04 Apr Verso il cammino finale: il valore della musicoterapia con il malato terminale

Tisbe Trabalza – “Raggio impietoso”
Da “Le artiterapie per la qualità della vita”, a cura di G. Nataloni,
Unità sanitaria Locale 2 Umbria, AUCC, Perugia 2008
Silvia Ragni
“L’arte è un’attività umana il cui fine consiste nel trasmettere agli altri
i sentimenti più alti e migliori ai quali gli uomini si siano elevati”.
Lev Tolstoj
Questa citazione, bellissima, può risultare celebrativa e altisonante, suscettibile di qualche perplessità . Può essere invece fortemente incoraggiante , quando si lavora con il malato terminale e ci si confronta costantemente con il limite estremo della vita: quello del morire.
Musicoterapia e cure palliative
“La Cure palliative sono un tipo di terapia, non necessariamente farmacologica, che ha come obiettivo la cura globale della persona malata in fase terminale e della sua famiglia secondo un approccio medico, volto a ridurre la severità dei sintomi, ma anche psicologico, sociale e spirituale.”
Questa definizione apre uno scenario di interventi possibili estremamente ampio e variegato. Continua la definizione: “Ogni paziente inguaribile è curabile. Pallium significa mantello. E palliativo richiama l’idea di avvolgere, riscaldare, contenere, donare, con riferimento ai bisogni della persona fragile”.
Le arti terapie, la musicoterapia nello specifico, per la peculiarità della mediazione che utilizzano, possono essere chiamate in causa in questo ambito.
Questo articolo vuol essere una riflessione condivisa rispetto all’applicazione della musicoterapia in cure palliative, in particolare nel’ hospice ( centro residenziale di cure palliative) e prende spunto da un recente convegno tenutosi a Roma proprio su quest’ambito (1).
La Musicoterapia è una disciplina relativamente recente in Italia: la sua applicazione risale agli ultimi 20 anni e nell’ambito delle cure palliative è presente da circa dieci.

Rita Luciani “Ritratto di donna”
Olio su tela, 40 x 55, 2008
Da “Le artiterapie per la qualità della vita”, a cura di G. Nataloni,
Unità sanitaria Locale 2 Umbria, AUCC, Perugia
Negli hospice la presenza del musicoterapista può arricchire l’equipe, per operare in un’ottica multidisciplinare e garantire un piano di intervento il più possibile personalizzato.
Cosa e come la musicoterapia può apportare alla persona in fin di vita? E come vive il musicoterapia questo lavoro così delicato?
Uno sguardo alla letteratura scientifica ci dice che in tutto il mondo, con metodologie differenti, si sta facendo sperimentazione… In Giappone uno studio alla Sapporo University (2) misura il livello di cortisolo salivare, (che è ampiamente usato per misurare il livello di stress come indicatore obiettivo e fisico), prima e dopo sedute di musicoterapia. Lo studio dimostra che dopo l’ascolto della musica il livello del cortisolo si è abbassato e da un questionario autosoministrato, i pazienti riportano un vissuto di sollievo e maggior serenità.
Dall’università di Chicago: (3) “Un uomo di mezza età con cancro ai pomoni respira più facilmente e riduce il bisogno di cure mediche dopo aver partecipato a un terapia di rilassamento a base di musica. Un bambino di 8 anni affetto da cancro scrive canzoni e registra un cd per la sua famiglia, una donna anziana negli stadi finali della malattia di Alzheimer che non è più in grado di parlare, canta alcune parole della sua ninna nanna preferita alla figlia adulta, una nonna molto amata muore in pace mentre la sua famiglia le canta gli spirituals da lei preferiti accompagnata dall’ arpa celtica della musicoterapista.”
Ancora risultati incoraggianti. Un po’ di meno quelli di uno studio comparato di Philadelphia (4) in cui il confronto di 5 studi su 175 soggetti non porta a risultati
statistici significativi e pone il limite della non oggettività del metodo.
Ma si può essere oggettivi a contatto con il morente e la sua unica, irripetibile esperienza? Sempre di più nei dibattiti scientifici si sottolinea ormai l’importanza di affiancare alla EBM (medicina basata sull’evidenza), la necessità di una medicina narrativa (5) che tenga conto della storia personale del paziente della sua soggettività e dell’importanza di risultati qualitativi, oltre che quantitativi, dall’applicazione di metodologie non farmacologiche.
È in questo modo che la musicoterapia e l’arteterapia possono giocare un ruolo fondamentale nell’approccio alla malattia e nella relazione con il paziente. Se diamo valore alla qualità dell’esperienza, anche individuale, e non inseguiamo numeri , possiamo contribuire alla qualità della vita di persone che non hanno più la possibilità di ricercarla da soli. Non rinunciamo ad una metodologia rigorosa e a un affinamento delle tecniche, ma valorizziamo tutte le sfumature e gli aspetti che un intervento a mediazione artistica può dare al malato.
Lo specifico della musica
Ogni persona ha propria musicalità innata.
Il suono e la musica sono elementi dell’esperienza umana con i quali veniamo a contatto sin da prima della nascita e impariamo a conoscere il mondo e ad esprimerci prima di imparare a parlare. La peculiarità della musica è la comunicazione non verbale, e questo aspetto la accomuna al mondo espressivo delle emozioni. La musica risveglia il corpo, evoca ricordi, sensazioni.
È cultura e identità, liberazione e consolazione; come il sogno può portarci in un altro stato di coscienza ed accedere ad una dimensione spirituale. È un linguaggio universale che accedendo a livelli profondi e inconsapevoli, bypassa il livello cognitivo e il controllo del pensiero razionale. Gli studi di neuroscienze e musica, sempre più puntuali grazie anche alla neuroimaging, confermano quelle che un tempo sembravano solo impressioni o romantiche deduzioni. Da un articolo di Roberts (6): “La musica, dall’esterno stimola processi endogeni di rilassamento e riduzione del dolore, nonché di guarigione.
Esistono inoltre anche prove neuro scientifiche e cognitive che evidenziano gli effetti positivi prodotti dalla musica, quali:
1) la musica distrae, ossia dis-verte,
2) la musica determina una inibizione endogena del dolore,
3) la musica promuove il rilascio di endorfine nel corpo che agiscono contro il dolore;
4) la musica lenta produce un rilassamento e una sensazione diffusa di controllare il dolore.
Un’altra spiegazione di carattere più specificatamente fisica e musicale, in un articolo di Bertinotti sostiene l’importanza del suono( 6): “I benefici effetti della musica si trasmettono secondo il principio di sincronizzazione armonica (entrainment), che dalla fisica delle onde si ritrova in numerosi altri fenomeni naturali. Secondo questo principio, due corpi che producono oscillazioni tendono ad accomodarsi in fase. La musica fa risuonare e induce ad una sincronizzazione reciproca dei ritmi, ad esempio respiratori, di coloro che assieme l’ascoltano, oppure la eseguono.”
Questi aspetti sono validi in qualsiasi situazione, ma quanto mai preziosi nelle malattie terminali dove la riduzione del dolore è uno degli obiettivi principali degli interventi.
Fatte queste premesse, vediamo ora più da vicino il contesto al quale ci riferiamo.
Chi è il nostro paziente e quali sono i suoi bisogni: il valore della dignità
È una persona che capisce o intuisce che la guarigione non è possibile, che la morte può essere imminente. Si confronta in modo più meno consapevole con un se stesso malato e fragile, affidato alla cura di altri e dipendente progressivamente anche per le funzioni più elementari. Sente un corpo in disfacimento e un’identità che va in frantumi. Il vissuto che emerge passa varie fasi, dalla negazione alla rabbia.
Quando le condizioni sono terminali può subentrare una diminuzione di intensità delle emozioni (stato monocromatico), depressione (o meglio tristezza fisiologica), l’abbandono della lotta e il ritiro come difesa. La paura più grande è quella dell’essere lasciati soli a morire , come riportano scritti o testimonianze.
Studi recenti in cure palliative evidenziano come tra le motivazioni alla richiesta di morte anticipata, ci siano: la sofferenza senza speranza di cura, l’assenza di ogni prospettiva di recupero e la perdita di dignità.
“Nei momenti finali della vita ci si avvicina a ciò che è veramente essenziale: le relazioni, gli affetti, gli aspetti spirituali dell’esistenza” (7).
“In punto di morte gli esseri umani tendono a fare un bilancio della propria esistenza: se il bilancio è attivo, se nella vita ha prevalso l’amore, la morte sarà serena. Chi muore male lascia in eredità a parenti, amici, conoscenti un senso di disperazione e fallimento. Chi muore in pace, lascia a chi rimane un senso di serenità e fiducia, e fornisce ai presenti un dono prezioso: li aiuta a superare la paura più grande, quella della fine della vita. (…) Toglie loro un peso, li rende più leggeri. E’ un esempio di luce che li
accompagnerà nei momenti più scuri” (8).
Alla luce di tutto questo, il ‘pallium’ di cui parlavamo all’inizio può offrirsi come spazio protetto e privilegiato per le persone che devono affrontare il limite estremo della vita per trovare risposte ai loro bisogni.
Perché la mediazione artistica
La possibilità di utilizzare un linguaggio non verbale come quello musicale permette al malato di dare voce, suono, al dolore, al corpo dolente, all’anima ferita senza utilizzare la parola che in molti casi non si può o non si vuole usare.
Perchè si può essere poco abituati a farlo, perchè non è detto che sia il canale privilegiato, perchè si può tendere al intellettualizzare e a difendersi con le parole, si può essere di un’altra lingua, cosa sempre più comune nei nostri ospedali.
La mediazione artistica, legata al fare e non al pensare, occupa diversamente la mente e impegna i sensi, il corpo, lo spirito. La persona attraverso la suggestione dei suoni ascoltati o improvvisati insieme al musicoterapista, si disidentifica dal suo essere malato, per rientrare in contatto con il sè integro che ancora è. Lo stato di coscienza si allarga e l’esperienza individuale e del momento può essere ascritta in una più ampia, universale, transpersonale.
Tasselli della propria vita possono andare a posto, una sofferenza finalmente espressa e ascoltata può maturare nuove consapevolezze e portare pace interiore.
La narrazione di sè in modo simbolico, la consolazione e il nutrimento che può portare una música, il riconoscere e rispettare la coesistenza di emozioni opposte o contrastanti, restituiscono senso e valore di sè. Anche nelle condizioni di massima fragilità, il suono e la musica posso arrivare a costituire un ponte, una distanza da abitare e riscaldare tra parti interne della persona e il musicoterapista, posto in un atteggiamento di autentica condivisione.

Michela Aglini “L’esperienza del dolore”Foto, lana e cotone su iuta, 110 x 70 cm,
Da “Le artiterapie per la qualità della vita”, a cura di G. Nataloni,
Unità sanitaria Locale 2 Umbria, AUCC, Perugia 2008
Il setting: le parti in relazione
Il setting di musicoterapia in cure palliative va dal musicoterapista centrato in quello che sta facendo, che mette a disposizione il suo corpo, il suo intero sentire all’utilizzo di strumenti musicali, musica registrata. Il tempo della seduta è flessibile, da pochi minuti a un’ora, calibrata sui bisogni del paziente. Le sedute sono individuali, se le condizioni sono estreme, possono essere di gruppo quando c’è spazio per la condivisione.
In fasi così delicate ed estreme l’essenzialità diventa fondamentale.
Il respiro del paziente e il silenzio condiviso, una voce sussurrata, un canto o un massaggio sonoro sono strumenti che il musicoterapista mette in gioco. La complessità dello stimolo è lasciata scegliere al paziente. Tutto quello che il musicoterapista ha appreso in formazione è un bagaglio che deve confrontarsi con una realtà che lo costringe a rinunciare alla programmazione e ad affidarsi al sentire. Quale operatore? Che sappia applicare conoscenze tecniche, mediandole con la capacità di relazione: comprendere , accompagnare senza imporre,creando un contesto di alleanza, fiducia, accettazione. Prima di entrare nella stanza del paziente è necessario “spogliarsi”: delle proprie credenze, di quel narcisismo che chiede attenzione e affermazione. Si deve stare lì con lui e per lui, accettando ciò che arriva, senza giudizio.
La professionalità subentra quando il sentire ha indicato quale e come delle tecniche è utile per quella persona. E non c’è mai una volta che sia uguale all’altra. Perché l’alchimia dell’incontro creerà qualcosa che non c’era. L’apparente rinuncia a sé del musicoterapista permette la co-costruzione di qualcosa da cui se ne esce arricchiti entrambi.
È un processo che comporta anche un grande assorbimento di dolore, e dispendio di energia psichica, di blocco di quella fisica. È fondamentale per il terapista poter avere uno spazio proprio di ‘pulizia’ di ricarica e un cammino interiore che sostenga tale percorso.
Testimonianze
Di seguito esperienze in cui sono sperimentate diverse tecniche, dall’ascolto al rispecchiamento sonoro, all’improvvisazione, al songwriting.
La possibilità di scegliere canzoni o ascoltare musiche selezionate è utile soprattutto per quelle persone che si trovano in stato fisico di grave astenia o dispnea e non sono in grado di utilizzare piccoli strumenti se non per un breve tempo nella seduta.
La signora G. è una grande appassionata di canzoni italiane dagli anni ’60 ad oggi; ama cantare con me i ritornelli e le frasi che le tornano in mente, di volta in
volta differenti. Negli incontri successivi le porto le registrazioni e i testi di quanto cantato insieme e, ascoltando l’intera canzone, si stupisce di come le parole mettano in luce gli aspetti dolorosi della sua condizione: la separazione
e lontananza dai propri cari, la paura del futuro, la voglia e il coraggio di combattere ancora.
Durante l’ultima seduta di Mt, due giorni prima del decesso del signor C., la moglie chiede di poter ascoltare una canzone che definisce “dei nostri tempi”:
‘Io che amo solo te’.
Durante il brano, tiene la mano al marito, guardandolo fisso negli occhi, cantando per lui parole d’amore. Al termine, il signor C., con voce flebile e respiro affannoso, afferma: «I nostri nipoti sono testimonianza viva del nostro amore».
Insieme manifestano il bisogno di dirsi addio, con uno sguardo alla vita che continua nel futuro della propria famiglia, attraverso i nipoti.
“Musicoterapia in hospice. Comunicare quando non ci sono parole” (9)
“Nei primi incontri di musicoterapia l’obiettivo era quello di spezzare il flusso dei pensieri negativi per diminuire il livello di angoscia. Gli proponevo semplici ed efficaci tecniche di rilassamento ed ascolto di musiche preregistrate, che preparavo apposta per lui, in base ai suoi gusti musicali e alla sua sensibilità… In seguito cominciai a condurlo nel mio studio. Lo facevo sdraiare sul pianoforte e iniziavo a suonare ‘leggendo ’ il corpo di Paolo come uno spartito. Iniziavo osservando il rimo della sua respirazione, l’emozione che stava vivendo, la qualità energetica che riuscivo a percepire. Se era triste ricalcavo la sua tristezza, improvvisando musiche lente in tonalità minore, per poi lentamente condurlo verso zone più luminose, spazi liberi, a mano a mano che avveniva la trasformazione. Allora contattava le sue risorse interne e si riaccendeva in lui la vitalità.”
La musicoterapia nel passaggio luminoso (7)
- ha 10 anni, ha il papà ricoverato all’Hospice in condizioni terminali. Vuole dedicargli una canzone. È seguita dalla psicologa e si sta preparando alla fine imminente. Musicoterapista e psicologa si uniscono in un progetto comune per permettere alla bambina di realizzare la sua canzone: “Dedicato al mio re”.
“Entriamo in camera con strumenti alla mano. L. porta un piccolo registratore… Spiega al papà la sua intenzione e ci guarda come fossimo la sua orchestra. L. mi fa cenno di iniziare, come concordato: il bastone della pioggia, con il suo suono continuo, come di un mare lontano, chiude la comunicazione verbale dominante fino a quel momento. L. inizia ad intonare, si sofferma su alcuni punti più significativi per lei del testo, mentre canta chiede con il gesto delle mani gli interventi musicali alla sua orchestra: Il bracciale a sonagli della madre entra in certi punti, i campanelli della psicologa sottolineano il testo in altri punti. Oltre che cantare L. sfiora lo xilofono, che si pone più come oggetto intermediario che come reale supporto musicale. I sensi della bambina sono coinvolti interamente, il gruppo l’accompagna nel suo canto d’amore. Quando finisce è emozionata e sorridente, anche noi ci distendiamo. Io e la collega ci ritiriamo, lasciando la famiglia alla sua intimità.” (10)
SILVIA RAGNI
psicoterapeuta, musicoterapeuta, Roma
Bibliografia:
- 1 “Dal curare al prendersi cura”.Convegno regionale SICP Lazio (Società italiana di cure palliative), Roma gennaio 2010
- J Music Ther. 2009 Summer;46(2):160-72. A pilot study on effectiveness of music therapy in hospice in Japan. Nakayama H, Kikuta F, Takeda H. Sapporo Otani College, Japan
- Home Health Nurse. 2010 Jan;28(1):37-44. Introducing music therapy in hospice and palliative care: an overview of one hospice’s experience. Pawuk LG, Schumacher JE. Chicago, IL, USA.
- Music therapy for end-of-life care. Bradt J, Dileo C. ,The Arts and Quality of Life Research Center, Boyer College of Music and Dance, Temple University, Philadelphia, USA.
- 5. Bert G., Medicina narrativa. Storie e parole nella relazione di cura, Il Pensiero Scientifico Editore.
- Roberts S. 2002, Music therapy for chronic pain, in The Diabet Forecast,55 (9). 26-28). Home Health Nurse. 2010 Jan;28(1):37-44.
- Scardovelli M.,Ghiozzi R., La musica nel passaggio luminoso, Ed Borla 2003
- Yalom, I.D. (1989), Guarire d’amore, Rizzoli, Milano, 1990
- Baroni Mariagrazia “Musicoterapia in hospice. Comunicare quando non ci sono parole”, in La Rivista Italiana di Cure Palliative Numero 1 primavera 2009
- Ragni S. Barba I .Dedicato al mio re: il lutto familiare e il bambino, Nuoveartiterapie n. 7/ 2009 –Nuova Associazione europea Artiterapie, Roma
- 11 Nataloni G., Le arti terapie per la qualità della vita: percorsi espressivi in oncologia, USL 2 – AUCC, Perugia, 2008.
- http://www.sementera.com
- http://digilander.libero.it/apiart/AZUSL2-InvitoSeminarioAucc.pdf –
- http://healingphotoart.com/research.php – 29k