23 Gen Vi lascio un segno della mia esistenza
L’arte a sostegno del malato Alzheimer
di Chiara Salza
Ogni volta che mia madre, ormai anziana, non riesce a completare un cruciverba mi chiede aiuto affermando: “Tanto tu sai sempre dove andare a cercare la risposta se non la sai”!
La curiosità è una caratteristica che mi ha sempre contraddistinto e che ancora oggi, fedele compagna, non demorde e mi sostiene nella mia attività professionale…
Terminata, nel 1997, la Scuola di Formazione nelle Artiterapie, avevo molto chiaro che la strada da fare, per potermi considerare un’arteterapista, era ancora molta. Quello che poteva sembrare un limite della scuola si è rivelato, col tempo, essere un pregio: instillare in me la certezza di non essere mai arrivata, e spingermi sempre più in là.
E’ con questa predisposizione che nel 2003 vengo a conoscenza del CDT di Como (Centro Donatori del Tempo). Un’associazione che dal 1992 si occupa di sostenere il malato d’Alzheimer e i suoi familiari, comunicando informazioni sui loro diritti, sulla rete dei servizi offerti dal territorio comasco e organizza laboratori di stimolazione cognitiva attraverso diversi percorsi. L’arteterapia dal 2004 si affianca a queste iniziative e, attraverso il mio atelier, vengo a contatto per la prima volta con la realtà della malattia d’Alzheimer.
Poco tempo dopo aver iniziato a lavorare con quest’Associazione, mi sono resa conto che le mie conoscenze non erano sufficienti ad affrontare una patologia di questo calibro. Così ho iniziato a studiare l’Alzheimer sotto diversi punti di vista: quello strettamente medico – scientifico, quello della relazione con il malato, quello delle diverse possibilità d’intervento riabilitativo, rimanendone, così, affascinata.
Nello studio di questa malattia sono rimasta particolarmente colpita dal funzionamento della memoria, o meglio delle memorie e di come l’arte possa interagire con esse.
Partendo dalla definizione della malattia d’Alzheimer, è subito chiaro che il primo passo da fare sia quello di entrare nell’ottica che chi deve cambiare è la persona che sta accanto al malato e non quest’ultimo. “…La malattia d’Alzheimer è un processo degenerativo cerebrale che provoca un declino progressivo e globale delle capacità cognitive, associato a disturbi della personalità e della vita di relazione; progressivamente il malato perde l’autonomia nell’esecuzione degli atti quotidiani della vita e diventa completamente dipendente dagli altri..”1.
L’aspetto più evidente è la perdita di memoria. Agli inizi, ad essere colpita e a deteriorarsi è la memoria definita a breve termine (MBT).Essa è costituita da tutti quei sistemi che permettono di conservare l’informazione per il tempo necessario a compiere una determinata azione (esempio: tenere a mente un numero di telefono per il tempo utile a fare la telefonata). Una volta raggiunto lo scopo, l’informazione svanisce. In ogni essere umano è presente però anche un’altra memoria chiamata memoria a lungo termine (MLT) nella quale risiedono tutte le informazioni che nell’arco di un’intera vita ognuno di noi ha immagazzinato.
Le ricerche neuropsicologiche hanno dimostrato l’esistenza di due sistemi di memoria all’interno della MLT: la memoria esplicita e la memoria implicita. La prima, cosciente e verbalizzabile (memoria semantica), rappresenta l’autobiografia del soggetto (memoria episodica) e permette all’uomo di pianificare le sue azioni presenti e future (memoria prospettica). La seconda, memoria implicita, detta anche memoria procedurale o emotiva, è la più antica delle memorie in quanto è la prima a formarsi. Essa non è verbalizzabile e si può ricollegare al priming, cioè alla capacità di recuperare informazioni riguardo ad una tematica, se poco tempo prima è stato richiamato un elemento ad essa collegabile.
La memoria implicita comprende la memoria procedurale come sequenza automatica di comportamenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo e la memoria affettiva o emotiva che riguarda le emozioni provate nei primi due anni di vita o addirittura durante la vita fetale.
Nei primi 24 mesi il bambino vive esperienze affettive in relazione al rapporto con la madre. Esse possono essere di diversa intensità, positive o negative, caratterizzate da esperienze traumatiche o no. Tutte queste esperienze vissute, le difese o le fantasie a loro collegate, si depositano nella memoria implicita creando un nocciolo d’Inconscio che non sarà rimosso, condizionando il resto della vita futura. L’area predisposta alla memorizzazione di queste esperienze affettive-emozionali, in una fase della vita preverbale, è l’amigdala.
Riconosciuto che l’amigdala interviene nella memorizzazione e nella rielaborazione delle emozioni inerenti alla memoria implicita, l’ippocampo è invece l’area predisposta all’immagazzinamento della memoria esplicita. Nel malato d’Alzheimer a deteriorarsi è principalmente l’ippocampo, mentre l’amigdala resta pressoché intatta a lungo. E’ questa l’area cerebrale sulla quale può intervenire l’arteterapia.
L’amigdala ha un ruolo importante giacché, quando è iperstimolata o quando è inibita, cancella, in realtà, le memorie; o meglio, impedisce che si riformino. Le esperienze emotive primarie di cui ho parlato sopra possono essere riportate in superficie attraverso un linguaggio non verbale ben calibrato: il sogno, la musica, l’arte.
Lavorare con soggetti malati d’Alzheimer con l’arte ha lo scopo di proporre un trattamento non legato ad un processo di guarigione, ma finalizzato al benessere e al miglioramento dell’esistenza. Gli obiettivi riabilitativi sono molteplici. Prima di evidenziarli è necessario indicare a quale stadio della malattia avviene l’intervento. Agli esordi della malattia l’arteterapia ha fondamentalmente uno scopo di stimolazione cognitiva e di contenimento dell’eventuale depressione, che la diagnosi della malattia porta con sé. L’uso della materia incoraggia un’immagine positiva di sé attraverso il “fare”. Stimola e mantiene più a lungo le capacità mnemoniche, di programmazione, di pianificazione e d’astrazione. Fare arte sprona la persona a mettere in azione le competenze necessarie per organizzare il processo creativo. A volte devono essere trovate soluzioni strategiche per le problematiche sorte inaspettatamente, utilizzando percorsi non “canonici”.
Quando la persona malata è, invece, in una fase molto avanzata, l’arteterapia assume scopi differenti. Essa permette, attraverso il suo linguaggio iconografico, di far emergere esperienze emotive vissute nei primi anni di vita e depositate nella memoria implicita. Il raggiungimento di tale scopo crea benessere e attenua gli atteggiamenti comportamentali tipici di questo stadio della malattia.
Questo è reso possibile non solo dalla molteplicità del materiale proposto, ma anche dall’ambiente creato all’interno del setting, inteso come il luogo dell’incontro tra una o più persone attraverso il manufatto e il processo creativo per realizzarlo. Il corpo, le posture e i suoi movimenti nello spazio dell’atelier sono presi in carico non solo come portatore di malanni, ma come elemento della relazione, un ambiente fatto principalmente d’ascolto e d’abbandono ai bisogni del malato, dove la parole hanno un tono e un volume. Insomma, un ambiente dove tutto intercorre a ricreare situazioni che richiamino esperienze infantili primarie, come se la memoria per attivarsi avesse bisogno di un livello ottimale di stimolazione emotiva: né troppo intensa, né troppo leggera, altrimenti la traccia mnesica non può ricrearsi.
E’ facile domandarsi cosa accada in un atelier con malati Alzheimer in fase avanzata. Dai loro gesti, movimenti, tracce lasciate sul foglio o sulla creta, emerge con forza il messaggio: “Io ci sono, io ho qualcosa da dire”. Lo spazio del foglio non è più bianco, vuoto, muto. E’ spazio che raccoglie la traccia di un’esistenza. Il fare arte, con malati Alzheimer, rappresenta la possibilità di ricollegarsi all’area della memoria implicita dove risiedono i ricordi emotivi e aiutarli ad emergere attraverso un linguaggio iconografico particolare, potrei dire primordiale, fatto di linee, forme, colori che danzano e s’incontrano tra loro.
Negli atelier che conduco questo percorso è proposto a più persone contemporaneamente (mai più di quattro). Il lavoro è svolto intorno ad un tavolo, possibilmente rotondo, su cui è disposto il materiale: pastelli ad olio, matite, pennelli. Gli anziani sono invitati da me a sedersi al tavolo di lavoro. Nei soggetti affetti dal wandering (vagabondaggio afinalistico) la curiosità per ciò che sta accadendo presso quel tavolo, può spesso rallentare questa sintomatologia. L’inizio è scandito da un mio gesto o da quello spontaneo di un anziano. Non intervengo né do indicazioni particolari sull’esecuzione per non limitare la libertà espressiva, tranne quelle che devono garantire l’incolumità della persona stessa (es. il materiale non deve essere ingerito). Da quel momento il gesto è elevato ad azione che rompe il silenzio e la passività quotidiana. L’anziano s’impossessa della materia come un bambino che scopre per la prima volta il materiale artistico e lo sperimenta. I gesti generano segni che si alternano e s’incontrano con quelli degli altri, creando relazioni che diversamente non sarebbero possibili a causa dell’afasia che colpisce un malato Alzheimer. Il divertimento, il piacere che scaturiscono sono tali da attenuare stati di agitazione psicomotoria sospendendo o rimandando, in taluni casi, l’uso di farmaci specifici. Anche la creta, nelle loro mani, si plasma partorendo forme astratte, riconsegnando sensazioni di morbidezza, piacevolezza e accoglienza vissute in passato. Il pennello danza sulla superficie bianca del foglio e ne conquista lo spazio. Imitando il primo astronauta sulla luna, l’anziano pone la sua bandiera: questo territorio è mio!
L’osservazione dei lavori così ottenuti fornisce molte informazioni sulle persone che li hanno realizzati, sia da un punto di vista psicologico sia da un punto di vista del decadimento cognitivo e fisico. L’ampiezza dello spazio occupato da un lavoro o la capacità di collegarsi allo spazio del compagno, accanto al quale si sta lavorando, può rivelarci sicurezze, timori o paure, oppure ancora difficoltà visive e/o di coordinazione. La scelta istintiva del materiale e il suo utilizzo, l’intensità con cui è steso un colore o tracciata una linea ci dice che probabilmente ci troviamo di fronte ad un anziano dotato ancora di una discreta energia a livello muscolare, dal carattere deciso, che ama emergere; viceversa, se la pressione con cui sono tracciate le linee sono sottili e meno “graffianti”, molto probabilmente ci troviamo di fronte ad una personalità meno incisiva, dall’animo sensibile e delicato, oppure semplicemente, le sue energie fisiche stanno calando. Sta all’esperienza e alla capacità del conduttore comprendere davanti a quale situazione si trovi, per mettere in evidenza la validità dell’intervento. Nel caso degli atelier da me gestiti questo avviene attraverso la rilevazione degli atteggiamenti emotivi e comportamentali al momento dell’ingresso in atelier, confrontati poi con quelli manifestati all’uscita e nei primi momenti dopo l’attività. In questo modo mi è possibile individuare per quale persone l’intervento sia davvero proficuo. In caso contrario l’ospite è indirizzato ad altri percorsi terapeutici. L’osservazione avviene attraverso una griglia da me ideata e ancora in fase di sperimentazione; il suo uso si è reso necessario per oggettivare l’osservazione. Gli aspetti presi in considerazione sono: l’emotività della persona anziana, l’interazione con gli altri ospiti e con il conduttore dell’atelier, le competenze, la gestione del materiale e dello spazio fisico.
L’esperienza è testimoniata dalle immagini pubblicate. Nel caso dell’arte di un malato di Alzheimer ritengo sia possibile parlare di una vera e propria dialettica tra pieno e vuoto. Riempire uno spazio per riempire un’esistenza. Ripescare nella memoria tracce di vita vissuta e consegnarle alla società quale testimonianza del proprio passaggio.
Note
1. Salza C., Arteterapia e Alzheimer Nodo libri, Como 2007
Bibliografia
Le artiterapie a confronto: il Setting, I quaderni del Centro di Formazione nelle Artiterapie, Lecco 2005
Mancia M., Sentire le parole, Bollati Boringhieri, Torino 2004
Quaia L. Alzheimer e riabilitazione cognitiva, Carrocci Faber, Roma 2006
Salza C., Arteterapia e Alzheimer Nodo libri, Como 2007