
01 Lug Vite spezzate e corpi segnati: il tatuaggio nell’esperienza del lutto.
Vite spezzate e corpi segnati: il tatuaggio nell’esperienza del lutto.
di Fulvio Tassi, Rossella Bloise
Tra apparenza ed elaborazione simbolica
Si assiste oggi ad una consistente e progressiva diffusione della tatuazione, che interessa prevalentemente i giovani ma anche persone più mature e, prima ancora, gli adolescenti. Al di là del dato quantitativo, ciò che più segna una rottura con il passato è il delinearsi della tatuazione come un fatto prevalentemente individuale, per gran parte svincolato da costrizioni, pressioni, influenze e suggestioni, connesse all’assunzione di un ruolo o all’appartenenza ad un gruppo.
La tatuazione, nelle civiltà arcaiche, è parte integrante di una “plasmazione culturale” (Augé, 1983), di una sorta di acculturazione che comprende canoni estetici, riti di passaggio e di iniziazione, definizione di ruoli sociali, rappresentazioni simboliche e concezioni magiche, ritenute utili per fronteggiare i pericoli della vita (Salvioni, 1996). Un individuo senza tatuaggi appare senza storia e cultura, in un mondo in cui “l’uomo separato dagli altri uomini non è che un sussurro” (Castiglioni e Castiglioni, 1985). Il fiorire della cultura greco-romana e delle religioni monoteistiche, giudaico-cristiana e islamica, segna un capovolgimento del gioco: adesso ad essere fuori dal dominio della “civiltà” sono i tatuati, che vengono additati come barbari e sacrilegi. Come una sorta di scomunica, la tatuazione viene inflitta a delinquenti, disertori e prostitute; al tempo stesso si pone come vessillo di gruppi e organizzazioni che fungono da contropotere all’ordine costituito, come nel caso della Camorra napoletana o della Yakuza giapponese (Castellani, 2005).
Nel secolo scorso, a partire dagli anni Sessanta, l’idea di contrapporsi alla cultura dominante – al più ampio ordine societario e al più ristretto ambito familiare – inizia ad essere riconosciuta come una componente ricorrente, pressoché normale, della condizione giovanile. In questo contesto – segnato dal venire meno di una dimensione normativa unitaria e stabile, come pure della funzione paterna che tradizionalmente la esprime – si configurano gruppi e identità giovanili in vario modo “estreme”, che si caratterizzano appunto anche per questa sorta di eccesso: la tatuazione (ibidem). Pensiamo ai Bikers, ai Rokers e ai Punk, alle opposte fazioni politiche dei Nazi Skins e dei fautori dei Centri Sociali, alle tifoserie calcistiche degli Ultras, con diavoli, zebre, gigli e ritratti di Maradona.
Dagli anni Novanta in poi la pratica della tatuazione si fa sempre più trasversale, indipendentemente dall’estrazione sociale, dagli atteggiamenti culturali e politici. Essa sembra sposarsi bene con istanze ampiamente diffuse e condivise, che tipicamente si fanno prepotenti nell’adolescenza: il bisogno di individualità e unicità, la propensione a valorizzare ed esprimere se stessi (Charmet e Marcazzan, 2000).
La tatuazione esalta la visibilità individuale, alterando la configurazione naturale del corpo; anche in ragione delle asimmetrie che spesso crea, essa costituisce un elemento di discontinuità e sorpresa, in grado di catalizzare l’attenzione visiva, più di ogni altro monile e acconciatura (Wohlrab, et all., 2007). Ad un tempo, la rivisitazione delle suggestive forme grafiche degli indigeni dei Mari del Sud, unitamente all’apporto della raffinata tradizione xilografica giapponese fanno del tatuaggio un prodotto estetico di elevata qualità, che potenzia la sua stessa capacità di impattare nel campo visivo altrui.
Il tatuaggio, oltre a dare fascino e vigore all’apparenza personale, può parlare della propria individualità e originalità anche in ragione della sua ampia potenzialità di offrirsi come simbolo di qualità, sentimenti e vissuti soggettivi. Spesso si parla del tatuaggio come di un fenomeno che concerne la moda.
Ma che dire del valore simbolico delle immagini tatuate?
L’idea che la tatuazione sia diventata una semplice adesione ai dogmi bizzarri, esteriori e transitori della moda costituisce uno dei motivi fondamentali di indignazione dei tatuatori della “vecchia” generazione (Castellani, 2005; Salvioni, 1996). Nelle gravi difficoltà connesse alla carcerazione, il tatuaggio, assieme ai graffiti delle celle, trasuda di eventi, progetti, credenze ed emozioni personali (Leschiutta, 1996). Cosa rimane di questa pregnanza simbolica nella libertà di coloro che possono scegliere il proprio tatuaggio tra quelli suggeriti da Internet o dai cataloghi degli studi professionali, nella suggestiva alternanza di occhi di Osiride e croci ortodosse, di sensuali fatine e soli maya, di carpe giapponesi e di cartoons, da Betty Boop a Hello Kitty?
I simboli del lutto.
Al fine di acquisire informazioni sulla natura, simbolica o meno, del tatuaggio è stata condotta una ricerca sugli studenti iscritti alla Facoltà di Psicologia dell’area fiorentina. L’indagine, condotta su un campione di 152 tatuati (età media 22.7 anni), 25 maschi e 127 femmine, si è avvalsa di un questionario appositamente predisposto, funzionale a rilevare, oltre al numero dei tatuaggi, la loro visibilità, l’età della tatuazione, la propensione o meno del soggetto a fare di essi un tramite simbolico per esprimere contenuti interiori e vissuti personali. Si chiedeva inoltre di fornirne una dettagliata descrizione del tatuaggio e di indicare se assumesse o meno un significato particolare in rapporto alla propria vita. Nel caso in cui il soggetto avesse avuto più tatuaggi, si chiedeva di fare riferimento a quello “sentito” come “più importante”. L’analisi combinata delle risposte – relative alla funzione, “interiore” o “esteriore”, attribuita alla tatuazione e alla pregnanza simbolica del proprio tatuaggio – ha permesso di individuare con buona chiarezza, tramite un’analisi dei cluster, una tipologia di soggetti “simbolici” (73% del campione), per i quali i segni impressi sul corpo costituiscono “significanti motivati”.
L’analisi qualitativa delle risposte ha fatto emergere come i “tatuaggi simbolici” possano avere tre macrocategorie di referenti.
• La prima attinente l’identità personale (qualità personali e principi di vita) (43% del campione),
• La seconda la sfera relazionale (familiare, amicale, sentimentale, gruppale) (21%),
• La terza, infine, inerente gli eventi di vita (36%).
Motivo di interesse è il fatto che, all’interno di quest’ultima macrocategoria, proprio i lutti costituiscano la tipologia di eventi più consistente cui i tatuaggi si riferiscono, sia per i maschi che per le femmine. Più dei momenti di rinascita personale che segnano il superamento di difficoltà e crisi (17%), e più del raggiungimento di tappe e traguardi significativi (31%), il vissuto legato alla perdita di una persona cara costituisce l’evento di vita che in misura più ricorrente spinge i giovani adulti del nostro campione a segnare il proprio corpo in maniera indelebile (52%).
L’elemento che maggiormente balza agli occhi è la varietà dei modi di dare voce al lutto. In circa la metà dei casi si riscontra la pratica di tatuarsi l’iniziale del defunto: si segna così la costanza e l’attualità del ricordo e, ad un tempo, si offre il proprio corpo come luogo di accoglienza, sancendo tra sé e l’altro un’unione che sfida la morte. Questa modalità presenta somiglianze con quella, ampiamente diffusa, di portare sempre con sé “una parte” del defunto, in genere una foto o un monile. Nell’altra metà dei casi si configurano soluzioni per molti versi più personali, di cui presentiamo qui una panoramica significativa.
Una stella colpita da una freccia esprime in maniera forte la morte di una persona cara, in un momento della vita che fino ad allora – come sottolinea il nostro soggetto – era stato felice e “splendente” (fig. 1)[1]. L’elemento focale è costituito dal carattere traumatico dell’evento, ovvero dalla tensione vitale di darne una rappresentazione; condizione questa fondamentale per mantenere il contatto con la realtà e per dare al dolore una forma e un volto. La stella a cinque punte, pensata da Pitagora e immortalata da Leonardo da Vinci nella rappresentazione dell’uomo vitruviano, è una rappresentazione dell’unità psico-fisica (Morel, 2004). Il suo essere spezzata esprime bene la morte di questa unità. Ma d’altra parte la stella è anche simbolo dell’ordine cosmico (Bidermann, 1989); in questa prospettiva le vicende del microcosmo, costituito dal singolo, anch’esso rappresentato da una stella, trovano un qualche collegamento con l’armonia e la stabilità dell’universo. Del resto in molte mitologie le stelle rappresentano proprio i defunti che hanno trovato pace in cielo (ibidem).
Il tatuaggio di una farfalla che tende verso l’alto, su un fiore che appassisce, allude tanto alla morte quanto al suo superamento, secondo una rinascita che trascende l’esistenza terrena. Il fiore è per eccellenza simbolo della vita e della sua caducità, la farfalla della metamorfosi: dall’essere legati alla terra all’essere liberi di staccarsi da essa (ibidem). I simboli sono in linea con la tradizione culturale, ma la loro combinazione e ricontestualizzazione, come si verifica nella metafora (Fonzi e Negro Sancipriano, 1975), porta ad una nuova forma espressiva che si arricchisce della tensione personale alla piena espressione di emozioni, di dolore e di speranza.
La fede nell’immortalità delle esistenze individuali è chiaramente presente nel tatuaggio di una piuma, che il soggetto specifica essere della madre, dopo la morte salita in cielo nella forma di angelo custode. Diversamente centrato è il tatuaggio di un altro soggetto del nostro campione, caratterizzato da una lettera avvolta da un nugolo di stelline (fig. 4). La lettera è l’iniziale del defunto, le stelline rappresentano invece il soggetto medesimo che, come in un abbraccio a tutto tondo, rimane unito al caro estinto: “Stellina” era proprio il nomignolo con cui il defunto si rivolgeva al soggetto. Anche in questo caso il significato dei singoli elementi – l’iniziale e la stella – si trova con la tradizione culturale, dove l’iniziale sta per un nome proprio e la stella per una persona; ma il modo in cui si combinano, dando vita ad una sorta di discorso, presenta buoni margini di originalità.
Particolarmente suggestiva ci sembra l’idea di segnare il lutto con il tatuaggio di una semplice goccia (Fig. 5). Al riguardo il soggetto ha specificato di aver pensato a lungo cosa tatuarsi. Una preoccupazione fondamentale era proprio quella di utilizzare un significante ambiguo, cosicché il significato profondo rimanesse personale e intimo.
Certamente il significante “goccia” non rimanda all’idea della morte e della perdita secondo un’associazione canonica e culturalmente consolidata. Tuttavia sono molti i percorsi intuitivi che possono rendere comprensibile e pregnante un’associazione del genere.
La goccia può essere facilmente intesa come lacrima, la lacrima come pianto e il pianto come dolore. Ci sono tuttavia altre associazioni legate alla natura della goccia non meno significative in rapporto al lutto e, soprattutto, all’esigenza di dare ad esso una soluzione positiva. La goccia, come la vita, è un’entità instabile, ma non per questo priva di splendore e brillantezza. Essa segue un ciclo naturale di alternanza di vita e di morte: si origina dalle nuvole, cade in mare e ritorna poi, riscaldata dal sole, a far parte delle nuvole secondo un ciclo continuo in cui l’essere parte di un “tutto”, cielo o mare, si alterna all’ “incarnazione” in un’esistenza individuale, per sua natura effimera e transitoria: quella della goccia.
Più che mai sembra vero quello che in maniera non priva di complessità e tortuosità sosteneva Vygotskij (1922; 1934), secondo cui la ricerca di un’espressione pregnante del pensiero, nella sua intima connessione con le emozioni, non procede per semplici meccanismi, convenzioni o regole. Se da un lato si sostiene su codici culturali ben consolidati, dall’altro richiede una tensione creativa individuale, presente in tutti e necessaria alla vita di ciascuno.
Suggestioni e prospettive di ricerca
La tatuazione è una scelta individuale; sotto il profilo psicologico non si riscontrano argomentazioni a sostegno o a discapito di essa. Pertinente e legittima appare invece una riflessione critica sui diversi significati psicologici che la tatuazione può assumere, e sulle condizioni che ne fanno un tramite per esprimere la propria individualità e interiorità. Al riguardo, motivo di particolare interesse è la consistente propensione, riscontrata nei giovani adulti del nostro campione, a rivestire la tatuazione di pregnanza simbolica; più in particolare, a fissare in essa una rappresentazione della perdita di persone care, unitamente al tentativo di configurare una risposta volta in qualche modo a compensare e superare il trauma e il dolore del lutto.
Non si tratta certo di una questione di scarsa rilevanza, umana, storica e culturale. Nei sacri libri dell’Antico Testamento il divieto perentorio di tatuarsi è uno dei comandamenti dettati dal Signore al Popolo Eletto; singolare è il fatto che tale proibizione si specifichi proprio nel divieto di tatuarsi per i defunti (Levitico 19: 28). È evidente che c’è qualcosa di arcaico nel rispondere al lutto con la tatuazione, e sarebbe senz’altro motivo di interesse antropologico comprendere le ragioni che portano oggi a rivisitare questa pratica, a quanto pare diffusa nel Mondo Antico e forse anche in quello neolitico.
Jung (1967) nel suo ultimo lavoro, riassuntivo e divulgativo del suo pensiero – L’uomo e i suoi simboli – pone l’enfasi sul ruolo fondamentale svolto dai simboli nello sviluppo delle qualità umane. Il simbolo assume una funzione pressoché insostituibile nel mediare la comunicazione con i principi organizzativi della vita psichica e con prospettive esistenziali archetipiche, sedimentate in ciascuno di noi, ma che rischiano di essere contrastate dalla coscienza e dalla volontà. Nell’espressione razionale i fondamenti archetipici perdono la propria sostanza e, per quanto sia forte l’impegno, rimangono indicibili; in definitiva, incomprensibili, freddi e distanti.
Il vissuto della perdita e del lutto rischia di soffocare la vita fin dal suo sorgere; esso pone l’esigenza di elaborare prospettive esistenziali rivolte alla trascendenza, in buona sostanza al superamento dell’opposizione tra la vita e la morte. Un’ampia produzione simbolica che attraversa la storia e le culture testimonia con chiarezza il continuo sforzo di dare fondatezza a questa stessa illusione, originando domini espressivi, speculativi ed esperienziali, in cui è labile il confine tra arte e spiritualità (ibidem).
Appare per molti versi pacifico che la tatuazione possa costituire uno dei molti canali espressivi tramite cui l’elaborazione simbolica del vissuto del lutto trova una sua concretezza. L’interrogativo che si pone concerne piuttosto la specificità dei simboli impressi sulla pelle rispetto ad ogni altra raffigurazione, scolpita, dipinta o drammatizzata. Sebbene la questione necessiti di ulteriori approfondimenti, si delineano alcune idee al riguardo.
Un primo ordine di considerazioni fa riferimento all’esperienza della tatuazione, che si pone essa stessa come simbolo di una rinascita e di un rinnovamento (Salvioni, 1996). Diversamente dai comportamenti autolesivi, la tatuazione non si esaurisce nel sangue e nel dolore per le ferite che produce, ma si sviluppa nel valore estetico e simbolico delle immagini che crea. Se il simbolo esprime un’illusione, è plausibile ritenere che questa stessa illusione prenda ulteriore forza e vigore nella misura in cui entra a far parte della realtà fisica di colui che la esprime e la coltiva.
Motivo di interesse ci sembra essere costituito anche dal luogo della tatuazione: la pelle. Come ha ampiamente argomentato Winnicot (1971), essa si pone come un’entità non solo somatica ma anche psichica, fondamentale nel continuo sforzo di mantenere separati e ad un tempo correlati sensazione e percezione oggettiva, mondo interno e mondo esterno, illusione e realtà. È in questo territorio di confine che si origina lo spazio transazionale, gli oggetti e i fenomeni transazionali; ed è forse in questa prospettiva che potrebbe essere discussa la rilevanza psicologica del tatuaggio. Come le splendide armature rinascimentali “all’eroica” si arricchivano di leoni – sigilli della potenza di Ercole – così i simboli tatuati sulla pelle possono forse raffinare il potere di questa stessa “membrana limitante” di affrontare le sfide della vita, e di dare ad essa un senso.
Riferimenti Bibliografici
Augé M. (1983). Corps marqué, corps masqué. In Hainard J., Kaehr R. (a cura di), Le corps enjeu, Neuchatel: Musée d’Ethnographie, pp. 77-86.
Bidermann H. (1989). Knaurus Lexikon der Simbole, Munchen: Dromersche Verlagsanstalt Th. Knaur Nachf. (tr. It. Simboli, Milano: Garzanti, 1991).
Castellani A. (2005). Estetiche dei ribelli per la pelle, Milano: Costa e Nolan.
Castiglioni A., Castiglioni A. (1985). Venere nera, Varese: Lativa.
Charmet G., Marcazzan A. (2000). Piercing e tatuaggio. Manipolazioni del corpo in adolescenza, Milano: Angeli.
Fonzi A., Negro Sancipriano E. (1975). La magia delle parole. Alla riscoperta della metafora. Torino: Einaudi.
Jung C.G. (1967). Man and his Symbols, London: Aldus Books Limited (tr.it. L’uomo e i suoi simboli, Milano: Longanesi, 1980).
Leschiutta P. (1996). Palinsesti del carcere, Napoli: Liguori.
Morel C. (2004). Dictionnaire des symboles, mythes et croyances, L’Archipel (tr.it. Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze, Firenze: Giunti, 2006).
Salvioni G. (1996). I tatuaggi, Milano: Xenia.
Vygotskij L.S. (1922). Psicologia dell’arte, Roma: Editori Riuniti, 1972.
Vygotskij L.S. (1934). Pensiero e linguaggio. Firenze: Giunti, 1966.
Winnicot D.W. (1971). Playing and Reality, London: Tavistock Publication (tr. It. Gioco e realtà, Roma: Armando, 2006).
Wohlrab S., Fink B., Pyritz L.lW., Rahlfs M., Kappeler P.M. (2007). Visual attention to plain and ornamented human bodies: an eye-tracking study, Perceptual and Motor Skills, 104 (3), 1337-1349.
[1] I disegni dei tatuaggi sono stati realizzati dagli autori sulla base delle descrizioni fornite dai soggetti