo che non per tutti l’esperienza ha avuto la stessa valenza; in alcune coppie si intravede un primo momento esplorativo nel quale ciascuno è concentrato su di sé, un secondo momento di ricerca e di incontro con l’altro fatto di sguardi, sorrisi e suoni che si incastrano. Così G. e S. seduti davanti alla tastiera, uno vicino all’altra muovere le dita, le mani avvicinandosi ed allontanandosi premere i tasti insieme, ora delicatamente come fosse uno scambio di carezze sonore, ora con energia, ritmo e corposità sonora come fosse un giocoso dialogo. Una meraviglia per me vederli ed ascoltarli, assistere ad un “miracoloso incontro di due individui” che come per incanto sperimentano la percezione del Bello rinchiuso dentro di sé.

E’ con l’unicità che ha inizio la possibilità della bellezza. L’essere vivente non è più un automa tra altri automi, né un mero volto in mezzo ad altri volti. L’unicità trasforma ogni essere in presenza, che, proprio come un albero o un fiore, non smette mai di tendere, attraverso il tempo, verso la pienezza della propria fioritura, che è la definizione stessa della bellezza. (François Cheng, Cinque meditazioni sulla bellezza, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2006)

Così alla fine dell’improvvisazione, per entrambi, e di riflesso anche per il gruppo, rimaneva una sensazione di appagamento e soddisfazione interiore, a parole indefinibile.

Ogni esperienza di bellezza, così breve nel tempo pur trascendendo il tempo stesso, ci restituisce così ogni volta la freschezza dell’alba del mondo. (François Cheng, ibidem)

In alcune improvvisazioni, però, l’incanto non è avvenuto; per tutti e quattro i minuti la coppia ha suonato ognuno per sé, non cercandosi e non trovandosi; solo l’intervento e la guida del Mt ha per qualche frammento di tempo, promosso l’incontro e un minimo di dialogo. Di seduta in seduta, comunque, ognuno ha compiuto un piccolo passo in avanti, sviluppando le capacità attentive e d’ascolto, aumentandone i tempi, molto spesso ridotti e labili a causa delle loro patologie.

Il piacere vissuto ha sempre rinforzato la motivazione all’impegno e alla partecipazione; l’esperienza ha stimolato, coinvolto, sollecitato l’intera persona verso un cambiamento ed un’evoluzione positiva.

 

ESPRESSIONE ED IMPROVVISAZIONE STRUMENTALE DI GRUPPO

Questo percorso di crescita è apparso più palesemente nelle improvvisazioni di gruppo.

Inizialmente ognuno sceglieva il proprio strumento, che per varie sedute non è stato sempre lo stesso.

  1. ad esempio, ha scelto sempre la tastiera.
  2. ha fatto ricadere la sua scelta sulle congas quando voleva esprimersi singolarmente ed in gruppo, la tastiera quando suonava in coppia.
  3. ha eletto il timpano come strumento preferito e solo nel lavoro di coppia si è spostata sul pianoforte elettrico.
  4. pur essendo dotata di maggiori capacità cognitive, è stata quella che meno è riuscita ad allargare i suoi spazi di libertà espressiva, rimanendo bloccata sullo scegliere sempre lo xilofono basso come strumento musicale.

Le improvvisazioni iniziali di gruppo erano caotiche; io ed il co-musicoterapista cercavamo, con molta delicatezza e rispetto, di promuovere gli incontri, i dialoghi ed i giochi ritmico/sonori. A volte i giovani proponevano brani da loro prescelti, che fungevano da tappeti sonori sopra i quali suonare, riempivano i silenzi imbarazzanti, erano da stimolo alle loro improvvisazioni.

L’ascolto e l’improvvisazione di tipo regressivo non sono facilmente accessibili ad un codice di tipo interpretativo e, per dirla come Roland Barthes, non sono finalizzati né al plaisir, né alla jouissance, ma semplicemente condizionati dall’angoscia e dall’orrore del vuoto, da un assoluto bisogno di staticità e di stereotipizzazione delle condotte e dei pensieri, in assenza di qualunque processo mentale e affettivo. (Pierluigi Postacchini, ibidem)

 

Poi, gradatamente, alla conclusione del brano preregistrato, il gruppo non si è fermato, ha continuato a suonare, superando la “paura” del silenzio, dell’essere da soli con i loro suoni, di essere loro gli unici protagonisti ed artefici del “prodotto sonoro”.

Sembrava che il gruppo avesse fatto un salto verso un “ignoto” tutto da scoprire e da riempire, a proprio piacimento, secondo i propri gusti, le proprie capacità e il proprio volere.

Così ci sono state sedute caratterizzate da improvvisazioni catartiche, con suoni e ritmi assordanti, altre ricche di ritmi giocosi ed allegri; altre delicate e soft. Man mano che si procedeva, il gruppo era sempre più consapevole dei propri suoni, era sempre più attento all’altro da Sé senza perdere di vista il proprio sentire; aveva voglia di ricercare e giocare con i suoni assaporando sempre più spesso la “bellezza dell’incontro” con l’altro.

Il suono, la musica concretizzano il funzionamento gruppale ed inoltre permettono allo stesso di acquisire una forma ed un senso potendo agevolare, in questa direzione, l’elaborazione delle differenze, in un percorso che dall’omogeneità sonora si porta alla disomogeneità propria del musicale.

… Improvvisare vuol dire dare voce alla propria interiorità.

… L’improvvisazione, se collettiva, necessita di un rapporto con l’altro; si attuano così processi introiettivi e proiettivi, si crea al proprio interno uno spazio d’ascolto dove la nostra musica s’incontra e dialoga con la musica altrui.

… Ecco quindi che la consegna d’improvvisare connota il lavoro di gruppo di alcuni aspetti; vi è l’invito ad esprimersi liberamente e vi è altresì l’invito a fare attenzione alle differenze, vale a dire agli altri. (Gerardo Manarolo, Introduzione a Analisi di gruppo e musicoterapia di Edith Lecourt)

 

IMPROVVISAZIONE/CREAZIONE FINALE

Per me musicoterapista non è sufficiente usare le parole per spiegare e comunicare il punto di arrivo di un processo musicoterapico, è necessario e dovuto l’utilizzo del lessico musicale. Quindi, nel valutare una “creazione/improvvisazione sonoro-musicale”, ho l’obbligo di fare riferimento ai parametri propriamente musicali, prendendone in esame, perciò, anche gli aspetti ritmici, dinamici, timbrici, melodici ed armonici.

Per esiguità di tempo e di spazio, mi soffermerò ad analizzare più dettagliatamente solo l’ultima improvvisazione/creazione, che rispetto a quella iniziale connotata dal “caos”, dal “disordine”, dalla “ricerca appena iniziata”, ci permetterà di capire quali punti di riferimento sonori sono stati conquistati e scelti e quale sviluppo nella capacità di organizzazione formale è stato raggiunto dai singoli e dal gruppo.

Questa improvvisazione ha avuto la durata di 15 minuti ed ha visto coinvolti me al rullante ed il co-musicoterapista alle congas. S. ha scelto il timpano; A. il timpano; G. l’organo elettrico; M. il metallofono.

Disposti in cerchio abbiamo dato inizio all’evento. Dopo un iniziale momento di esplorazione personale, che considererei l’ouverture della creazione, abbiamo iniziato a cercarci con gli sguardi e con i suoni; abbiamo riflettuto nei silenzi su ciò che volevamo ancora cercare e/o produrre; abbiamo dato vita a “masse sonore” in pp, a crescendi, a ff, a pause e pronte riprese. L’interazione ed il dialogo sono stati costanti e soddisfacenti.

 

Questi sono i tre temi che penso abbiano caratterizzato l’evoluzione dell’evento sonoro-musicale vissuto:

Tema A: Maestoso

Tema B: Marcia

Tema C: Allegro impetuoso

  1. con il suo organo elettrico ha prodotto i cluster acuti e gravi, caratterizzando l’atmosfera sonora.

Gli altri strumenti, in una sintonia fatta di sguardi e di ascolto, hanno determinato l’andamento ritmico.

Nel “Maestoso” i cluster prodotti dalle mani di G., aperte e pressanti sui tasti, hanno creato una sorta di massa sonora che ha invaso tutto lo spazio del setting. In questa massa il gruppo ha scandito il tempo, assaporando il piacere della cooperazione in questo intento comune.

Nella “Marcia” anche G. con il suo organo si è unito al gruppo assumendo anche lui un carattere ritmico. L’organo è diventato anch’esso uno strumento ritmico/percussivo e parte integrante del gruppo che sembrava “virtualmente” marciare con la stessa andatura.

Nell’”Allegro impetuoso” tutti riversi sui timpani, rullante, metallofono e congas abbiamo incalzato con forti e rapidi battiti di scarica energetica che palesava la gioia di esserci.

Questa creazione/improvvisazione, ascoltandola bene, manca però di una specifica armonia e melodia.

Ciò ho ipotizzato che possa essere riconducibile alle ridotte capacità cognitive di ciascun componente del gruppo. Lo sviluppo intellettivo di ciascuno/a mi è sembrato fosse giunto pressoché al livello senso motorio. Ho osservato che, a livello pratico, avevano acquisito le nozioni riguardanti gli oggetti/strumenti musicali:

  • Oggetto/strumento musicale: il materiale col quale era realizzato lo strumento, le caratteristiche timbriche, le potenzialità sonore;
  • Spazio: la forma e le dimensioni spaziali dello strumento, la gestione della propria kinesfera in relazione con esso, lo spazio necessario per suonarlo, lo spazio necessario per suonare con gli altri strumenti del gruppo;
  • Movimento: i movimenti necessari per farlo suonare, quali caratteristiche doveva avere il movimento del proprio corpo, delle braccia e delle mani per ottenere un particolare suono;
  • Causa: a seguito di un gesto lo strumento iniziava a vibrare;
  • Tempo: ogni suono ha un tempo tutto da organizzare.

Durante gli incontri di musicoterapia, attraverso le improvvisazioni e le sperimentazioni individuali e di gruppo, a mio parere, è avvenuta una progressiva trasformazione della loro intelligenza.

Operando concretamente con i suoni ed i rumori emessi dai loro strumenti:

  • hanno maturato la capacità di scegliere timbri, altezze, ritmi ed intensità;
  • hanno organizzato, sia individualmente sia nel gruppo, sequenze ritmiche lente e veloci gestendo il tempo a loro piacimento ed interagendo con il gruppo (hanno però sempre utilizzato il “semplice ed elementare” ritmo binario);
  • hanno scelto quando far crescere l’intensità del suono, farlo decrescere e/o farlo tacere.

Non sono però giunti ad elaborare una frase melodica, seppur semplice, né utilizzando gli strumenti né usando la voce.

La comprensione e l’utilizzo del sistema tonale mette in gioco facoltà complesse come la percezione, l’intelligenza, la memoria;, implica una gerarchizzazione dei dati percettivi e la loro strutturazione nel tempo …. La produzione e la riproduzione di una melodia richiede una percezione corretta delle altezze (curva melodica e intervalli precisi), la formazione di immagini uditive sufficientemente forti e stabili da poter guidare l’orecchio/mano e l’orecchio/ voce. (Johannella Tafuri, Domande della pedagogia musicale alla psicologia in “La Psicologia della Musica in Europa e in Italia”, Ed. CLUEB Bologna, 1985)

 

RIFLESSIONI FINALI

Il loro “prodotto” non è stato certamente un’opera d’arte musicale! Ma è stato il loro prodotto! Il prodotto che le loro capacità e potenzialità gli consentivano di creare.

Le aree cognitiva, relazionale, espressiva, sensoriale, motoria e neuropsicologica erano state stimolate dal mondo dei suoni; le esperienze sonoro-musicali avevano arricchito il loro bagaglio e le loro conoscenze; la memoria, l’attenzione, l’organizzazione spazio-temporale avevano avuto modo di svilupparsi ulteriormente; le relazioni positive nate attraverso la musica avevano migliorato l’immagine di sé e li avevano motivati all’apertura e all’incontro con l’altro.

E’ in questi obiettivi raggiunti che trovo il senso del mio agire in qualità di musicoterapista.

E’ qui che comprendo quanto la Musica possa essere compagna di viaggio dell’essere umano; sia esso normodotato, sia esso in difficoltà. Comprendo quanto la Musica possa essere di aiuto a quelle persone che faticano a percepirsi, ad amarsi, a vivere, ad interagire con la realtà esterna, ad auto-realizzarsi, a dare un senso al proprio esserci.

Ciò, credo sia avvenuto in questo percorso di musicoterapia. Prova ne sono stati i loro sorrisi, i loro abbracci, le loro semplici verbalizzazioni orali e scritte, le loro improvvisazioni individuali, di coppia e di gruppo.

Via, dunque, i dubbi e le perplessità sulla valenza di un percorso di musicoterapia.

Con serietà, professionalità, desiderio d’approfondimento e ricerca, costante disponibilità al confronto e alla verifica continuerò il mio operato.

 

 

DOTT.SSA FRANCESCA PRESTIA, Laurea in Lettere e Filosofia – DAMS Musica, flautista, compositrice, cantante e musico-terapista. Docente e coordinatrice didattica della Scuola Triennale di Muscioterapia “Santa Cecilia” di Lamezia Terme (Cz) aderente alla Confiam (Confederazione Italiana Associazioni e Scuola di Musicoterapia). Iscritta AIM (Associazione Italiana Musicoterapisti)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Redazione NuoveArtiTerapie
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